La Pala Pesaro di Giovanni Bellini

Il Compianto sul Cristo morto di Giovanni Bellini è una finestra su un dolore pacato, accarezzato da una luce tiepida, che si apre silenziosa sulle pareti della Pinacoteca Vaticana. I fili dorati dei capelli della Maddalena, il chiaroscuro che adombra il volto di Cristo – nella cui espressione pare catturato il momento esatto del suo sfinito abbandonarsi alla morte – e l’aria grave che i quattro personaggi costruiscono attraverso le reciproche interazioni, quell’architettura di gesti alla quale il taglio ravvicinato e lievemente laterale sembrano permettere allo spettatore di partecipare, quasi lasciandogli uno spazio vuoto da riempire con la sua personale commozione, religiosa o generalmente indirizzata al lutto e alla perdita: tutto sembra perfettamente orchestrato dal pittore veneziano in funzione di uno sguardo non soltanto intimo ma materialmente vicino al quadro.

In realtà questa tavola che pare voler sussurrare all’osservatore si trovava, originariamente, in cima ad una pala d’altare alta 2,62 m e commissionata a Bellini per la chiesa di San Francesco a Pesaro negli anni Settanta del Quattrocento. Questo Compianto ne costituiva la cimasa – il coronamento – e andava a completarne il messaggio: la Natività al centro della predella – la serie di riquadri narrativi che fanno da base alle pale d’altare di impianto tradizionale – è il punto d’inizio della parabola umana di Cristo, la morte rappresentata nella cimasa ne rappresenta la fine; nel mezzo l’Incoronazione di Maria, la quale anziché ascendere al cielo sollevata da santi è seduta su un imponente trono marmoreo, collocato prospetticamente su un pavimento geometrico, il cui schienale si apre come una finestra architravata – sulla quale splende la colomba dello Spirito Santo, veicolo della grazia accordata a Maria – inquadrando un paesaggio reale che cattura il nostro sguardo ben più di quanto non riescano a fare gli angeli che dalle nuvole assistono in file ordinate alla scena.

Oltre ai santi Pietro e Paolo e Girolamo e Francesco che presenziano l’evento sacro interagendo con lo spazio fisico del trono, appoggiandovisi e proseguendone il ritmo architettonico – una delle lezioni che Giovanni Bellini ha imparato da Piero della Francesca e che qui mette in atto con una naturalezza pacata e monumentale – vi sono ai lati, a completare lo schema tradizionale della pala d’altare, altri otto santi ospitati in altrettante nicchie (quattro per lato) che amplificano la partecipazione alla scena centrale e fanno da tramite per il fedele in preghiera; al di sotto, invece, la predella narra le vicende di santi variamente legati all’ordine francescano (titolare della chiesa), alla città di Pesaro oppure agli Sforza, signori della città.

A separare la cimasa, oggi in Vaticano, dalla pala, conservata nel Museo Civico di Pesaro e recentemente restaurata, è stata la storia: nel 1797 Napoleone, forte del trattato di Tolentino, porta questa macchina d’altare a Parigi; nel 1815 Antonio Canova, in missione per conto dello Stato Pontificio, riesce a recuperarla, ed è a questo punto che la tavola con il Compianto sul Cristo morto viene aggiunta all’allora neonata Pinacoteca Vaticana.

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