L’intrinseca complessità di uomo e natura: l’arte di Andrea Prandi

Classe 1979, il veneto Andrea Prandi è stato negli ultimi anni protagonista di una personale ascesa professionale che l’ha portato a gravitare sempre di più attorno al centro caldo dell’arte contemporanea italiana. Un percorso fatto di successi e meritato riconoscimento, che parte da lontano – dagli studi di Belle Arti e il perfezionamento sotto il maestro Giorgio Scarato – e giunge alla prolifica attività che oggi accompagna la carriera dell’artista.

Una carriera che non si è mai fermata a partire dal 2015, quando il Comune di Bolzano ha ospitato presso il Planetarium Suedtirol la prima personale di Prandi, il quale ha dato vita al proprio atelier veronese nello stesso anno. Nel 2016 è nientemeno che il Bramante a Roma a volerlo, e la stessa città a premiarlo come “Miglior Artista” secondo Arte Musei Roma. Di mezzo, Copenhagen, Venezia e Milano.

Dal 2017 in poi, un artista ormai maturo genera i lavori che oggi fungono da punto di riferimento per chiunque si affacci alla sua opera: a Verona è presentata “Il Labirinto dei Sogni”, un approccio alla mente umana lynchiano e onirico nel quale lo specchio dei protagonisti è la loro anima, contorta e mai priva di oscurità – un confronto al quale l’artista stesso non intende sottrarsi. Un tema, quello del Labirinto, che diviene così parte integrante del pensiero di Prandi e inizia ad accompagnarlo nel resto dei suoi lavori. Anche quando, caduta l’allegoria, solo in senso meramente illustrativo.

E di lì fino a oggi, con “L’anima in Fiore” presentata alla 57 Biennale di Venezia e in permanenza a Rovereto e non esente anch’essa dall’immaginario visivo appassionato del labirinto. Una passione, peraltro, che nelle parole di Prandi non fa che rendere realtà «una Visione che vuoi vedere materializzata davanti ai tuoi occhi per poterti emozionare del potere stesso della creazione, dove tu sei sia tramite che parte del tutto».

Non è impensabile che a dirlo sia chi è cresciuto con i maestri del manga quali Akira Toriyama o Kentaro Miura, diversi nello stile tra loro ma entrambi acuti forgiatori di una fantasia interna che diventa realtà, e che maturando si è approcciato ai districati labirinti – appunto – delle menti di Escher, Hirst, Vasarely o Koons.

Un flusso quasi spiritico di cui l’artista si fa medium in terra, quello tra mente e realtà, spesso criptico e intrinsecamente complesso, bisognoso di traduzione e adattamento. Non è altro che la base dell’arte, come sornionamente sa quel Prandi che ha imbottigliato il concetto stesso per renderlo, a sua volta, parte integrante di quell’arte che egli stesso pensa, progetta e infine produce.

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