La retorica musiva di Pasquale I: le decorazioni absidali di S. M. in Domnica, S. Cecilia in Trastevere, S. Prassede

Se Leone III (795-816) può essere definito il grande rinnovatore del mosaico romano, specialmente in chiave politica, come espressione dell’antichità e legittimità dell’istituzione papale, Pasquale I (817-824) si configura come colui che eredita questa rinnovata usanza e la applica con una formula sua propria, distintiva e ben riconoscibile sia nelle committenze dal carattere personale più accentuato – è il caso dell’oratorio funebre che fa costruire per sua madre Teodora in Santa Prassede, il cosiddetto Sacello di San Zenone – sia nelle opere religiose più tradizionali, apportando alla fiera solennità già leoniana il suo tocco personale, col quale – attraverso alcune innovazioni – rende ancora più orgogliosa e spettacolare la retorica del mezzo musivo.

Gli esempi più eloquenti dello stile caratteristico di Pasquale I sono i mosaici absidali di tre chiese, da lui fatte edificare e decorare: Santa Prassede, Santa Maria in Domnica e Santa Cecilia in Trastevere.

Il modello architettonico tardoantico per queste sue basiliche era costituito dalla costantiniana S. Pietro in Vaticano, emulata nella struttura e nei volumi; l’esempio musivo al quale Pasquale I si rifà maggiormente è, invece, quello della decorazione (dell’abside e dell’arco che lo precede) della tardoantica basilica dei SS. Cosma e Damiano. Proprio come nella basilica dedicata ai due martiri medici, infatti, un Cristo tra le nubi, circondato da santi e corredato da una lenta e solenne Adorazione dell’Agnello, adorna anche le absidi di S. Cecilia e di S. Prassede.

I soggetti di per sé sono, come già quelli di Leone III, particolarmente adatti a rappresentazioni che miravano ad ottenere un forte impatto sull’osservatore, a mostrare chiaramente ed inequivocabilmente la gloria di dio e, di conseguenza, il potere della chiesa e dunque anche dell’uomo, il papa, che aveva ereditato l’ufficio che a S. Pietro era stato affidato da Cristo in persona. Una manifestazione visiva, dunque, dell’antichità e del potere papale e cattolico, nella quale non c’è posto per il quotidiano: si tratta di scene sempre visionarie, nelle quali a dominare nella composizione sono le figure umane, le quali però appaiono rigidamente beate, circondate da un’aura spiritualizzante che le solidifica, le allontana dall’umano avvicinandole, conseguentemente, al divino. In questo aspetto sta la maggiore differenza tra queste e le figure tardoantiche alle quali esse si ispirano, le quali invece pur rappresentando santi e papi, angeli e divinità, erano dotate, nelle pose e nelle sfumature, di una naturalezza pienamente umana.

Come accennato, però, Pasquale I introdusse alcune importanti novità: nella decorazione absidale di S. Maria in Domnica, di fronte ad una nutritissima schiera di angeli, Pasquale I (con la consueta aureola quadrata, specifica dei personaggi ancora viventi) si fa rappresentare inginocchiato ai piedi della Vergine in trono con il Bambino, una posa inedita per un’abside benché già nota; nell’arco absidale della sua S. Prassede, invece, è raffigurata una Gerusalemme Celeste – rivestita d’oro e ornata di gemme – che per la prima volta nell’arte monumentale romana riproduce fedelmente la descrizione contenuta nel capitolo XXI dell’Apocalisse di S. Giovanni.

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