Il MAXXI: i suoi primi dieci anni.

Il 2020, annus horribilis che sta per esaurirsi e che certo in futuro non verrà ricordato con gioia è però l’anno in cui ricorre il decimo anniversario dell’inaugurazione di una delle opere più affascinanti ed avveniristiche della Capitale.

Un Museo pubblico dedicato ad arte, architettura e creatività contemporanea: il “MAXXI, Museo Nazionale delle arti del XXI secolo”, importante opera pubblica situata nell’area del quartiere Flaminio di Roma, pensata all’inizio degli anni duemila all’interno del Ministero per i Beni Culturali e che ha preso forma in circa sei anni, non senza difficoltà a ben vedere, grazie al Ministero delle Infrastrutture.

Il MAXXI è il ragguardevole risultato di un progetto visionario di una architetta e designer dalla storia tanto affascinante quanto tormentata quale Zaha Hadid, iraniana naturalizzata britannica, tra le maggiori esponenti del movimento decostruttivista che annovera, tra i suoi sviluppatori, eminenze del calibro di Daniel Libeskind, Frank O. Gehry e Rem Koolhaas, quest’ultimo peraltro partecipante al concorso bandito per la realizzazione del museo.

L’edificio è imponente, gigante di calcestruzzo dalla forte cifra comunicativa, dalla elevata qualità architettonica; visionario con la proposta di traiettorie immaginarie a disposizione dei fruitori in cui tutto è decostruito e tutto va nella direzione di voler coinvolgere l’ospite a vivere una esperienza fisica e mentale, godendo di percezioni in effetti rare da vivere altrove.

Gallerie, ampie ed improvvise finestrature, lunghe scalinate e pareti curve sono elementi di un percorso che cancella in un colpo solo la vecchia concezione di tracciato museale predefinito.

More than meets the eye”, recita una grande scritta luminosa sulla parete esterna proprio sopra l’ingresso principale.

Più di quanto sembri” la sua traduzione.

Come possiamo interpretarla, se non come un invito ad entrare all’interno del museo, a respirarne l’aria rarefatta, a partecipare ad un viaggio sensoriale godendo del piacere dell’arte in esso esposta ma aiutati, accompagnati nell’itinerario da un senso onirico, alla stregua di un ipotetico corso d’acqua che ci culla come fossimo canoe?

Le motivazioni alla base della scelta della giuria che permisero l’aggiudicazione del progetto alla Hadid credo vadano ricercati nella capacità della risposta data alla committenza; una risposta che non si fermò ad una concezione meramente tecnica, fredda nel suo assecondare le diverse funzionalità da garantire, pur dentro un manufatto godibile.

La risposta fu metafisica, immersa in una visione che stravolgesse i canoni. Coraggiosa, certo. Una risposta data da una sognatrice. Punto.

Zaha ci ha lasciato quasi cinque anni fa, in maniera del tutto inaspettata, a soli sessantacinque anni.

La avessi qui, di fronte a me in questo momento, mentre scrivo di lei, le chiederei: “Hai mai smesso di sognare?”.

 

 

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