Valsanzibio è stato portato all’attuale splendore nella seconda metà del Seicento dal Nobile veneziano Zuane Francesco Barbarigo, aiutato dai figli Antonio e Gregorio. Fu proprio quest’ultimo, il primogenito, cardinale, vescovo di Padova e futuro santo, ad ispirare l’alta simbologia del progetto dovuto al principale architetto e fontaniere pontificio Luigi Bernini. Infatti, l’allora Cardinale Gregorio Barbarigo, in seguito ad un voto solenne fatto da suo padre nel 1631, volle che il giardino di Valsanzibio fosse un monumentale emblema della via di perfezione che porta l’uomo dall’errore alla Verità, dall’ignoranza alla Rivelazione.
Questo eccezionale esempio di giardino barocco consta di oltre 60 statue scolpite nella pietra d’Istria, in gran parte opera del Merengo, ed altrettante sculture minori che si integrano ad architetture, ruscelli, cascate, fontane, laghetti, scherzi d’acqua e peschiere, fra innumerevoli alberi ed arbusti, su più di 10 ettari di superficie. Inoltre, all’interno del complesso e tappa importante nel Percorso di Salvificazione, c’è il Labirinto di Bosso, la simbolica Grotta dell’Eremita, l’Isola dei Conigli e il Monumento al Tempo.
Il giardino di Valsanzibio, realizzato tra il 1665 e il 1696, è quindi uno straordinario esempio di giardino simbolico interamente leggibile e oggi si presenta come uno dei più estesi ed integri giardini d’epoca mondiali, che è valso il primo premio come “Il più bel giardino d’Italia” nel 2003 ed il terzo più bello in Europa nel 2007. Il merito di ciò va alle assidue cure dei Nobili Homini Barbarigo durante tutto il Sei e Settecento, nell’Ottocento a quelle del Nobil Homo Michiel e, poi, dei Conti Martinengo da Barco, nei primi del Novecento dei Conti Donà delle Rose e dal 1929 dei Nobili Pizzoni dei Conti Ardemani. Proprietari da tre generazioni della intera tenuta, che hanno riparato i disastri causati dalla occupazione militare e dal forzato abbandono dell’ultima guerra ed hanno recentemente ripristinato tutti i trentatre punti d’acqua del Giardino compromessi da ottanta anni di progressivo impoverimento sorgivo.
In particolare, il labirinto di Valsanzibio è stato realizzato con seimila arbusti di bosso sempreverde. La maggior parte di queste piante sono secolari – hanno oltre 400 anni – e sono state piantate tra il 1664 e il 1669, quando il giardino di Valsanzibio è stato creato e portato all’attuale fisionomia. L’intero percorso del labirinto, lungo circa un chilometro e cinquecento metri, comporta ottomila metri quadrati di spalliere potate annualmente. Occorrono millecinquecento ore di lavoro con tosasiepi manuali e motorizzati con l’aiuto di scale, metri, livelle e fili a piombo. Poi ci sono sostituzioni di piante, concimazioni, letamazioni, zappature da farsi a mano, trattamenti anticrittogamici e pulizie. Anche per questo i grandi labirinti d’epoca, che durante due o trecento anni avevano resistito al succedersi di mode e vicende minacciose diverse, hanno dovuto soccombere alle metamorfosi economiche e sociali del XX secolo.
Il labirinto di Valsanzibio, come la maggior parte dei labirinti di verzure del Cinque e Seicento, al di fuori del ruolo giocoso e ludico, conserva una natura misterica propria dei monumenti Rinascimentali e Barocchi, nei quali la simbologia non di rado presiedeva al progetto e rappresenta una importante tappa nel percorso di salvificazione voluto dal Santo ed iniziato dal Portale o Padiglione di Diana, monumentale ingresso al giardino, e simboleggia l’arduo cammino della perfettibilità umana. Infatti, al quadrato del labirinto ci si arriva ancora carichi di peccati, angosce e confusi sul proprio ruolo terreno. Disorientati fra alte pareti di bosso, si procede nel dubbio assillante dato da tredici trivi e quadrivi. La strada giusta per raggiungere l’alta meta centrale e, finalmente avere chiare le idee sulla propria vita, non è mai quella apparentemente più breve. Ogni promettente scorciatoia allunga di molto il cammino oppure finisce in uno dei 6 vicoli ciechi, i primi 6 vizi capitali (Gola, Lussuria, Avarizia, Accidia, Ira ed Invidia), o nel duplice e confluente circolo vizioso che rappresenta il 7° e più insidioso vizio capitale, la superbia. Questi errori impongono il ritorno sui propri passi ed il pentimento del peccato commesso. Colui che si ravvede e ritrova la giusta via, incontra nuovi dilemmi e deve evitare o correggere nuovi errori facilmente reiterabili. Raggiunge ed ascende facilmente la meta solo chi aborrisce la perdizione e con fiduciosa speranza chiede ed ottiene aiuto dall’alto. Infatti, alla fine di questo percorso di espiazione, mondi e purificati dai propri vizi e peccati, si arriva al centro del labirinto su di una torretta rialzata e, dal punto dominante così raggiunto, tutti i trivi e quadrivi superati svelano allegorica valenza di tentazione, vizi o virtù e, soprattutto, al di là del labirinto oscuro, rivelano la luminosa realtà che è obiettivo e premio per l’impegno profuso. Dall’alto della torretta si ha, finalmente, chiara la visione di quale è il proprio ruolo su questa Terra e sempre in modo allegorico, con questa nuova nozione e ritrovata purificazione, è quindi possibile dirigersi in un altro quadrato del giardino, la Grotta dell’Eremita, a meditare su quanto raggiunto e scoperto dopo il cammino nel labirinto.