Orme digitali

Se qualcuno ci fermasse e ci domandasse che partito votiamo, di che religione siamo, le nostre opinioni politiche, i nostri orientamenti sessuali, dove lavoriamo, quanti figli abbiamo, il nostro stato civile o il nome dei nostri amici o anche cosa mangiamo e dove ci rechiamo a fare gli acquisti o in vacanza, di certo lo allontaneremmo in modo brusco e non profferiremmo parola.

Aprire un profilo social, mettere “mi piace”, postare una foto, valutare una struttura, sottoscrivere una petizione, leggere una notizia e approvare le condizioni per continuare, fare un test o giocare on line…quante azioni crediamo neutre e invece rivelano gusti, informazioni, localizzazioni che sfuggono al nostro controllo?

Ora, lungi da noi esortare una vita asociale e una austerità monacale, ma, allo stesso tempo, vogliamo condividere delle osservazioni che, forse, ci renderanno se non più accorti, almeno consapevoli.

Quando navighiamo nel web, utilizziamo alcune funzioni dal nostro smartphone o condividiamo opinioni sui social network, diffondiamo dei dati significativi e permanenti su di noi. Queste vengono dette “Orme digitali” perché, proprio come le orme, lasciano traccia del nostro passaggio. Ma, se per una passeggiata sulla battigia basta un’onda lunga a cancellarne traccia, per il web questa eliminazione è quasi impossibile.

Ognuno di noi ha un’identità digitale collegata ai dispositivi di cui facciamo uso. La psicanalisi ci ha insegnato che esiste un IO sociale ben distinto dal nostro ES; nei tempi moderni dobbiamo imparare che la costruzione della nostra immagine pubblica non è più circoscritta al nostro più o meno ampio ambito di azione fisica, ma, per mezzo della tecnologia, l’eco delle nostre opinioni e/o azioni si diffonde con un effetto onda amplificato, come di un sasso lanciato in uno stagno. Il nostro IO digitale entra in contatto con una moltitudine di soggetti (spesso sconosciuti) senza limiti spazio-temporali.

È sempre più diffusa la prassi, durante le selezioni del personale, di allegare la scheda tratta dai social, dell’aspirante candidato. Ciò implica che anche esternazioni molto risilienti, possano giocare un ruolo valutativo ben maggiore del momento in cui sono state espresse.

O dossier che misurano la nostra capacità retributiva, in caso di ricorso a finanziamenti, arricchiti di particolari desunti dai nostri profili social.

Così, superficiali accettazioni di navigazione dettate dalla fretta o dalla noia sulle prolisse e particolareggiate autorizzazioni, spesso a caratteri minuscoli, possono farci inserire in liste di marketing o, peggio, di trattamento dei nostri dati cui diviene poi difficile opporsi.

La profilazione inconsapevole è spesso frutto dei nostri regali sul web.

L’intervista cui ci si riferisce in incipit è continuamente implementata da noi stessi che affidiamo all’etere i nostri pensieri, i nostri desideri, le nostre paure e doniamo a sconosciuti immagini, dettagli, fette della nostra vita e dei nostri cari senza conoscere con quali fini tali informazioni verranno trattate.

La cronaca recente ci ha informato della manipolazione dell’opinione pubblica avvenuta su temi importanti come le tornate elettorali, referendum popolari o scelte etico politiche. Odiatori prezzolati con le loro azioni di disturbo, profili falsi o clonati, fake news sono le nuove barriere della mistificazione resa facile da vuoti normativi, scarsa armonizzazione internazionale e mancata consapevolezza dei naviganti.

Altrettanto scalpore ha fatto la presunta vendita di informazioni relative ai propri fruitori di piattaforme, da parte di colossi del network. Multe miliardarie sono state comminate, ma la voragine aperta non è dato sapere se e come verrà sanata.

Le analisi di questo fenomeno troppo recente, sono agli inizi, la valutazione dei rischi è data per desunzione degli scandali scoperti, più che da una ponderata valutazione ex ante degli effetti attesi dall’interazione virtuale. La correlazione tra persona fisica e la propria immagine virtuale non è trasparente e l’uso che se ne possa fare è ancora ricco di incognite.

L’unica difesa al momento possibile è la ragionevolezza e la conoscenza. Essere consapevoli delle proprie azioni (e condivisioni) è la cura primaria.

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