Un grande lutto nella cultura italiana, se ne va Vittorio Gregotti, grande architetto di fama internazionale, aveva 92 anni e non è riuscito a combattere il flagello del Coronavirus. Era ricoverato nella clinica San Giuseppe di Milano con una polmonite, anche la moglie Marina è ricoverata nello stesso ospedale. Professore ordinario di Composizione Architettonica all’Istituto universitario di Architettura di Venezia, ha insegnato anche nelle Facoltà di Architettura di Milano e Palermo, varcando spesso i confini nazionali: in veste di visiting professor, ha lavorato in Giappone, Stati Uniti, Argentina, Brasile e Regno Unito. Gregotti fu anche direttore della Biennale di Venezia nel periodo 1975-78. Fu il primo a introdurre mostre di architettura alla Biennale. Vittorio Gregotti, nato a Novara nel 1927, si è laureato in Architettura nel 1952 al Politecnico di Milano ed entra nello studio BBPR con quello che considererà per sempre il suo maestro, Ernesto Nathan Rogers e con lui, nel 1951, firma la prima sala alla Triennale di Milano per poi arrivare al CIAM di Londra. Dal 1953 al 1968 ha svolto la sua attività in collaborazione con Ludovico Meneghetti e Giotto Stoppino. Oltre a studiare viaggia molto e conosce così i maestri del Razionalismo Moderno, come Gropius, Van De Velde, Le Corbusier, Mies Van Der Rohe. Dal 1963 al 1965 è Direttore di Edilizia Moderna , dal 1979 al 1998 è stato Direttore di Rassegna e dal 1982 al 1996 Direttore di Casabella. Dal 1984 al 1992 ha curato la rubrica di architettura di Panorama, dal 1992 al 1997 ha collaborato con il Corriere della Sera e dal 1997 collaborava con la Repubblica. Tra i suoi 1600 progetti, realizzati in Italia e molti anche all’estero, ricordiamo il contestato quartiere Zen ( Zona espansione nord) di Palermo del 1969, suo progetto più controverso, di cui anni dopo l’architetto Massimiliano Fuksas proporrà la demolizione. Gregotti ha sempre dato la responsabilità del fallimento del progetto dello Zen al fatto che non fosse mai stato ultimato a causa delle infiltrazioni mafiose e al fatto che avrebbe dovuto essere una parte di città e non una periferia. Ricordiamo ancora il Centro Culturale di Belem a Lisbona, il Dipartimento di Scienze dell’Università di Palermo (dove insegnava) e la sede dell’Università della Calabria, il piano di edilizia popolare a Cefalù e il Centro Ricerche dell’Enea a Portici. E poi gli insediamenti sempre popolari a Venezia, la sistemazione del Parco Archeologico dei Fori Imperiali a Roma. Ma anche la trasformazione delle aree intorno la Bicocca, alla periferia di Milano, sino al nuovo quartiere residenziale nell’area di Pujang, in Cina. Tre anni fa una mostra per raccontare 60 anni di carriera in più appunto di 1600 progetti. Una vera e propria monografia, un tributo e un omaggio di Milano ad uno dei suoi maestri: la mostra “Il Territorio dell’Architettura”. Gregotti e associati 1953-2017 nell’importante esposizione intrecciava, ancora una volta, architettura, imprenditoria, letteratura, musica e una buona dose di intelligente ironia. L’architetto Gregotti prese le distanze dalle teorie e dai modelli dominanti, ereditati dal movimento moderno, per trovare ispirazione nelle culture locali e regionali. Nei suoi progetti adotta un approccio volto a metterli in relazione con la storia del luogo e non a un’astrazione che mira alla riproducibilità in qualsiasi sito. I valori ad esso attribuiti si basano su due principi antimodernisti: da un lato, il rifiuto della tendenza universalizzante del razionalismo modernista e dall’altro il potenziamento delle fonti storiche, l’accoglienza delle tradizioni locali nelle logiche dei progetti e costruzioni. Questi aspetti sono visibili sia nei progetti della sua agenzia, sia nella sua densa produzione bibliografica. Lui, amico di artisti, musicisti, intellettuali, da Emilio Tadini a Elio Vittorini, da Umberto Eco a Luciano Berio, ha anche partecipato al gruppo 63, definito di neoavanguardia letteraria: “Si ragionava su come vivere il tempo libero senza finire preda del mercato, una questione cruciale per un architetto”. “Se ne va, un maestro dell’architettura internazionale, un saggista, critico, docente, editorialista, polemista, uomo delle istituzioni, che restando sempre e prima di tutto un architetto, ha fatto la storia della nostra cultura, concependo l’Architettura come una prospettiva: sull’intero mondo e sull’intera vita. Che grande tristezza”. Stefano Boeri . Presidente della Triennale di Milano.