Quanto sarebbe bello vivere senza controllare continuamente l’ora, affidandosi al fluire naturale del tempo?
La misurazione dell’ora nell’antica Roma non consentiva di suddividere in modo preciso la giornata o l’anno. I romani utilizzavano infatti dei sistemi primordiali e poco esatti per misurare il tempo, rassegnandosi a conoscere l’ora in modo soltanto approssimativo. Oggi sarebbe impensabile: viviamo attaccati alle lancette e seguiamo rigide tabelle cronologiche. Ma come afferma Luigi Enrico Paoli:
Forse l’orologio ha tolto alla vita una parte della sua poesia; ha sminuzzato, polverizzato l’unità del giorno, che è unità di sole e di luce, e al “carpe diem” ha sostituito l’ansia dell’afferrare l’attimo fuggente. Il tic-tac dell’orologio è penetrato un po’ nei nostri cuori, ha costretto lo spirito umano a ritmi automatici, che sanno la rigidità dell’acciaio e l’uniformità della macchina.
L.E. Paoli, Vita Romana, 2017, p.86.
La scansione determinata del tempo ha portato sicuramente dei vantaggi a favore della nostra quotidianità, permettendoci di vivere in modo più organizzato. Tuttavia, vivere con dei ritmi serrati, senza la possibilità di lasciarsi andare all’imprevisto, ci ha forse resi più meccanici e meno umani.
Comunque i Romani avevano degli strumenti, seppur rudimentali ed inesatti, per la misurazione dell’ora. Si affidavano all’osservazione del cielo oppure a due tipi di orologio. Da una parte, quello “a sole” (solarium), probabilmente portato a Roma nel 263 a.C.. Dall’altra, quello “ad acqua” (clepsydra), introdotto nel 159 a.C. Tuttavia, si trattava di strumenti che permettevano di conoscere l’orario solamente in modo approssimativo. Gli orologi a pendolo e a molla comparvero infatti solamente alla fine del Medio Evo. Sarà il censore Q. Marcio Filippo, nel 164 a.C., a far costruire una meridiana per misurare l’ora a Roma. Da quel momento le meridiane pubbliche cominciarono a diffondersi e divennero il tipo più diffuso di orologio: ne esistevano anche di trasportabili, che potevano essere portate in viaggio, o che misuravano l’ora equinoziale.
Già i Romani si resero conto dei problemi causati da una più precisa misurazione delle ore:
Maledicano gli dei colui che per primo inventò le ore e collocò qui la prima meridiana. Costui ha mandato in frantumi il mio giorno di povero diavolo. Quando ero giovane, infatti, l’unico orologio era lo stomaco assai più preciso e migliore di questo aggeggio moderno.
(Plauto citato in Aulo Gellio, Notti attiche, III, 3, 5).