Michelangelo e Giulio II: la tragedia della sepoltura in S. Pietro in Vincoli

Ultimo di ben sei progetti progressivamente meno ambiziosi, nella chiesa di S. Pietro in Vincoli della quale era stato cardinale titolare si trova il monumento funebre del papa Giulio II Della Rovere.

Sia i progetti che le tre statue marmoree del livello inferiore – Rachele, il celebrato Mosè e Lia – sono opera di Michelangelo Buonarroti, che nel 1505 venne chiamato a Roma dallo stesso Giulio II (da due anni divenuto papa) proprio perché si occupasse della realizzazione di quella che avrebbe dovuto essere una monumentale tomba a camera, simile per imponenza e struttura ai mausolei degli imperatori romani (dei quali i pontefici si consideravano eredi nel dominio sulla città) e popolata di statue che, lette dal basso verso l’alto, avrebbero restituito una raffinata sintesi della filosofia neoplatonica del trionfo della virtù sulla materia e dello spirito sulla morte.

Un’apoteosi all’antica del pontefice che era stata originariamente pensata per la basilica papale di S. Pietro in Vaticano, che proprio a Giulio II deve il rinnovamento radicale che l’ha portata ad assumere l’aspetto con il quale oggi è conosciuta. Questi imponenti lavori, cominciati nell’aprile del 1506, assorbirono completamente le attenzioni e le finanze del papa, che si vide costretto ad accantonare momentaneamente il progetto per la propria sepoltura, causando l’ira di Michelangelo – che ancora a lungo avrebbe dovuto penare per via di questa committenza – e il suo ritorno infuriato a Firenze.

Quando i messi papali riuscirono a raggiungere il fuggiasco gli riferirono che Giulio II aveva intenzione di affidargli un altro importante incarico: avrebbe decorato la volta della cappella del palazzo pontificio, costruita dal papa Sisto IV Della Rovere (zio di Giulio II), e già affrescata negli anni Ottanta del Quattrocento da un’équipe formata, tra gli altri, da maestri come Perugino, Botticelli, Ghirlandaio, Cosimo Rosselli, Luca Signorelli. Michelangelo dunque tornò a Roma, benché inizialmente titubante, per dedicarsi alla decorazione della volta della cappella Sistina.

Trascorsero gli anni e si fece un secondo progetto per la sepoltura del papa: è a questo punto che vennero realizzate le tre statue oggi poste nel registro inferiore – in posizioni che non hanno nulla a che vedere con quelle che avrebbero dovuto occupare – e i Prigioni (i cosiddetti Schiavo ribelle e Schiavo morente) conservati al Louvre di Parigi.

Sopraggiunse poi nel 1513 la morte di Giulio II: la mancanza di risorse e di interesse da parte dei suoi eredi causò la drastica riduzione delle dimensioni del sepolcro fino alla realizzazione, nel 1545, del monumento attuale, a parete anziché a camera, composto di un manipolo di figure anziché affollata di marmi.

Nonostante la drammatica differenza con i primi progetti, il sepolcro di Giulio II risulta magniloquente e monumentale, in parte per la personalità energica e imponente dell’uomo del quale conserva le spoglie, in parte per la maestria dello scultore: la luce bagna il marmo da lui lavorato riverberandosi in un lento ma continuo movimento di chiari e di scuri.

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