LA QUADRERIA RUGGI D’ARAGONA NEL MUSEO DIOCESANO DI SALERNO

La quadreria Ruggi d’Aragona nel Museo Diocesano di Salerno è una raccolta di pittura sacra barocca, una ricca collezione che comprende opere di grande valore artistico, già di proprietà della nobile famiglia, che molta importanza rivestì nella storia cittadina. L’insieme è ricco e documenta un raffinato gusto collezionistico: lascito testamentario, nel 1870, del Marchese Giovanni Ruggi d’Aragona alla cattedrale di Salerno. Non esistendo alcun documento riguardo la consistenza di tale donazione, si deve fare riferimento a quell’unico elenco pubblicato nel 1929 da monsignor Arturo Capone, nel II volume del “Duomo di Salerno” in cui indica i 28 dipinti e i rispettivi soggetti, conservati nella sacrestia della cattedrale di San Matteo di Salerno. Ma nel 1930 a causa di lavori di restauro della chiesa fu spostata l’intera collezione nelle sale del Museo Diocesano ove monsignor Capone nel 1935 costituiva il nucleo principale della pinacoteca. Con il sisma del 1980, la sede museale e tutti i dipinti vennero forzatamente trasferiti presso il complesso dell’ex seminario e da lì furono collocati definitivamente nei depositi dell’arcidiocesi. Attualmente nel Museo Diocesano San Matteo di Salerno gli spazi espositivi sono caratterizzati da opere che vanno dal I secolo a. c. al XX secolo totalmente derivanti appunto da lasciti e donazioni di privati ma il nucleo di maggior rilievo della pinacoteca è senza dubbio la quadreria Ruggi d’Aragona posta nella VI sala. Il museo affonda le proprie radici in secoli ormai lontani e rappresenta la storia e l’identità della città custodendo testimonianze altissime per qualità. La collezione si compone quasi esclusivamente di opere del 600 napoletano con un gran numero di dipinti di cultura naturalistica ed una ricca componente di natura barocca. Scorrendo le attribuzioni abbiamo artisti del calibro di: Filippo Vitale, Francesco Guarino, Massimo Stanzione, Agostino Beltrano, Andrea Vaccaro, Nicola Vaccaro, J. Ribera, Henric van Somer, Nicola Malinconico. Un’ indagine sui soggetti e sull’ iconografia dei dipinti di carattere religioso della quadreria Ruggi d’Aragona indicano una collezione che abbraccia episodi presenti nella Bibbia, prescelti per il loro significato allegorico e morale in una rivisitazione tipologica dei testi sacri. Allo stesso modo sono presenti figure di Santi o della vita di Gesù che esprimono un determinato livello di religiosità. Conosciamo oggi solo le opere di tema sacro della raccolta, senza più poterne apprezzare la parte profana, presumibilmente inscindibile dalle scelte collezionistiche o semplicemente da quanto si era andato accumulando nel corso delle trasmissioni ereditarie. In questo contesto emerge il valore artistico di una collezione che, per gli altissimi livelli delle opere, indica una costituzione attraverso gradi di consapevolezza e di conoscenza. L’analisi dei singoli dipinti rileva anche una rigorosa cultura che si intreccia in maniera puntuale ed impressionante con i dettami controriformistici della religiosità seicentesca. La raccolta Ruggi d’Aragona è il frutto di un collezionismo specialistico coltivato da più generazioni ma sicuramente costituitosi nel corso del XVII secolo in una puntuale sintonia con un gusto in voga fra le nobili famiglie napoletane. Ricordiamo che in Italia e particolarmente nel meridione nell’ex regno di Napoli, dopo la Capitale, Palermo e Bari, si distingueva Salerno ove si impose la famiglia Ruggi d’Aragona e la storia della nobile famiglia, di origine normanna, attraversa quasi 1000 anni di storia del mezzogiorno italiano. Dal punto di vista conservativo i dipinti sono stati sottoposti tutti a restauro, alcuni di essi anche nella sede napoletana di Capodimonte. La gran parte però è stata ripristinata dalla Soprintendenza di Palermo in più fasi, a cominciare dalla fine degli anni ottanta. Il primo restauro ha riguardato soprattutto interventi di foderatura e di prima pulitura evitando integrazioni o rimozioni, il completamento è avvenuto agli inizi del nuovo decennio. La maggior parte del corpus della quadreria è appunto costituita da soggetti sacri oppure protagonisti del Vecchio e del Nuovo Testamento: patriarchi, eroi ed eroine in linea con il gusto della committenza laica per l’abbellimento delle cappelle e delle loro ricche residenze. Campeggia all’ingresso della sala VI dell’importante Museo Diocesano “Giuditta e la fantesca” di Francesco Guarino: la figura dell’eroina, riccamente abbigliata, domina la scena del dipinto in atteggiamento fiero e porta tra le braccia la testa di Oloferme, dopo aver compiuto l’efferato gesto. Conquistano gli occhi dell’osservatore i colori, i giochi di luce ed ombra e i toni chiaroscurali del quadro, che in passato ne hanno determinato l’attribuzione a Caravaggio. Un “David” giovane e popolare, attribuito a Hendric van Somer, è ritratto a mezzo busto con il bacino avvolto da un drappo bianco, la cui mano sinistra poggia sulla testa di Golia e con l’altra regge la fionda con la quale l’ha sconfitto. La tela presenta tratti enigmatici non solo per quanto riguarda l’attribuzione, ma anche per la sua fisionomia, in quanto sullo strato inferiore si riscontrano figure di cavalli e cavalieri precedentemente dipinti, che ne dimostrano il suo reimpiego. Di estrema delicatezza e naturalezza trova spazio sulla parete destra della sala la “Madonna della rosa” del cosiddetto “Guido Reni Partenopeo” Massimo Stanzione, il quale ha saputo innestare la spontaneità e la grazia dei sentimenti su un realismo di tipo caravaggesco dando una svolta fondamentale al tardo manierismo locale. Il dipinto ritrae la Vergine, restituita in tutta la sensibilità del sentimento materno, che regge sulle ginocchia Gesù recante in mano una rosa, senza spine, simbolo di purezza e rossa, emblema del sangue versato. Lo spirito non ordinario di Nicola Vaccaro, figlio del celebre Andrea, emerge nel dipinto le “Nozze di Cana”. La composizione della scena raffigurante celebri episodi evangelici è costruita su scala monumentale e risulta affollata di personaggi. Il giovane Vaccaro ha saputo accomodare le sue diverse esperienze artistiche in un sobrio eclettismo di matrice barocca, arricchendo le scene con particolari ed elementi profani, che trovano il loro spazio all’interno di una spiccata vivacità cromatica. Passeggiando nella sala, l’occhio dell’osservatore rimane stupito dalla tela di “Girolamo in meditazione” di J. Ribera. San Girolamo è rappresentato come un anziano, in età avanzata, dal quale un lume impietoso mette in evidenza le carni secche e rilassate mentre lo sguardo, con occhi quasi spenti e privi di vista, si fissa sul teschio che regge con entrambe le mani, in un’intensa meditazione. Si accentua l’attenzione sull’aspetto meditativo e intellettuale del soggetto, un esplicito invito alla riflessione sulla caducità della vita e un chiaro riferimento all’amore per la lettura e soprattutto per i testi sacri. Il dipinto si discosta dall’iconografia tradizionale del Santo. Nel percorso del museo analizziamo infine il bellissimo dipinto del “Viaggio di Rebecca” di Agostino Beltrano, esso contiene un doppio valore sia per la teologia cristiana sia per la cultura domestica seicentesca. Rebecca viene infatti identificata come la Chiesa, sposa di Gesù, prefigurato da Isacco. Si sottolinea il valore del racconto biblico in una proiezione dell’amore matrimoniale, come castità dell’anima, approfondendo il concetto della verginità in chiave teologica con il commento del Cantico dei cantici. Il quadro quindi assume un enorme valore in una collezione privata ponendo l’accento sulle virtù della sposa, la donna ideale che obbedisce alla volontà del Signore nell’accettazione del vincolo del matrimonio. La quadreria testimonia la passione per l’arte e la competenza della famiglia Ruggi d’Aragona che spinse i suoi membri a collezionare queste magnifiche opere. I dipinti Ruggi d’ Aragona dello splendido Museo Diocesano di Salerno , si impongono allo spettatore, deliziandone lo sguardo e appagando davvero il desiderio di bellezza e magnificenza.

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