IL NUOVO LIBRO DI SALVATORE SETTIS E GIULIA AMMANNATI: “RAFFAELLO TRA GLI STERPI. LE ROVINE DI ROMA E LE ORIGINI DELLA TUTELA”.

La famosa lettera, fra i testi più citati del Cinquecento, elevata al rango di “statuto iconico”, è il tema del nuovo libro: “Raffaello tra gli sterpi. Le rovine di Roma e le origini della tutela”.

Il volume è scritto dall’archeologo e storico dell’arte Salvatore Settis e da Giulia Ammannati, docente di paleografia latina alla Normale di Pisa, la quale si è occupata della ricerca riguardo le due versioni della Lettera, quella autografa di Baldassarre Castiglione e quella del manoscritto di Monaco, in cui la presenza di Raffaello si avverte profondamente e in cui viene esposta nel libro una immagine sinottica.

Al grande Maestro urbinate, si deve l’intensa difesa delle rovine e l’appassionato desiderio di mantenerle, misurarle, tramandarle alle discendenze future.

Il libro, edito da Skira, è stato presentato dai due autori nelle Scuderie del Quirinale, luogo dell’esposizione dedicata a Raffaello nel 2020, e per la quale sempre Salvatore Settis aveva realizzato un opuscolo dato gratuitamente al pubblico.

Il libro si identifica, ha illustrato Salvatore Settis, come il proseguimento di quel lavoro, e in special modo ha origine da una “insoddisfazione”: quella di ridare all’insigne pittore tutto ciò che gli è dovuto mediante la consapevolezza che egli aveva della necessità di salvaguardare appunto il patrimonio antico, proprio nel momento in cui il Papa chiedeva di spogliare i monumenti romani dei marmi per realizzare la nuova San Pietro il più velocemente possibile.

Insieme agi autori, sono intervenuti durante la presentazione del libro Marzia Faietti, Storica dell’arte e docente all’Università di Bologna e Claudio Parisi Presicce, Direttore dei Musei Capitolini.

“Raffaello tra gli sterpi è un libro che si legge facilmente, avendo la capacità di collegare tanti aspetti del periodo. Primo saggio ad avere una analisi filologica e una lettura sinottica del testo, cosa che consente l’approfondimento genetico e la ricostruzione di come si sia svolto il gioco delle parti tra Raffaello e Baldassarre Castiglione. Una lettura estremamente piacevole, con immagini poco note e di qualità altissima”, ha dichiarato Claudio Parisi Presicce.

Il volume racconta della celebre Lettera a Leone X, 1519-1520, che non fu mai ultimata, ne mai fu inviata al destinatario, e nonostante ciò seguita a suscitare interrogativi e dubbi. Chi fu l’autore? Il principale manoscritto, ora a Mantova, è totalmente di mano di Baldassarre Castiglione, ma chi si rivolge al Pontefice dicendo “io”, è sempre e soltanto Raffaello, che analizzava le rovine?

La morte prematura del celebre pittore, 6 aprile 1520, il cui lavoro sul testo è citato in un manoscritto di Monaco, chiarisce perché uno scritto così importante rimase incompiuto. Ma in realtà quale fu il ruolo di Raffaello e quello invece di Castiglione? Perché tante correzioni e varianti nei manoscritti? Di chi è l’idea di ricreare in disegno Roma antica e di salvaguardare i suoi capolavori? Del Papa, di Raffaello o di Castiglione?

La lettera è formalmente chiamata Lettera a Leone X, ma quel pontefice, il primo della famiglia Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, cresciuto e vissuto pervaso di arte, uomo coltissimo e per il quale Raffaello lavorava a Roma, non l’ha mai ricevuta nonostante fosse lui il destinatario. Il pressante appello che l’autore e gli autori gli rivolgono, con “implicita autorità intellettuale”, di tutelare le antichità romane in riferimento al presente e al futuro, il Papa, esortato fra l’altro a differenziarsi riguardo le azioni insensate dei suoi

precursori che purtroppo avevano concesso che i monumenti romani antichi fossero utilizzati come cave, non lo hai mai detto.

Parliamo di un documento del tutto straordinario per molteplici motivi: è l’abbozzo non datato di un testo riservato alla pubblicazione, tramite cui, Il Maestro urbinate si rivolge a Leone X accompagnato da una pianta di Roma antica con i rilievi dei più significativi monumenti archeologici. Sin dall’inizio della sua presenza nella Capitale, dal 1508 circa, il pittore si era dedicato ad una profonda e intensa analisi dei ruderi delle antica Roma.

“Li quali io con molta diligentia et fatica perscruttando per molti lochi pieni di sterpi inanti e quasi inaccessibili ho ritrovati”, (p.19 della lettera).

Sulla base di tali studi, egli voleva riportare i rilievi in pianta, prospetto e sezione dei più rilevanti siti archeologici della Roma classica, suggerendo anche la metodologia scientifica per attuare i disegni secondo proporzioni architettoniche. La lettera si identifica, appunto, come un breve trattato scientifico sul rilievo architettonico e sulla resa grafica, prodotto delle ricerche che Raffaello stava effettuando sul testo di Vitruvio, in virtù della traduzione dal latino datagli dal colto medico ravennate Marco Fabio Calvo.

Sappiamo infatti, che Raffaello non conosceva la lingua degli antichi romani, ne aveva la preparazione retorica per comunicare nella maniera formalmente più appropriata con un destinatario quale papa Leone X, al tempo Giovanni de Medici. Ma l’io che scrive della Lettera non è il letterato, piuttosto l’artista, infatti quando afferma: “essendo io stato assai studioso di queste antiquità, et havendo posto non picciola cura in cercarle minutamente con diligentia” o quando si rappresenta intento a incunearsi nei ruderi strisciando ”con molta diligentia e fatica per molti lochi pieni de sterpi e quasi inaccessibili”, per poi illustrare tecnicamente gli strumenti ed i metodi del rilievo architettonico.

Raffaello, il primo soprintendente dei beni culturali, suo malgrado dovette infatti distruggere, per volere del suo altissimo mecenate, proprio questi edifici artistici che avrebbe voluto mappare in moderni, sistematici rilievi, ricreare sulla carta la loro immagine originaria, e restituirli al futuro nel migliore stato possibile.

Il volume contempla quindi l’origine del concetto e pratica di salvaguardia del patrimonio culturale, il fulcro basilare per la storia della tutela dei monumenti del passato, poiché quando Raffaello fu nominato dal pontefice prefetto delle antichità di Roma, non c’era nessuna regola di conservazione dei beni artistici ed egli dovette codificare un patrimonio non classificato e disperso.

Il documento è stato materia di approfonditi studi e pubblicazioni in edizione critica di Francesco Paolo di Teodoro, che in relazione ad approfondite verifiche e analisi ne riporta la redazione fra il settembre e il novembre del 1519, un anno prima della morte del Maestro urbinate.

Raffaello Sanzio non riuscì a concludere il lavoro di grande importanza archeologica ed architettonica della Roma classica, ed il testo di accompagnamento non fu mai realizzato nella redazione definitiva per la stampa, rimanendo in minuta fra le carte personali di Baldassarre Castiglione, sino ad oggi. Soltanto nel 2016, dopo l’acquisizione della Direzione Generale Archivi nell’allora direttore Gino Famiglietti, la Lettera, di proprietà degli eredi Castiglioni, insieme alle carte e ai libri propri del letterato, è giunta allo Stato italiano ed è ora conservata nell’Archivio di Stato di Mantova, con il restante archivio dell’antica e nobile Famiglia.

“La lettera con la sua capacità di blandire Leone X”, ha chiarito Salvatore Settis, “va letta come una forma di protesta di Raffaello che proprio con il suo strisciare tra gli sterpi delle rovine di Roma antica acquisiva

sempre maggiore consapevolezza della loro decadenza e della loro grandezza. Quindi “come si fa per i potenti”, Raffaello pensa di opporsi a Leone X cercando di lusingarlo. La morte prematura dell’artista causò evidentemente l’incompiutezza del progetto degli amici Baldassarre e Raffaello probabilmente destinato alle stampe”.

E come dichiarato da Giulia Ammannati: “il manoscritto di Monaco dà conto di una fase intermedia del lavoro che Raffaello, se non fosse scomparso avrebbe fatto vedere all’autore del Cortegiano”.

Nel libro risalta lo scenario culturale della Roma di Leone X, la visione di Raffaello su Roma antica, una Roma di stupefacente dignità e bellezza in cui dilagavano efferatezze e ignoranza.

Ancora il rapporto del pittore con Baldassarre Castiglione, il coraggioso progetto che si delineò negli ultimi suoi mesi di vita, e infine l’eredità intellettuale che tale lettera mai inviata trasmise alle generazioni successive, sino ad arrivare a noi.

Nel volume, il lettore leggerà non solo il testo critico dei due principali manoscritti, ma anche un discorso “sinottico e genetico”, come già citato, che parla della stratificazione di bozze, correzioni, versioni alternative, mettendo in luce contemporaneamente, sia la stesura del Castiglione sia la forma testuale su cui Raffaello lavorò negli ultimi mesi appunto della sua esistenza.

Salvatore Settis, archeologo e storico dell’arte, ha diretto a Los Angeles il Getty Research Institute, 1994-1999, e a Pisa la Scuola Normale Superiore, 1999-2010.

Giulia Ammannati insegna Paleografia latina alla Scuola Normale di Pisa, si è dedicata a Giotto, al Duomo e alla Torre di Pisa, al testo di Apuleio.

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