Nella prima sala del primo piano della ricchissima Galleria Borghese, proprio sotto agli autoritratti di Gian Lorenzo Bernini, si trovano due busti da lui realizzati e apparentemente gemelli.
Raffigurano entrambi lo stesso eminente personaggio: il cardinale Scipione Borghese, nipote di papa Paolo V (al secolo Camillo) Borghese. Entrambi sono stati realizzati nel 1632, per la stessa commissione e nelle medesime circostanze, o quasi. A cambiare, tra primo e secondo busto, è prima di tutto la qualità del marmo.
Osservando bene il volto dello Scipione scolpito per primo, infatti, si nota una crepa trasversale che corre al di sopra delle sopracciglia: quando comparve Bernini aveva quasi finito di scolpire il busto e fu costretto – prima di presentarlo al cardinale oppure dopo, le fonti non concordano – a realizzarne un altro in brevissimo tempo.
Bernini colse l’occasione della seconda versione per modificare il busto: il cardinale, in posa spontanea, appare nel secondo ritratto più pacato e si volta verso chi lo ha improvvisamente chiamato con più garbo; il chiaroscuro è più sottile, le pieghe che si agitavano sulla mozzetta del primo ritratto sono state diminuite e appianate, persino l’inconfondibile pizzetto appare più ordinato e la fronte, quasi fosse più sgombra da pensieri, presenta meno rughe; la superficie del marmo è più levigata e più luminosa.
Quelli che ad una prima occhiata appaiono come due marmi “omozigoti” – figli della stessa mano e venuti alla luce a brevissima distanza – mostrano dunque, ad uno sguardo più attento, le loro differenze. Il confronto tra i due ritratti offre un’occasione per osservare il lavoro di uno scultore sapiente come Bernini su di un medesimo soggetto e per soffermarsi a riflettere sui dettagli delle opere d’arte e su come ciascuna di esse sia il frutto di infinite scelte che l’artista ha compiuto, scalpellando, progettando o dipingendo.