LORENZO MARINI LA TYPEART IN MOSTRA A SIENA

Un intelletto a dir poco eclettico quello di Lorenzo Marini, leader dell’omonima agenzia pubblicitaria con sedi a Milano e New York. La pubblicità è stata il suo primo campo di impegno professionale, che lo ha portato a lavorare, subito dopo la laurea in architettura all’Università di Venezia, per i più importanti nomi della pubblicità in Italia e nel mondo – da Ogilvy a Leo Burnett, da Armando Testa a Dorland ad Ayer – e che gli è valso la conquista di numerosissimi premi, tra i quali ricordiamo almeno quello ottenuto nel 1985 al Festival Internazionale della Pubblicità di Cannes con la campagna di spot per la pasta Agnesi; tuttavia con il tempo, e portando avanti il concetto dell’assoluta centralità dell’idea creativa, dell’importanza del «perché» un’opera viene concepita più che del «come» viene realizzata, Marini si è applicato a diverse altre discipline, quali la regia, il design, la scrittura, con la pubblicazione di saggi e romanzi, la conduzione di programmi radiofonici e l’arte.

Proprio il percorso nell’arte di Marini è assai peculiare, e lo si potrebbe sintetizzare con il titolo di una mostra a lui dedicata tenutasi nell’estate del 2020 negli spazi della Fondazione Bevilacqua La Masa a San Marco a Venezia, ovvero «dal silenzio alla parola». Un titolo dall’interpretazione almeno duplice, cui, forse, non è neanche estraneo il richiamo ad uno degli spot più celebri realizzati da Marini, quel «Silenzio. Parla Agnesi» entrato nell’immaginario collettivo degli italiani.

Più in particolare, il passaggio “dal silenzio alla parola” da parte di Marini si è avuto sia perché dopo decenni in cui dipingeva solo per stesso, senza per così dire uscire allo scoperto, a cavallo tra il 2014 e il 2015 realizza le prime mostre a New York e a Miami per poi proseguire su questa strada sia in Italia che all’estero, sia anche perché nel corso del tempo è cambiato il centro d’attenzione della sua pittura. Quest’ultima – anche grazie all’incontro con un collezionista che, ricorda Marini, gli disse «mi piacciono molto le sue opere, ma è troppo concettuale. Mi chiamo Arrigoni, mi farebbe una A?» – è passata dall’essere un «esercizio di forza del bianco», unica tonalità usata nelle prime mappature spaziali, ad avere come obiettivo un esercizio creativo sui segni alfabetici, sulle lettere, alle quali progressivamente si aggiunge anche il colore. Proprio a partire da questa apertura al mondo delle lettere Marini elabora, nel 2016, il “Manifesto per la liberazione delle lettere”, atto di fondazione della cosiddetta TypeArt, di cui l’artista nativo di Monselice è dunque il caposcuola: l’obiettivo di fondo di questa particolare arte, a cui non è estraneo l’influsso dell’arte calligrafica dell’Estremo Oriente, è quello di «liberare le lettere dalla

loro schiavitù», ovvero cessare almeno per un attimo di vederle come elementi strettamente funzionali alla scrittura, alla quale finiscono in tal modo per essere assoggettate, e cominciare a considerarle davvero in sé stesse, come oggetti la cui pura bellezza, esaltata dalla pittura, può «nutrire la fantasia»; potente in questo senso l’immagine, menzionata nel Manifesto, delle lettere da considerare non più come «api operaie» bensì come «api regine», dotate quindi di quella dignità di oggetti d’arte che la tradizione occidentale ha accordato, nelle parole dello stesso artista, ai paesaggi e ai ritratti.

E in queste settimane la TypeArt di Lorenzo Marini è di scena a Siena, con la mostra “Di Segni e di Sogni”, ultimo approdo di un progetto espositivo che, comprendendo anche la tappa veneziana di cui si è detto prima, ha visto le opere dell’artista veneto esposte anche al Gaggenau hub di Milano e presso l’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles.

Inaugurata il 20 luglio e visitabile fino al 20 ottobre negli spazi del Complesso Museale Santa Maria della Scala, la mostra “Di Segni e di Sogni” – per la cui realizzazione Marini riconosce il decisivo contributo dell’amministrazione comunale della città del Palio – si compone di cinque tappe, che vanno dalle 22 opere nella sala San Pio, che mostrano i primi esperimenti dell’artista sugli alfabeti, all’installazione di acciaio specchiato nella Cappella del Manto, al monolite che si accende e si spegne nella sala Sant’Ansano, alla rappresentazione della tastiera di un computer in una dimensione cento volte maggiore del reale, alla pioggia di lettere sospese tra le volte della sala San Galgano. Completa il percorso, fuori dal complesso museale, l’alfabeto scomposto di 35 type circolari posto in Piazza del Campo attraversabile e percorribile da parte dei visitatori, che diventano così parte attiva della mostra, di cui si conferma in tal modo il carattere «evenemenziale» e immersivo sottolineato dallo stesso Lorenzo Marini.

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