Perché Via dei Normanni (a Roma) si chiama così?

Talvolta le vie, specialmente in una città strabordante di storia come è Roma, possono fare riferimento non genericamente ad un personaggio o ad una data importanti, ma ad un preciso momento di secoli prima che è stato immortalato nel nome dato a quel luogo, di solito dai cittadini che così hanno costellato di memorie il tessuto stradale della loro città.

Si legge di sfuggita il nome della via inciso nel marmo o lo si ascolta – spesso mal pronunciato – dal navigatore mentre si è in auto, probabilmente, se la città è Roma, fermi nel traffico; sapere la storia dietro a quel nome può essere un modo per recuperare le memorie lasciate dai nostri antichi concittadini, in una sorta di millenaria caccia al tesoro.

Veniamo a Via dei Normanni. Siamo nel 1084, Roma è occupata dalle truppe di Enrico IV e il papa, Gregorio VII, contro il quale l’aspirante imperatore si è mobilitato, si è rifugiato a Castel Sant’Angelo.

La prima scomunica, del 1076, e la successiva – e celebre – umiliazione di Canossa, con la quale Enrico IV chiedeva perdono al pontefice, che lo riammetteva così nella comunità dei fedeli – della quale facevano parte anche i suoi sudditi e funzionari, i quali fin quando il loro re era escluso dalla cristianità erano autorizzati a non far fede al giuramento di fedeltà che teneva in piedi il regno – sono ormai eventi lontani e i ruoli si sono nuovamente ribaltati: l’imperatore, scomunicato per la seconda volta, ha ormai preso le misure del suo avversario e ha deciso di attaccarlo militarmente. Enrico IV depone il papa e fa eleggere l’antipapa Clemente III, dal quale si fa incoronare imperatore.

Il papa si rivolge allora alla forza militare più potente, in quel momento, nella penisola italiana: i normanni, capeggiati dal duca Roberto il Guiscardo, che con il Concordato di Melfi del 1059 – in virtù del quale aveva ottenuto il riconoscimento delle sue conquiste territoriali, che solo un’autorità universale (o papa o imperatore) aveva il potere di conferire – era diventato vassallo del pontefice (ai tempi a firmare era stato papa Niccolò II) e aveva dunque il dovere di fornirgli aiuto militare in caso di necessità.

Spinto anche dalla prospettiva di un bottino romano – ai tempi a pagare le guerre erano proprio le razzie che ciascun soldato era autorizzato a perpetrare ai danni della popolazione o città sconfitta – Roberto il Guiscardo raggiunge Roma e il suo esercito si stanzia proprio all’altezza di quella che oggi chiamiamo Via dei Normanni.

Come finisce questo capitolo di storia romana? La città viene saccheggiata e messa a ferro e fuoco. Enrico IV scappa insieme al suo antipapa: la prospettiva di fronteggiare i migliori guerrieri dell’epoca, comandati da un uomo d’armi che aveva collezionato successi militari su successi militari, era molto diversa e ben più scoraggiante rispetto alla facile vittoria che avrebbe ottenuto contro le sole, scarsissime, forze papali. Gregorio VII, invece, viene, sì, liberato e reintegrato nel suo ruolo di capo della Chiesa, tuttavia Roberto il Guiscardo, anziché lasciare il papa a Roma, lo porta con sé nella sua Salerno, dove Gregorio VII, al secolo Ildebrando di Soana, morirà nell’anno successivo.

Ogni volta che capita di passare per Via dei Normanni si può virtualmente rileggere una pagina della cosiddetta lotta per le investiture, lo scontro tra le due autorità massime del Medioevo – il papato e l’impero – e rievocare alcuni grandi classici della storia di ogni tempo: il sacco di Roma; l’impreparazione “italiana” allo sforzo bellico; gli interessi politici – ben più determinanti rispetto a quelli spirituali – da parte della Chiesa.

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