La notizia di Berlusconi su TikTok ha immediatamente fatto il giro della rete. Non si tratta certamente di una novità, dato che molti altri politici del nostro tempo sono approdati nel vasto universo dei social raggiungendo immediatamente migliaia e centinaia di migliaia di visualizzazioni. Che la politica, in quanto fenomeno umano, si adegui alle dinamiche generali del suo tempo è un fatto che non dovrebbe sorprenderci più di tanto. Allo stesso tempo, però, è assai raccomandabile accogliere queste novità con la giusta cautela e con la prudenza propria di ogni franco esercizio del pensiero critico. Lo spazio ristretto previsto dalle piattaforme social induce necessariamente il politico di turno (o chi per lui) a progettare una serie d’interventi estremamente semplificati, immediati e assai incisivi. Sarebbe infatti impossibile – e controproducente – presentare una rete argomentativa ricca e dettagliata ad un pubblico ormai abituato, purtroppo, all’istantaneità di un pensiero veloce e quasi sempre tradotto in immagini. La platea al di qua del black mirror è ormai cablata sull’immediatezza del messaggio, la snellezza dei contenuti e la passionalità della costruzione del videomessaggio. Ciò vuol dire che un contenuto razionale, ragionato, intellettualmente elaborato e carico di dettagli, riferimenti, riflessioni risulterebbe automaticamente incompatibile con una mente veloce e semplificante. Nel terrificante passaggio dalla “fatica del concetto” di hegeliana memoria “all’immediatezza dell’immagine” tipica del nostro tempo tecno-liquido anche la politica (furbescamente?) si accoda all’andamento generale della società liquida. A porsi, però, non sono soltanto problematiche squisitamente antropologiche, psico(pato)logiche e comunicative, ma anche elettorali. Difatti, gli utilizzatori di TikTok, Instagram, Twitter e Facebook costituiscono ad oggi buona parte anche della platea di elettori. La relazione di un determinato politico con la platea di elettori, qualora fosse tecno-mediata, dovrebbe necessariamente utilizzare un registro socio-emotivo adatto al tipo di mezzo utilizzato. Com’è possibile, mi domando, rendere ragione delle tesi espresse in modo accattivante negli istantanei video di TikTok?
La risposta è semplice: non si può. Tutta la comunicazione diventa allora una forma di persuasione e, com’è noto soprattutto a chi abbia una certa familiarità con il pensiero filosofico, la persuasione è il contrario di convincimento. Se il convincimento è un atto dell’intelletto che vede chiaramente le ragioni alla base delle tesi che prende in considerazione e sceglie di tenerle per vere sulla base di evidenze dimostrabili o, quantomeno, assai probabili, la persuasione invece è un moto piuttosto passionale che tiene per vere delle tesi non tanto per le ragioni che ne stanno alla base quanto piuttosto per la soggettiva reazione emotiva che l’interlocutore riesce a stimolare. C’è pertanto un rischio assai concreto che la politica collassi verso una certa forma di tecno-demagogia populista creando l’illusione ad ogni utilizzatore dei social – grazie all’utilizzo di un linguaggio istantaneo e accattivante – che il politico in questione sia “questa volta” davvero vicino alle esigenze del singolo cittadino e sia capace di comprenderne le insoddisfazioni, le speranze e sia quindi “a portata di mano”. Alla noia del classico comizio in piazza e alla volgarità e alla sregolatezza delle dinamiche tipiche dei talk show (è questa la dinamica dei dibattiti televisivi tanto sterili quanto grossolani), la politica in pillole offre un paradigma diverso, un’illusione diversa e una dinamica diversa. L’elettore, in altri termini, non ha da temere lunghi sproloqui tipici della vecchia politica in piazza, non ha da inorridirsi come quando assiste passivamente alla spettacolarizzazione del dibattito televisivo, ma percepisce quasi di essere l’unico destinatario dell’uomo che, sullo schermo del cellulare, gli parla incisivamente, brevemente e, assai spesso, anche in modo divertente. Addirittura a quest’uomo il destinatario può rispondere con dei like che danno l’impressione di essere parte attiva in questa strana relazione distante e vicina allo stesso tempo. Se il canale tecno-mediato è il cavallo di Troia che veicola un furbesco tentativo di accattivarsi quanti più elettori possibili è una tesi che non mi sento di avanzare (sebbene non sia automaticamente da escludere alla luce della degradazione etica del nostro tempo). Tuttavia, in quanto uomini abbiamo il dovere, irrinunciabile e sacrosanto, di esercitare sempre il nostro pensiero critico cercando di realizzare ogni volta che ve ne sia necessità una corretta e adeguata lettura della realtà che ci circonda. In questo senso una lettura corretta di questo fenomeno, inaugurato già da molto tempo dalla classe politica, non può che porsi come occasione di riflessione sul senso e sul valore delle scelte politiche, sulla capacità di valutare fino in fondo programmi e iniziative e sul valore degli ideali veri che non possono camminare e diffondersi sulle gambe di micro-messaggi condensati in trenta secondi video.