LA TERZA FASE DELLLA MOSTRA: “COLORI DEI ROMANI. I MOSAICI DALLE COLLEZIONI CAPITOLINE”. ALLA CENTRALE MONTEMARTINI NUOVE SEDICI OPERE.

La terza fase della mostra: “Colori dei Romani. I Mosaici dalle Collezioni Capitoline”, presenta al pubblico dal 14 marzo al 25 giugno 2023 alla Centrale Montemartini, ulteriori sedici opere da poco restaurate, e non mostrate prima.

Attraverso tale serie di composizioni, la narrazione della rassegna si amplia fino all’età-tardo antica con tipologie di opere fino adesso assenti nel percorso espositivo: i mosaici a grandi tessere marmoree e l’opus sectile, ubicati all’interno di una nuova sezione: “I Colori del marmo”.

L’utilizzo dei marmi colorati si diffonde in modo maggiore lungo il periodo della suprema espansione dell’impero, sia nella sfera privata che nell’architettura pubblica, civile e sacra.

L’evento è a cura di Claudio Parisi Presicce, Nadia Agnoli, e Serena Guglielmi, ed è promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali.

Fin dalla sua inaugurazione, nell’aprile 2021, il progetto espositivo: “Colori dei Romani”, s è incrementato in rapporto alla regolare e incessante operazione conservativa dei mosaici delle Collezioni Capitoline e, soprattutto, dell’enorme patrimonio contenuto nella collezione dell’Antiquarium Comunale. Ecco quindi la nascita di una mostra “rinnovabile”, da presentare ogni volta mediante le opere ripristinate, che nella rassegna vengono in tal modo valorizzate, permettendo l’approfondimento dei temi contenuti.

Un evento significativo per descrivere tramite la trama colorata di tali manufatti, parti di storia della Capitale, raccontando gli ambiti originari di ritrovamento in maniera minuziosa e accurata.

Vicino ai Mosaici, sono presenti anche gli affreschi e le sculture che, con essi, determinavano l’arredo degli edifici di provenienza; questa esibizione complessiva permette l’interpretazione delle scelte iconografiche, i motivi decorativi, l’immagine formale delle composizioni come manifestazione del senso estetico e delle richieste della committenza.

Claudio Parisi Presicce, Sovrintendente capitolino ai Beni Culturali, ha affermato: “La mostra è l’esito di un lungo percorso di ricerca, di ricomposizione, di restauro di questo particolare materiale dell’arte antica che è il mosaico. Abbiamo voluto aggiungere un settore specifico che è quello dei pavimenti, in lastrine marmoree, segmenti di riutilizzo del marmo colorato che chiamiamo opus sectile. I sectilia pavimenta erano quelle diverse tipologie di disegno per lo più geometrico, dei pavimenti di epoca tarda, III, IV secolo d.C, che decoravano i grandi ambienti sia delle terme sia di edifici pubblici sia delle residenze private”.

“Marmoream se relinquere, quam latericiam accepisse”.

Attraverso questa famosa frase lo storico Svetonio narra come l’imperatore Augusto, 27 a.C.-14 d.C., migliorò così tanto l’Urbe da potersi compiacere di aver creato una città di marmo, in precedenza di mattoni.

Gli antecedenti del mosaico caratterizzato da tessere, sono i pavimenti a ciottoli colorati che già dal V-IV secolo a.C. decoravano con scene figurate le abitazioni in numerose città della Grecia e della Macedonia, della Sicilia e della Magna Grecia. Il graduale passaggio alla tecnica del tessellato, alle opere create attraverso tessere tagliate, si ebbe dal III secolo a.C.. In tale età a Roma le pavimentazioni erano per lo più

cementizie, cioè costituite da una miscela di legante e aggregati litici o fittili, e pertanto molto resistenti al deterioramento.

Le prime documentazioni di mosaico nella Capitale si hanno intorno alla fine del III secolo a.C. Subito dopo, con l’espansione in Grecia e in Egitto, e quindi con gli scambi non solo commerciali ma anche culturali, si realizza un interesse per l’analisi estetica e l’eleganza nelle opere.

In principio le maestranze venivano dalla Grecia, con stili di lavorazione ed elementi del repertorio musivo ellenistico. Il mosaico romano si svincolerà dalla tradizione greca, propagandosi in tutto l’impero romano erano favoriti i contenuti figurativi, in genere stereotipati e maggiormente motivi geometrici e vegetazione stilizzata, in cui i romani erano abilissimi.

Ritenuto inizialmente bene di lusso, cioè non per tutti i cittadini, il mosaico ebbe una diffusione lenta. I mosaici bicromi, bianchi e neri apparsero nel periodo adrianeo, I metà del II secolo d.C., sia figurati che decorativi. Essi furono utilizzati moltissimo nelle terme, nei luoghi ad uso pubblico e nelle case più semplici, legando la sobrietà e l’economicità con una amplissima serie di varianti.

Nella Roma del III e del IV secolo d.C., vi era una grande dotazione di marmi colorati e gli scarti di lavorazione provenienti dai vasti cantieri edili erano adoperati per molteplici intenti, anche per l’esecuzione di tessere di mosaico. Nei primi anni del I secolo a.C., una categoria peculiare di mosaici pavimentali furono attuati con l’impiego quasi esclusivo di tessere di ricchi marmi policromi e di porfido.

Si diffusero anche i pavimenti in connessi di marmo denominati sectilia, principalmente in strutture pubbliche o di persone importanti, coma ad esempio i Palazzi del Palatino a Roma e Villa Adriana a Tivoli. Le tessere, a volte di dimensioni minutissime, creavano figure proprie della pittura, o decorazioni riferite all’architettura. I materiali impiegati erano il marmo, le pietre di varia natura e paste vitree. I più antichi sectilia pavimenta, erano formati da lastrine di piccole dimensioni di materiale non marmoreo.

Dalla tarda età di Augusto, 37 a.C.- 14 d.C, si ebbero lentamente lastrine di marmi bianchi venati e colorati.

Ora vogliamo evidenziare e descrivere alcuni dei mosaici e delle opere più rappresentative presenti in mostra.

Il mosaico pavimentale con meandro del I – II secolo d.C., è formato da tessere di palombino e basalto proveniente dall’Urbe. Il frammento faceva parte di una cornice che inquadrava il più alto pavimento a mosaico o una soglia. Il motivo decorativo a meandro di svastiche ha vasta espansione nella Capitale, dal I al III secolo d.C..

Il mosaico policromo a cassettoni fu rinvenuto nel 1886 nei lavori di abbattimento della Villa Casali, un complesso nobiliare che era posto su una vasta area sulla sommità del colle Celio, sin dal XVI secolo. Tale manufatto decorava la sala di rappresentanza di una raffinata residenza di età repubblicana, il periodo della realizzazione è databile intorno alla metà del I secolo a.C.. Il mosaico è composto da tessere di palombino, basalto e calcari colorati. Il grande tappeto musivo è formato da cassettoni circoscritti da una cornice composta da una successione di piccoli riquadri neri su fondo bianco. I singoli cassettoni sono definiti centralmente da elementi decorativi diversi fra loro, concernenti al repertorio vegetale e a quello delle armi. Tra essi emergono uno scudo rettangolare attraversato da una lancia, uno scudo a pelta, un elmo gladiatorio e un elemento di complessa interpretazione probabilmente uno strigile. L’ornato pavimentale è poi circondato su quattro lati da una fascia con tessere nere.

Nella parte più alta del Celio, presso piazza San Giovanni in Laterano, fu ritrovato in scavi limitatamente recenti , 1958, il mosaico con l’immagine di un labirinto. Nella superficie Laterano, in epoca romana erano presenti rilevanti strutture: la qualità del mosaico, quasi certamente attuato da un’officina di grande capacità tecnica e creativa, soprattutto per il contenuto figurativo trattato, si pensa che ornasse una stanza della dimora di una personalità della aristocrazia senatoria, vissuta nella prima metà del I secolo a.C..

Abbiamo poi un mosaico policromo pavimentale con motivo a scacchiera del periodo adrianeo, 117-138 d.C., con tessere di marmo e calcari proveniente da Villa Adriana a Tivoli. Il mosaico, del marchese Campana, fu comprato dal Comune di Roma dopo il 1870. Esso faceva parte di un tappeto monumentale che decorava due ambienti dell’edificio della Piazza d’Oro di Villa Adriana. Fu ridotto ad un riquadro per farne probabilmente un oggetto di arredo. Presentava una decorazione geometrica formata da una scacchiera di quadrati a colori alternati.

Ancora presente un mosaico policromo con fascia decorativa in opus sectile, con riquadri e losanghe e con tessere di calcare e pasta vitrea. Il frammento, doveva essere inizialmente il sostegno verticale di una piccola struttura architettonica. L’uso di tessere di pasta vitrea e di calcare dai colori intensi, ha fatto supporre l’appartenenza ad una fontana o ad un ninfeo.

Un altro splendido mosaico è quello del pavimento in opus sectile a modulo quadrato con motivi complessi del IV secolo d.C.. Caratterizzato da vari marmi: bianco, verde antico, portasanta, breccia corallina, occhio di pavone rosso, africano, fu scoperto nel 1938 nell’Urbe tra via Capo d’Africa e via Ostilia. La pavimentazione è formata da lastre di riutilizzo, come risulta dopo il restauro, in cui è stata messa in luce una tarsia che aveva sul retro dei resti di una iscrizione di carattere complesso e articolato. Il pavimento fu rinvenuto in una domus che si ergeva sul Celio, posto conosciuto per la presenza di moltissime residenze aristocratiche.

Le lastrine mostrate in vetrina, sono di una collezione di marmi colorati mantenuti nei depositi della Centrale Montemartini. L’insieme è composto da 750 campioni di svariate qualità di marmi tagliati e lucidati con precisione in mattonelle rettangolari. Di tale insigne raccolta, ubicata da decenni nelle collezioni dei Musei Capitolini, non si riesce a risalire alla datazione e alle modalità che portarono al suo ottenimento.

In conclusione, nel percorso espositivo è stato incluso un grande mosaico con motivi vegetali e uccelli, proprio di una tomba della necropoli di via Portuense. Esso fu ritrovato nel 1926 durante la costruzione del primo tratto della nuova via della Circonvallazione Gianicolense, vicino alla stazione Trastevere. Questo mosaico è esposto insieme alle iscrizioni funerarie dell’estinto, che attestano informazioni significative e preziose per il periodo storico e sui possessori di tali sepolcri, alcuni dei quali stranieri.

Tutti i mosaici provengono dall’Antiquarium dei Musei Capitolini.

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