“Luca Giordano. Dalla Natura alla Pittura”: il Museo di Capodimonte rende omaggio al più grande pittore napoletano del ‘6oo

L’autunno di quest’anno si ricorderà, per fortuna, anche per qualche aspetto positivo: in particolare, per la forte ripresa culturale, bloccata per mesi a causa del lockdown. Tra le mostre d’arte più attese da addetti ai lavori ed appassionati, c’è senz’altro “Luca Giordano. Dalla Natura alla Pittura”, che si potrà visitare dall’8 ottobre 2020 al 10 gennaio 2021 presso il Museo e Real Bosco di Capodimonte, a Napoli. L’esposizione, a cura di Stefano Causa e Patrizia Piscitello, nasce da un’idea di Sylvain Bellenger, direttore del complesso museale napoletano, e di Christophe Leribault, direttore del Petit Palais di Parigi, dove, fino al mese di febbraio 2020, si è svolta la prima mostra dal titolo “Luca Giordano. Le triomphe de la peinture napolitaine”.

Luca Giordano è senz’altro il più grande pittore napoletano del ‘6oo, oltre che il più prolifico con migliaia di disegni, dipinti ed affreschi, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “Luca fa presto”. Da giovane soggiorna a Roma, dove osserva e disegna tutto, da Raffaello a Caravaggio, ma il suo sogno è eguagliare i maestri del Rinascimento veneto: Tiziano e Tintoretto, passando per Veronese, che ha imparato ad amare attraverso Ribera e Mattia Preti. A Napoli, è il primo a liquidare gli eroici furori della pittura caravaggesca con una scrittura spregiudicata e colorata. Insofferente dei limiti della cornice, amplia la scelta dei soggetti che, tra gli amici del Caravaggio, si limitava ad una rosa tutto sommato ristretta. Grazie ai suoi viaggi, Giordano diventa il pittore napoletano più importante e conosciuto, tanto che nel 1692 viene chiamato a dar prova del suo talento in Spagna, dove si fermerà per dieci anni. Sarà nominato pittore del re e realizzerà un’incredibile quantità di quadri e di affreschi.

In questa seconda tappa, a Napoli – afferma il direttore Sylvain Bellenger – Giordano ci viene raccontato come non lo è mai stato prima, diversamente da Parigi. Sebbene Giordano abbia contato molto per i francesi, non lo si poteva presentare allo stesso modo ai napoletani, che sono abituati a incontrarlo frequentemente, a volte senza riconoscerlo, nel loro museo o nelle loro chiese. I curatori hanno saputo ricollocare la particolarità del grande pittore e anche pensarlo nel contesto delle chiese napoletane, poiché in fondo è a Napoli e soprattutto nello spazio delle architetture barocche, più ancora che nei musei, che Giordano si mostra in tutta la sua dimensione e dà prova del mestiere e della visione che porterà fino in Spagna, con i rapimenti trionfanti e gioiosi che rendono il monastero dell’Escorial un luogo un po’ meno austero”.

La mostra, dedicata a Ferdinando Bologna, si articola in dieci sezioni e termina con un’installazione intermediale progettata e realizzata da Stefano Gargiulo (Kaos Produzioni) con l’intento di mostrare alcuni dei luoghi e delle opere affrescate dall’artista a Napoli: nella chiesa di San Gregorio Armeno, di Santa Brigida, alla Certosa di San Martino e nei Girolamini. Il progetto site specific ripropone una piccola cappella dove, negli archi e nelle volte, traspirano le immagini e i suoni del mondo napoletano e degli affreschi di Luca Giordano. Il visitatore viene invitato ad interagire con le candele votive poste al centro dell’ambiente, un fulcro simbolico dove attivare gli scenari che trasformano lo spazio, tra la realtà degli affreschi del Maestro e l’illusione delle tecnologie digitali. La sala multimediale è un invito al viaggio; Luca Giordano è infatti un pittore da osservare dal vivo, preferibilmente nei contesti originari di chiese o palazzi, non essendo mai stato davvero a suo agio negli allestimenti museali. Per questo, la mostra allestita a Capodimonte, vuole stimolare nel pubblico la curiosità di andare a vedere gli affreschi spagnoli e italiani di Giordano, a cominciare da quelli presenti nella città di Napoli, nelle chiese e nei principali luoghi di cultura.

Luca resuscita l’antico esempio del Veronese, trasfondendolo in un’atmosfera moderna di oro puro, in polvere iridata, e che indusse il disegnatore De Maria a parlare d’una “scuola ereticale, che faceva traviare dal dritto sentiero, con la dannata libertà di coscienza”: tanto era l’empito di bella pittura che vi sormontava”.

(Ferdinando Bologna, 1958) 

San Michele

Luca Giordano nasce a Napoli il 18 ottobre 1634. Appena ventenne, tra il 1654 e 1655, realizza due dipinti per la chiesa di San Pietro ad Aram e la pala del transetto della chiesa di Santa Brigida. Nei primi anni si muove nel solco di Jusepe Ribera, il maestro cui sarà sempre legato e che sarà come una guida per la sua vorace capacità di apprendimento, grazie alla quale assimila le esperienze di Tiziano, Lanfranco, Cortona e Rubens. Fondamentali i viaggi giovanili a Roma, Venezia e Firenze. Proprio a Firenze, Giordano mette a punto un progetto di decorazione illusionistica e continua degli spazi che a Napoli non aveva mai attecchito: nella cappella Corsini della chiesa del Carmine, e soprattutto negli affreschi di Palazzo Medici Riccardi. Le committenze per le maggiori chiese e per l’alta aristocrazia napoletana e spagnola aprono la strada al lungo soggiorno a Madrid, nell’ultimo decennio del ‘600. Resta in Spagna per circa dieci anni, lavorando senza sosta e producendo una sterminata quantità di tele e di affreschi, tra residenze reali e chiese sotto l’alto patronato della Corona. Nel 1694, la consegna delle chiavi dello Studio del Palazzo da parte del Sovrano Carlo II lo consacra capo dei pittori della corte. Giordano trascorre gli ultimi anni di vita a Napoli, lavorando per la Certosa di San Martino e per le chiese dei Girolamini e di Donnaregina. Muore nel 1705, a Napoli. Riposa nella sua città, all’interno della chiesa di Santa Brigida.

Giordano fu il Prototipo dell’artista ambulante… La rapidità con cui produceva le sue grandi improvvisazioni fu proverbiale… considerava l’intero passato un libro aperto da usarsi per i propri scopi. Studiò Durer come Lucas van Leyden, Rubens come Rembrandt, Ribera come il Veronese, Tiziano come Raffaello ed era capace di dipingere in qualsiasi maniera scegliesse. Ma non copiò mai… Egli si valse di tutte le tradizioni piuttosto che essere legato a una e il suo stile è sempre inconfondibile”. (Rudolf Wittkower, 1958)

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