LA GESTIONE OTTIMALE DEL PATRIMONIO INFORMATIVO DELLE BANCHE E DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI NELLA LOTTA AL RICICLAGGIO (1).

LA GESTIONE OTTIMALE DEL PATRIMONIO INFORMATIVO DELLE BANCHE E DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI NELLA LOTTA AL RICICLAGGIO (1).

Sommario: 1. Introduzione; 2. Il ruolo delle banche e l’attività di riciclaggio; 3. L’usura; 4. La collaborazione delle banche; 5. La normativa concernente le banche; 6. La normativa concernente gli intermediari finanziari; 7. Conclusioni.

1. Introduzione.

L’analisi economica e giuridica del riciclaggio che ci accingiamo a compiere cerca di tracciare alcune linee essenziali del fenomeno, senza mai perdere di vista il ruolo che le banche e le Autorità di controllo devono e possono svolgere per contrastarlo.

Il riciclaggio è, infatti, l’attività posta in essere da un soggetto, nel tentativo di occultare l’origine criminale o illecita delle proprie o delle altrui disponibilità finanziarie (2). Esso consta cioè di alcuni aspetti essenziali che sono: i soggetti che agiscono, i flussi finanziari che vengono messi in atto e le ricchezze che ne risultano alla fine del processo. Si tratta di tre aspetti dello stesso fenomeno, ognuno con le proprie peculiarità, ma anche elementi dello stesso disegno criminoso (3). Attraverso la loro sinergia e per mezzo di essi si sviluppa e ha luogo il fenomeno del riciclaggio. Pertanto, attraverso l’individuazione dei singoli momenti, e con la collaborazione degli intermediari, è possibile ostacolarne lo svolgimento. Infatti, il ruolo principale delle banche è proprio quello di avere a disposizione informazioni relative ai soggetti, ai flussi e agli stock di ricchezze. L’individuo o l’organizzazione criminosa mettono in atto i loro piani per ottenere proventi illeciti o fanno uso di mezzi leciti per “trasformare” i prodotti illeciti in mezzi leciti. La scelta tra i due sistemi dipende dalla maggiore o minore facilità di agire all’interno del sistema economico in qualità di soggetti clandestini e anonimi, oppure, dalla rischiosità dell’attività e dalle pene previste dall’ordinamento (4). Per gli operatori illegali, quindi, si tratta di effettuare un’analisi costi-benefici, in cui, accanto ai vantaggi costituiti dalla trasformazione di proventi illeciti in capitali “puliti”, vanno soppesati i rischi e i costi dell’attività economica e dell’ azione di contrasto da parte delle Autorità. In ogni caso, la logica a cui i soggetti criminali obbediscono possono non rispondere a criteri di razionalità, ma essere più facilmente influenzate da scelte legate al territorio di appartenenza e quindi alla più approfondita conoscenza della zona in cui operano, come avviene nel caso di infiltrazioni mafiose nel tessuto economico e finanziario locale in Italia meridionale (5). Oppure, possono svilupparsi soggetti e gruppi criminali esclusivamente dediti allo svolgimento di attività a carattere economico (6). Grave appare, infatti, il pericolo dell’inquinamento delle attività lecite da parte della penetrazione criminale nel tessuto economico e sociale (7), tanto più che esso accresce la forza di tali organizzazioni per la commissione di ulteriori attività illecite. A rendere più difficile l’azione di contrasto si pongono anche i numerosi e diversi canali attraverso i quali è possibile effettuare il riciclaggio dei fondi illeciti. La diversificazione, avviene attraverso l’impiego di tecnologie multiple, procedimenti frazionati e azioni capillari che provvedono alla polverizzazione delle operazioni e alla loro confusione nella mischia degli scambi. Una caratteristica di tali processi e delle organizzazioni criminali che praticano tali attività appare la buona conoscenza dei mercati, l’impiego di operazioni finanziarie complesse o articolate, la capacità di adattamento alle caratteristiche dei mercati, l’abilità a mettere in atto procedimenti di “mimetismo” e camaleontiche attività di copertura. Anche le organizzazioni criminali hanno, infatti, proceduto all’ acquisizione di tecniche finanziarie sofisticate dando all’attività di riciclaggio un posto importante tra le loro attività (8. Esso, pertanto, acquista, a seconda dei casi, la connotazione di attività collaterale e strumentale al compimento di ulteriori azioni criminali, oppure, emerge esso stesso come scopo principale degli operatori criminali. Il procedimento seguito può essere sintetizzato nel seguente modo:

stock illeciti – intermediario/trasformatore – flussi leciti attività legale

attività illecite (9)

Occorre peraltro considerare che, in molti casi, i flussi leciti che derivano da questo processo possono avere una dimensione inferiore rispetto ai flussi immessi all’inizio nel circuito. Ciò dipende dal “costo del riciclaggio” dovuto a fenomeni di corruzione dei funzionari bancari, alle spese delle operazioni finanziarie compiute, alle “mancate occasioni di impiego” dovute alla temporanea perdita di disponibilità delle somme, alla scoperta di tentativi di riciclaggio e al sequestro dei fondi etc. Quanto più basso è questo costo, tanto maggiore è l’incentivo al riciclaggio (10).

Una connotazione particolare acquista il fenomeno del riciclaggio quando viene coinvolto il sistema bancario e finanziario. Tale peculiarità discende, infatti, dal ruolo che gli intermediari bancari svolgo all’interno del tessuto economico. Il ragionamento appare tanto più necessario nell’attuale quadro organizzativo, in cui si assiste ad una lenta ma costante erosione delle differenze esistenti tra le banche e gli altri operatori non bancari. Nel quadro generale dell’organizzazione economica, caratterizzata da una asimmetria delle informazioni, le istituzioni in parola svolgono una funzione di intermediazione tra i soggetti e le loro diverse esigenze finanziarie, accompagnandola ad una non meno importante funzione di garanzia delle operazioni.

Proprio il possesso di queste informazioni, tuttavia, rende le banche particolarmente appetibili per le organizzazioni dedite al riciclaggio. Per mezzo di esse, le organizzazioni criminali, sono in grado di acquisire le tecniche e le informazioni di cui hanno bisogno e, spesso, riescono ad usare gli intermediari legali per mettere in atto operazioni di riciclaggio (11). A causa dei rapporti duraturi e continui con la clientela, la banca è infatti, in grado di conoscere le esigenze finanziarie, diversificare le operazioni, acquisire informazioni ulteriori e mettere in atto economie di scala. La conoscenza personale dei clienti e del mercato locale in cui, specie le piccole e medie banche operano, le rendono un interlocutore privilegiato per gli onesti clienti così come per i criminali in cerca di canali compiacenti per il riciclaggio! Le sue informazioni, infatti, non si limitano a conoscere le esigenze di diversificazione degli investimenti dei risparmiatori, ma si estendono soprattutto alle situazioni e alle necessità (spesso alle difficoltà) economiche relative alle imprese e alle attività commerciali. In quest’ultimo caso, trova un terreno fertile di sviluppo un’altra attività economica criminale particolarmente attuale per la sua pericolosità sociale: l’usura.

Il sistema degli intermediari finanziari può assumere, in tale disegno, una doppia veste: quella di operatori legali, usati inconsapevolmente per scopi criminosi, e quello di operatori illegali creati e gestiti esclusivamente per il perseguimento di scopi illeciti (12). Non stupisce, pertanto, il rilievo che le banche e gli intermediari assumono nei disegni criminali e nell’azione di contrasto da parte delle Autorità di Vigilanza. Per le organizzazioni criminali, infatti, la presenza di intermediari collusi o incapaci di esercitare un rigoroso controllo è un’occasione per trasformare e reimpiegare i capitali illeciti, mentre per le Autorità, la copiosa mole di informazioni in possesso degli intermediari costituisce una fonte importante per l’individuazione e per il contrasto delle operazioni criminose. In quest’ultimo caso, l’intermediario, e in particolare la banca, viene ad assumere la funzione di collaboratore dell’Autorità (13) attraverso la prescrizione di una serie di obblighi legalmente sanciti (14) e per mezzo di codici deontologici curati dalle rispettive associazioni di categoria. Nel cammino verso un sistema creditizio più “maturo” e fortemente sollecitato ad agire secondo una gestione efficiente, competitiva e sana, per gli intermediari è fondamentale raccogliere le informazioni utili e a gestirle al meglio. Le due edizioni delle Indicazioni, pertanto, lungi dal rappresentare un elenco di obblighi meramente formali, assume la veste di un vademecum per “affinare” le capacità di osservazione e di giudizio degli intermediari.

2. Il ruolo delle banche e l’attività di riciclaggio.

La banca, ai fini dell’azione di riciclaggio, rappresenta un ottimo strumento-agente, poiché è in grado di intervenire sia sul fronte dell’attivo, sia sul lato passivo dell’offerta di servizi.

Dal lato del passivo, la raccolta di risparmio può costituire un mezzo di raccolta di capitali, leciti o illeciti (pecunia non olet!), del tutto normale e di grande funzionalità per le organizzazioni criminali, specie se la banca ha essa stessa origine illecita. In quest’ultimo caso, infatti, la scelta di costituzione nasce dall’esigenza di diversificazione degli investimenti dei capitali illecitamente acquisiti, dalla possibilità di ottenere depositi costituiti da capitali “puliti” o dalla difficoltà di reperire fondi sul mercato illegale, nonché, dalla raccolta di informazioni sull’economia locale che rafforzi il potere di controllo sull’area e sui soggetti ivi residenti.

Dal lato dell’attivo, i capitali raccolti possono essere utilizzati per impieghi consoni agli scopi criminali o per l’investimento in attività economiche che rispondano agli interessi dell’organizzazione. Viene in questo modo facilitata l’acquisizione del controllo e della effettiva gestione di attività imprenditoriali locali, anche mediante un’allocazione delle risorse falsata da considerazioni di comodo e non da valutazioni di ordine economico. La banca, pertanto, finisce per dare informazioni fuorvianti sulla redditività e sulla reale situazione patrimoniale di un’azienda, tradendo il proprio compito di valutatore e di garante della convenienza degli investimenti. Concedendo prestiti e rinnovandoli, implicitamente, la banca fornisce un messaggio relativo alla solidità e alla meritevolezza di credito dell’impresa. Quest’ultimo aspetto rappresenta uno dei principali danni che l’impresa bancaria disonesta è in grado di produrre nella struttura economica, non solo locale.

A seguito della despecializzazione bancaria e della liberalizzazione, infatti, la possibilità di un’impresa bancaria “sana” di stare sul mercato dipenderà dalla sua abilità di valutare il merito creditizio e le possibilità di rischio. L’ampliamento della gamma di strumenti finanziari, la capacità di instaurare legami più intensi e l’affinamento dei criteri di valutazione del merito creditizio, saranno un bagaglio indispensabile per il corretto funzionamento delle banche (15) e per una corretta selezione della clientela (16). Il nuovo sistema di organizzazione delle banche, in gruppi polifunzionali o secondo il modello di banca universale, ha spostato l’attenzione dal “merito di credito” all’ “analisi del finanziamento”, impegnando le banche in un rinnovamento degli schemi di valutazione e nell’impiego di nuove e capaci professionalità. In questo quadro, la presenza di distorsioni nell’allocazione delle risorse costituisce una deviazione dai canoni di una corretta valutazione dell’affidabilità delle imprese e rappresenta una grave e pericolosa lacuna, in quanto consente la sopravvivenza, non solo delle sound enterprises, ma anche di quelle infiltrate dalla criminalità organizzata (17).

Il rapporto privilegiato che le banche sono in grado di instaurare con la propria clientela dipende da varie circostanze, tra le quali un ruolo primario è svolto dalla:

* numerosità dei servizi che una banca è in grado di offrire;

* possibilità di finanziare lo sviluppo del capitale di base;

* instaurazione di rapporti di lunga durata, che in quanto generatori di

maggiori e frequenti contatti, sono in grado di costruire un rapporto basato sulla

conoscenza reciproca e sulla trasmissione di una ragguardevole mole di informazioni.

Mentre, dunque, il rapporto banca-impresa subisce intense variazioni nel senso di un più accentuato approfondimento e di una migliore conoscenza reciproca (18), la presenza di intermediari ispirati da finalità criminali distorce e spesso frena questa tendenza. Se, infatti, le informazioni possedute dalle banche non vengono impiegate a vantaggio dei clienti meritevoli, ma per essere spese in attività capaci di riciclare il denaro sporco per renderlo di nuovo “pulito” e disponibile sui mercati illegali, si verifica essenzialmente un dispendio di risorse altrimenti impiegabili. Un costo economico, oltre che sociale di cospicua entità.

In modo particolare, la conoscenza delle informazioni in possesso delle banche da parte delle organizzazioni criminali costituisce un serio pericolo, se viene messo in relazione alla politica dei prestiti che finora è stata messa in pratica dal sistema creditizio.

Le banche e gli intermediari finanziari rappresentano cioè il luogo di incontro delle diverse esigenze di credito. In tale veste, soprattutto le banche necessitano di guadagnarsi la fiducia dei soggetti che con esse entrano in contatto e hanno bisogno loro stesse di raccogliere ed elaborare un gran numero di informazioni sulla situazione patrimoniale ed economica dei loro clienti. Specie quando la clientela è costituita da imprese, emerge prepotente la necessità di configurare il rapporto sulla base di un’ disegno globale dei servizi che possono essere offerti. La parcellizzazione del rapporto che ha finora avuto luogo, affonda le proprie radici nelle crisi bancarie degli Anni ’30 che hanno favorito un intervento “di basso profilo” delle banche nelle imprese e reso preferibile il modello dell’affidamento multiplo. In questo modo, alla banca era consentito di effettuare degli investimenti aventi minime possibilità di perdite e bassi rischi di controparte. Ciò tuttavia determinava, e spesso determina ancora oggi, uno scarso interesse ad approfondire la conoscenza dell’impresa sovvenuta, alla quale la banca, solo sporadicamente e per piccoli ammontari, rimane vincolata (19). Il credito concesso alle imprese, specie a quelle di medie e grandi dimensioni gode di una sorta di “collettivizzazione del rischio”, ma soffre di una grave mancanza di controllo dovuta all’inesistente raccolta di informazioni circa la “buona salute” dell’impresa. Senza l’instaurazione di rapporti d’affari di lunga data e senza un’adeguata raccolta di informazioni riguardanti i propri clienti, difficilmente il compito dell’intermediario potrà essere improntato a criteri di efficienza, competitività e sana e prudente gestione. Il possesso di informazioni aggiornate e corrette circa i propri clienti è infatti indispensabile per svolgere la propria funzione di intermediazione creditizia.

L’ accentuata attenzione agli aspetti patrimoniali dell’impresa richiedente credito e alla presenza di beni e garanzie reali o personali hanno guidato spesso le scelte delle banche nella concessione di prestiti alle impresa richiedenti credito. Ciò era dovuto prevalentemente alle difficoltà insite nel sistema di risoluzione giudiziaria delle controversie e nelle sue lungaggini burocratiche, che consigliavano le banche a ricercare mezzi capaci di assicurare la pronta esperibilità dei titoli e l’immediato recupero dei crediti (20). Inoltre, per evitare eccessive esposizioni alle incerte e alterne fortune di una singola impresa, non è stato e non è infrequente il ricorso ad un frazionamento del portafoglio e al sorgere del cosiddetto fenomeno del “fido multiplo” (21). Quest’ultimo, infatti, permette alle banche di diversificare il proprio portafoglio per evitare eccessivi coinvolgimenti nelle vicende di una singola impresa e, a quest’ultima, di ottenere prestiti da diversi istituti, forte della garanzia rappresentata da un precedente prestito concesso da una diversa banca. In questo modo, l’impresa e la banca sono in grado di agire sul mercato l’una indipendentemente dall’altra, senza eccessivi vincoli. Questa peculiarità del nostro sistema ha permesso il costituirsi e il sopravvivere di una grave debolezza del nostro sistema: da una parte, l’impresa svincolata, ma lasciata sola e quindi inerme, alle sorti del destino, dei condizionamenti esterni e dell’andamento dei mercati; dall’altra, la banca, con un minimo margine di impegno nei confronti delle aziende sovvenute, ma anche con incerte conoscenze delle stesse e con poche capacità professionali di valutazione del merito creditizio (22). Insieme, queste lacune hanno contribuito affinché le organizzazioni criminali rafforzassero il loro potere di intervento nel mercato economico, riciclando il denaro illecitamente guadagnato, condizionando le imprese e i mercati e colmando le lacune lasciate dall’ordinamento giudiziario e dagli operatori economici “sani”. In mancanza di garanzie sufficienti e idonee a soddisfare le richieste delle banche, molte imprese commerciali si sono rivolte agli intermediari illeciti favorendo così il fenomeno dell’usura e avviando un’ ulteriore tecnica di riciclaggio. Attraverso i prestiti ad usura, infatti, è possibile reimmettere ingenti somme di denaro nel circuito economico legale e acquisire il controllo delle stesse attività imprenditoriali, quali copertura per futuri commerci clandestini.

3. L’usura.

L’usura, in effetti, si colloca perfettamente nel quadro generale delle attività criminali, consentendo il riciclaggio di proventi illeciti e l’ acquisizione di nuove fonti di controllo delle attività economiche (23).

Partendo da un’analisi dell’offerta di fondi emerge subito la grande disponibilità di risorse che il sistema dell’usura è in grado di mobilitare ai più svariati livelli. Vi è, infatti, la piccola usura praticata isolatamente dai singoli attraverso il prestito di propri capitali o a mezzo di prestiti ottenuti dal sistema bancario, fino alle organizzazioni criminali che praticano la grande usura. Se nel primo caso, dunque, l’azione di contrasto può essere svolta con un certo successo mediante la collaborazione delle banche e una più capillare azione di contrasto, più complesso è il problema delle organizzazioni su vasta scala, per le quali l’usura è praticata come tecnica di riciclaggio (24). In quest’ultimo caso, e in coincidenza con una più stringente opera di intervento di contrasto da parte delle Autorità, il prestito di denaro alle imprese in difficoltà ha costituito un sistema positivamente collaudato di riciclaggio. Attività produttive incapaci di ottenere finanziamenti dalle banche, perché giustamente o ingiustamente escluse per insufficienti garanzie o scarse possibilità di rientro, hanno costituito un canale ottimale verso cui fare affluire il denaro sporco. Le crescenti difficoltà sperimentate dalle imprese e l’aumento dei capitali di provenienza illecita hanno determinato così un fiorente mercato parallelo che, insieme alla scarsa capacità di valutazione delle banche del merito creditizio delle imprese, ha finito per favorire la nascita e la sopravvivenza di soggetti economicamente non vitali. Per ovviare a questo fenomeno, l’art. 15 della L. 7 marzo 1996 n. 108 (Disposizioni in materia di usura) ha previsto l’istituzione di un “Fondo per la prevenzione del fenomeno dell’usura”. Tale Fondo (da non confondersi con il “Fondo di solidarietà per le vittime dell’usura, istituito con l’art. 14 della stessa legge) prevede precisi criteri per l’ erogazione di contributi a favore di apposite casse speciali costituiti da consorzi e cooperative di garanzia collettiva fidi (“Confidi”), capaci di fornire solide e precise garanzie per le banche eroganti credito alle piccole e medie imprese ad elevato rischio finanziario (25). In questo modo, si cerca di prevenire il ricorso di tali aziende ai prestiti ad usura, quando le garanzie individuali che esse sono in grado di offrire al sistema finanziario non sono sufficienti o non sono adeguate alle richieste (26).

Per comprendere il meccanismo dell’usura è infatti utile soffermarsi sul percorso attraverso il quale esso si snoda. I prestiti ad usura si presentano, almeno inizialmente, come prestiti di breve o brevissima durata, con interessi alti, ma non altissimi, e la sottoscrizione di forme di garanzia per la restituzione della somma (es. assegni in bianco, contratti di trasferimento di proprietà, cambiali etc). Al termine del periodo stabilito, quando emerge l’impossibilità di restituire la somma ricevuta, viene sottoscritto un nuovo prestito che consente all’usurato di provvedere al pagamento degli interessi del prestito precedente, senza però mai riuscire a restituire la somma inizialmente ottenuta. La spirale continua così a stringersi in un giro vorticoso di rinnovi e pagamenti di interessi sempre più onerosi, fino a soffocare ogni possibilità di uscita costringere l’ usurato alla consegna dell’intero patrimonio (o almeno di ciò che rimane) nelle mani dell’usuraio (27). Quest’ultimo, infatti, ha tutto l’interesse a mettere in atto una serie di misure per minimizzare le possibilità che il debito venga restituito e per impossessarsi delle garanzie (28). Come dimostra il possesso di titoli cambiari e altri strumenti di garanzia reale o personale, scopo dell’usuraio non è infatti la restituzione della somma concessa in prestito, quanto l’appropriazione del patrimonio della vittima (29).Lo scopo di espropriare il patrimonio del soggetto usurato è stato esplicitamente contemplato dal già citato articolo 14 della L. 108/96, che ha previsto la costituzione del Fondo a tutela delle vittime del reato di usura, al fine di sovvenire coloro che si trovano in gravi difficoltà economiche e rischiano di perdere la propria attività d’impresa. A quest’ultimo proposito, il comma 5 richiede che la domanda venga accompagnata da un dettagliato piano di investimento e utilizzo delle somme erogate, al fine di ostacolare l’impiego delle somme per il pagamento degli interessi o del capitale agli usurai e per costituire un valido strumento di analisi e di previsione dell’ economicità dell’iniziativa imprenditoriale in oggetto. La filosofia che è alla base dei due Fondi previsti dalla recente norma contro l’usura suscita, tuttavia, qualche perplessità dal punto di vista economico.

In un mercato perfetto, le banche dovrebbero essere capaci di distinguere i richiedenti credito meritevoli da quelli non meritevoli (30). Solo ai primi dovrebbe essere concessa fiducia e la possibilità di andare avanti con la propria attività. I clienti “immeritevoli”, invece, possono essere costituiti da persone oneste che non hanno sufficienti mezzi di garanzia per la restituzione dei prestiti (31) o da persone e organizzazioni criminali, che non possono ricorrere al sistema legale (32). La domanda che ci si dovrebbe porre è quindi quella relativa alla capacità dei Fondi di distinguere propriamente tra iniziative imprenditoriali “meritevoli” di contributi e iniziative “immeritevoli” perché poco profittevoli, improduttive o addirittura criminali. L’esistenza di consorzi di garanzia fidi, mentre assicura le banche sulla recuperabilità dei crediti concessi, non dice molto di più sulla serenità di giudizio relativa all’economicità dell’attività finanziata. Si rinnova anzi un pericolo che il nostro sistema già conosce bene: quello di banche più attente alla recuperabilità delle somme, che alla valutazione delle attività di imprese. La banca, infatti, opera sul mercato in regime di concorrenza e, per questo, deve impostare la sua azione a criteri di prudenza e di efficienza. L’insolvenza del cliente può infatti determinare gravi danni nel patrimonio di una banca e compromettere la sua capacità competitiva. Il fenomeno, da recenti rilevazioni, sembra in effetti caratterizzato da un andamento tale, per cui i rischi maggiori di insolvenza provengono dai prestiti alle imprese familiari di piccole dimensioni e appare fortemente diversificata secondo precise basi settoriali e territoriali (33) Per evitare questo, le banche sono molto attente nella selezione dei clienti e nella concessione di prestiti. Le informazioni che la banca raccoglie nella gestione quotidiana dei suoi rapporti è forse una delle risorse più preziose e tra le più dettagliate. Per tali ragioni, oggi più che mai, appare necessaria la collaborazione delle banche e degli altri intermediari finanziari, in possesso delle necessarie competenze tecniche e professionali, per valutare la convenienza di un’ operazione di finanziamento (34).

4. La collaborazione delle banche.

Il possesso di adeguate competenze tecniche, la raccolta di informazioni sul mercato in cui agisce, sulla clientela e sul proprio personale, costituisce un bagaglio a cui la banca attinge quotidianamente per la sua crescita e per la sua stessa sopravvivenza. La condivisione di almeno parte di esso con le Autorità non può pertanto essere imposta soltanto dalla previsione di specifici obblighi legali, ma deve essere favorita dall’ottenimento di un margine di profittabilità per la stessa banca (es. in termini di reputazione verso la clientela e sul mercato) (35). La parziale rivelazione di informazioni riservate alle Autorità, infatti, potrà essere favorita da incentivi per la stessa azienda e da una nuova politica verso la clientela che presenti tale collaborazione come un’ operazione a favore degli operatori onesti. Quest’ultimo aspetto è particolarmente delicato, se si considera che le informazioni detenute dalle banche sono, nella maggior parte dei casi, assai confidenziali e ristrette alla sfera dei rapporti tra banca e cliente.

La normativa che ha dato inizio al principio di collaborazione tra Autorità di controllo e banche è la L. 197/91. Essa, agli artt. 1 e 2, prevede una serie di obblighi posti in capo alle banche, tra cui: le limitazioni all’uso del contante e degli altri mezzi di pagamento anonimi, l’identificazione della clientela e la registrazione delle operazioni finanziarie rilevanti. Accorgimenti che hanno lo scopo di identificare i soggetti nelle diverse fasi delle operazioni (es. divieto di trasferire denaro o altri mezzi di pagamento anonimi direttamente tra i soggetti; l’obbligo di apporre la clausola di non trasferibilità agli assegni di importo superiore ai venti milioni etc) (36).

La novità di maggiore rilevanza introdotta dalla L. 197/91 è tuttavia l’obbligo di collaborazione e di segnalazione delle operazioni sospette. Essa, infatti, ha dato inizio ad una forma di collaborazione attiva da parte delle banche basata sul possesso di informazioni rilevanti, di carattere oggettivo, che solo queste ultime hanno a disposizione (art. 3). Il continuato rapporto con i propri clienti e la conoscenza, spesso personale, dei singoli e delle loro esigenze di credito, facilita infatti il riconoscimento delle operazioni sospette (37). Queste ultime, riguardano, infatti, operazioni che per caratteristiche, entità, natura, attività svolta e specificità del cliente presentano delle peculiarità sospette. Si tratta pertanto di un giudizio fondato sulla particolare competenza tecnica, sulle informazioni possedute e sulla conoscenza dei rapporti intrattenuti con il sistema bancario, che non implica nessuna operazione di accertamento da parte dell’intermediario, ma solamente una segnalazione alle Autorità competenti, affinché siano queste ultime a compiere gli opportuni approfondimenti. L’intermediario è quindi chiamato a pronunciarsi tutte le volte che abbia il “ragionevole dubbio” che l’operazione non presenti sufficienti margini di chiarezza. Ciò inoltre non comporta, come precisa il comma 5 dell’art. 3 della L. 197/91, alcuna violazione del dovere di riservatezza. Piena riservatezza invece ottiene il soggetto segnalante, che, in questo modo, è incoraggiato a collaborare con le Autorità di Vigilanza.

Per facilitare il compito delle banche, la Banca d’Italia, con la collaborazione dell’ABI ha predisposto una serie di indicazioni operative, indirizzate agli operatori, ed aventi carattere meramente esemplificativo e chiarificatorio. Il Documento, intitolato “Indicazioni Operative per la segnalazione di operazioni sospette”, è oggi più noto con il nome di “Decalogo” (38. Esso si articola in tre sezioni: una tesa a sottolineare che gli intermediari abbiano un’ ottima conoscenza dei loro clienti e delle loro attività economiche; la seconda, tesa ad evidenziare alcune operazioni anomale e, la terza, volta a confrontare le singole operazioni con le caratteristiche finanziarie del cliente. La casistica, come detto, non ha un valore tassativo, ma costituisce solamente una raccolta di comportamenti suscettibili di far nascere sospetti circa la loro origine o la loro finalità. Può trattarsi di considerazioni legate alla frequenza delle operazioni, alla ristrutturazione di esse per evitare l’identificazione, alla fornitura di informazioni false, alle incongruenza circa l’attività svolta e le disponibilità di risorse economiche etc. Con il Decalogo si è cercato pertanto di contribuire ad affinare le capacità di osservazione e di valutazione degli intermediari favorendo un rinnovato ruolo di esso, una maggiore attenzione ai clienti e alle loro operazioni e una più accurata capacità di analisi e di giudizio che potrà favorire ulteriormente l’acquisizione di uno “spirito” di osservazione più critico nelle operazioni di banca. Non bisogna, infatti dimenticare che, l’obbligo di segnalazione imposto agli intermediari non significa avere la “certezza” che un reato di riciclaggio stia per essere commesso, ma il semplice “sospetto” che esso possa avere luogo. La maggiore attenzione richiesta nella valutazione delle operazioni che vengono compiute presso di esse, pertanto, apporterà un valido contributo alla loro attività e rappresenterà un indispensabile ausilio per l’ Autorità di Vigilanza.

Successivamente, la Banca d’Italia, anche in seguito ai risultati dei lavori della Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sul crimine transnazionale, che ha avuto luogo a Napoli dal 21 al 23 novembre 1994, ha diffuso una nuova versione delle “Indicazioni Operative per la segnalazione di operazioni sospette”, noto come “Decalogo Bis”. Quest’ultimo tiene conto dell’estensione delle tipologie contemplate dall’art. 648 bis c.p. (39) e dell’entrata in vigore del Testo Unico, il d.p.r. 385/93. Il Testo Unico, infatti, ha reso possibile lo sviluppo di un nuovo modo di “fare banca”, che lascia ampia discrezionalità alle scelte organizzative dell’ente e un ruolo di “vigilanza” alla Banca d’Italia, la quale sorveglia affinché tali scelte siano ispirate a criteri di “sana e prudente gestione” (art. 5 t.u.). Esso, dunque, pone in capo alle banche un ulteriore vincolo di collaborazione con l’Autorità di Vigilanza, non solo in caso di sospette operazioni di riciclaggio, ma, più in generale, come criterio di svolgimento dell’attività bancaria. Il Decalogo Bis ribadisce la necessità di una più stretta collaborazione e l’adozione di tecniche di controllo e di valorizzazione delle professionalità. Accanto a criteri in grado di misurare automaticamente i comportamenti considerati sospetti, l’esperienza dei professionisti bancari emerge preponderante nel momento in cui si tratta di mettere in relazione le informazioni in possesso dell’azienda con la “prudente valutazione” delle operazioni compiute.

Le novità introdotte dal Testo Unico bancario non si concludono tuttavia con il già citato art. 5, che costituisce, tuttavia, la “spina dorsale” del sistema di vigilanza, dalla quale si dipartono susseguenti obblighi e criteri a carico di banche, intermediari finanziari, amministratori, singoli e gruppi.

5. La normativa concernente le banche.

Il principio della “sana e prudente gestione” impone a carico del sistema bancario un modus operandi ispirato a criteri oggettivi, all’ impegno comunitario e internazionale, al riassetto organizzativo dell’azienda, alla ricerca della stabilità dell’impresa, della correttezza gestionale e della competitività.

In breve, il quadro normativo introdotto con il Testo unico del 1993, regolamenta i principali aspetti della vita dell’impresa, dalla sua costituzione (artt. 14 e 19-24), ai profili di onorabilità e professionalità degli esponenti (artt. 25-26), alle situazioni di difficoltà incontrate nel corso della gestione (artt. 70-77 e 80-97), al comportamento delle aziende nei confronti dei clienti (artt. 115-120), delle richieste di informazioni (art. 21, 24, 52, 128), dei controlli interni (art. 65 e 137) e delle Autorità di vigilanza (artt. 134) (40). Queste ultime riescono così a svolgere efficacemente le proprie funzioni senza entrare nel merito della gestione aziendale, mediante un’ articolato scambio di informazioni periodiche e di visite ispettive contemplate agli artt. 51, 53 e 54 (per le singole aziende) e agli artt. 66, 67 e 68 (per i gruppi bancari) del Testo Unico (41. La raccolta in un unico corpus di una serie numerosa di norme, spesso eterogenee e contraddittorie, non si è limitata a semplificare la casistica, ma ha introdotto una serie di sanzioni (spesso amministrative, vds. artt. 144-145) a presidio della loro osservanza. Queste ultime, quindi, rafforzano il potere di intervento dell’ Organo di Vigilanza, e si accompagnano al più generale principio della piena collaborazione tra banche e Autorità di controllo.

Recentemente, l’art. 16 della L. 108/96 ha introdotto l’obbligo di istituire un albo che registri (e quindi sottoponga a controlli minimali) le figure di alcuni particolari intermediari tra le cui fila sono riusciti a nascondersi, facendo uso delle maglie larghe lasciate dalla precedente normativa, alcuni intermediari “clandestini” che avrebbero dovuto essere iscritti negli albi istituiti ex artt. 106 e 107 t.u.. La norma, il cui scopo principale è quello di prevenire e reprimere l’usura, si riferisce anch’essa all’adozione di criteri oggettivi, e si indirizza alla registrazione di tutti coloro che a diverso titolo (bancario, finanziario o come “singoli”) svolgono attività di intermediazione tra coloro che prestano capitali e coloro che li ricercano. L’attenzione per l’oggettività del comportamento permette così di superare la strettoia formalistica che, nel passato, ha consentito a molti di operare illegalmente, sfuggendo ad ogni controllo, in quanto non classificabili (e quindi non controllabili) come imprese finanziarie.

A fronte della struttura organizzativa posta in essere dalla normativa e dal rigore dei controlli previsti (e forse proprio a causa di questi!), non mancano imprese, bancarie e finanziarie, che esercitano la loro attività nell’illegalità. Si tratta di figure che si inseriscono nel momento della raccolta dei capitali (es. raccolta abusiva del risparmio, banche “di fatto”, società cooperative etc) e nella fase di impiego dei capitali (es. usura, società controllate dalla criminalità, sovvenzioni di pratiche criminose etc). La loro costituzione tende alla sottrazione di tali attività da ogni forma di controllo per poter meglio perseguire scopi di riciclaggio e al reimpiego o alla raccolta di proventi nel mercato legale (es. truffe). Le organizzazioni criminali, infatti, utilizzano plurimi mezzi per il perseguimento dei loro fini e aspirano al continuo allargamento dei mercati in cui operano. Per meglio camuffare le proprie finalità non è infrequente notare una considerevole abilità, da parte delle organizzazioni criminali, nel mascherare le proprie attività o nel modificare le tecniche e i settori di riciclaggio. La tecnica di diversificazione è dovuta, evidentemente, al tentativo di non correre il rischio di essere scoperti, e prevede l’ utilizzazione di metodi che consentano di impiegare le risorse in modo da conquistare fette diverse del mercato. La capacità di distinguere gli intermediari illegali da quelli legali è spesso difficile, così come è arduo riconoscere i proventi di attività criminose dal denaro “pulito”. In questi casi, trattandosi di soggetti totalmente “abusivi”, le norme in tema di obbligo di collaborazione contenute nel Testo unico bancario e nella disciplina sull’intermediazione finanziaria non trovano applicazione. Esiste, tuttavia, un anello debole della catena che è costituito dalla fase in cui avviene il contatto tra l’intermediario illegale e quello legale. I consigli contenuti nel Decalogo tendono ad affinare le capacità di discernimento degli operatori, proprio per approfittare di questo momento di maggiore vulnerabilità del sistema di riciclaggio. Ponendo dei vincoli sullo svolgimento delle operazioni bancarie che consentano di risalire, ad ogni passaggio, all’identificazione dei soggetti attivi, è possibile individuare le operazioni “sospette”. Operazioni cioè che non costituiscono un numerus clausus di tipologie, ma sono teoricamente infinite. Esse sono “sospette”, in quanto, considerate le circostanze, i soggetti che le pongono in essere, le modalità, le somme, il momento e il luogo, suscitano perplessità nell’intermediario coscienzioso e attento. E’ evidente che tale capacità di analisi è potenzialmente più facile e praticabile da parte di banche che operano a livello locale, le quali, anche per la limitatezza del territorio (dove spesso agiscono in condizioni di monopolio) e per le conoscenze dell’economia dell’area, possiedono informazioni più dettagliate e conoscenze anche “personali” dei propri clienti. Tuttavia, proprio a causa del loro maggiore isolamento e del loro legame con il territorio di ubicazione, esse sono spesso fortemente condizionate dalle realtà del luogo e perdono molta della loro capacità di agire secondo criteri di efficienza e di competitività.

Altrettanto compromessa è, inoltre, l’applicabilità delle norme sulla collaborazione in caso di aiuto prestato alle organizzazioni criminose da parte di funzionari e impiegati bancari infedeli. La tipologia è contemplata nel Testo unico bancario ed è desumibile dal combinato disposto di diversi articoli. Primi fra tutti vanno considerati quelli raggruppati al Titolo VI, concernente la “Trasparenza delle condizioni contrattuali”, in cui vengono posti specifici obblighi di correttezza e periodicità nel rilascio di informazioni alla propria clientela (42), nonché dall’art. 137 che punisce il reato di mendacio e falso interno bancario. Quest’ultimo, al comma 2, prevede la punizione dei dipendenti che “al fine di concedere o far concedere credito (…) ovvero di evitare la revoca del credito concesso, consapevolmente omettano di segnalare dati o notizie di cui sono a conoscenza o utilizzano nella fase istruttoria notizie o dati falsi sulla costituzione o sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria del richiedente il fido (…)”. L’articolo, infatti, è stato posto a vantaggio dell’intermediario e costituisce una sorta di protezione. Esso interviene prima che la fattispecie della “tentata” truffa si completi dei suoi elementi essenziali e determini un danno per la banca (43). A rinforzare l’obbligo di collaborazione tra il sistema bancario e la Banca d’Italia sovviene anche l’art. 134 del Testo unico che vieta (e quindi punisce) le false comunicazioni alla Banca d’Italia da parte dell’intermediario creditizio e favorisce la vigilanza bancaria e finanziaria. Esso si pone come norma a salvaguardia di quella che possiamo definire “l’obbligo di assistenza e collaborazione” con l’Organo di Vigilanza nell’esercizio dei controlli.

L’esperienza passata e i casi di usura messi in pratica da dipendenti o esponenti bancari a danno di loro clienti (indirizzandoli verso noti usurai o praticando essi stessi tale attività) ha indotto il legislatore a prevedere specificamente una circostanza aggravante all’art. 1 della L. 108/96, che punisce più rigorosamente chi ha “agito nell’esercizio di una attività professionale, bancaria o di intermediazione finanziaria mobiliare”. La circostanza sembra, infatti, dettata dalla volontà di punire più gravemente coloro che, in ragione della propria professione, sono in possesso di informazioni più dettagliate e approfittino di esse per trarne un vantaggio personale, venendo meno al proprio dovere di fedeltà all’istituto di appartenenza, agli obblighi di trasparenza nei confronti della clientela e al rispetto delle norme sulla prevenzione e repressione dell’uso distorto del sistema bancario e finanziario da parte di organizzazioni criminali.

6. La normativa concernente gli intermediari finanziari.

Il Testo unico non trascura di prestare attenzione agli intermediari finanziari non bancari, per i quali gli artt. 106 e 107 dettano regole sulle operazioni che possono compiere e sull’iscrizione in appositi albi detenuti presso l’ UIC o presso la Banca d’Italia, per conto del Ministero del Tesoro (44). In estrema sintesi, la disciplina distingue tra gli intermediari che operano a contatto con il pubblico e coloro che invece operano diversamente. Per i primi, l’art. 113 prevede l’ obbligo di iscrizione in un’apposita sezione dell’albo generale di cui all’art. 106 del Testo unico. Quest’ultimo detta specifici criteri di onorabilità dei partecipanti, periodiche comunicazioni all’Organo di Vigilanza, il possesso di dettagliati requisiti in ordine all’iscrizione e alla limitazione dei campi in cui operare. Per intermediari aventi particolari caratteristiche è invece prevista dall’art. 107, l’iscrizione in un apposito albo detenuto dalla Banca d’Italia. Per questi ultimi, i controlli di carattere informativo, regolamentare e ispettivo è del tutto simile a quello previsto per i soggetti bancari. Anche per le imprese finanziarie non bancarie, inoltre, gli articoli del Testo unico prevedono specifici obblighi di collaborazione con le Autorità di Vigilanza. Il recente d.lgs 415/96, recependo la direttiva comunitaria 93/22/CEE sui servizi di investimento, ha inoltre delineato per questi ultimi una disciplina analoga a quella prevista dal Testo Unico bancario.

Una prima regolamentazione della materia era stata introdotta dalla L. 197/91 che, al Capo II, prescriveva un “modello di controllo residuale” applicabile agli intermediari. Si trattava, in breve, di una serie di controlli a cerchi concentrici basati sulla rischiosità delle operazioni effettuate dall’intermediario finanziario. Scopo principale della L. 197/91 è stato infatti quello di combattere l’uso del sistema finanziario per scopi di riciclaggio, mediante operazioni di: concessioni di finanziamenti, assunzione di partecipazioni, intermediazione in cambi e servizi di incasso e di pagamento attraverso l’uso di carte di credito (45). Per mantenere sotto controllo queste attività, la legge ha introdotto una prima forma di riserva di esercizio a favore di soggetti iscritti in appositi elenchi. Coloro che svolgevano tali attività senza adempiere alle obbligazioni previste dalla normativa incorrevano nella pena stabilita all’art. 6 della L. 197/91 che puniva, penalmente, l’abusivismo finanziario.

L’art. 132 del Testo unico ha ribadito la perseguibilità penale dell’esercizio abusivo dell’intermediazione finanziaria, quando compiuto da soggetti non iscritti nell’elenco di cui all’art. 106 o nella sezione speciale di cui all’art. 113 (46). In quest’ultimo caso, gli intermediari che esercitano attività a favore del pubblico, iscritti alla sezione speciale dell’albo, ma non nella parte generale prevista dall’art. 106, incorrono anch’essi nella violazione di cui all’art. 132 del Testo unico (47). Tale rigore risponde all’esigenza di promuovere una più accentuata trasparenza nei rapporti e obbedisce al principio secondo cui i controlli dell’ Organo di Vigilanza sono disegnati in modo tale da rispondere meglio alle specificità delle singole attività (pur non entrando nel merito di esse) e sono proporzionati alla rilevanza delle operazioni poste in essere dall’intermediario. La sanzione di cui all’art. 132 è stata resa ancora più stringente dall’introduzione dell’art. 5 della L. 108/96 (e successivamente dall’ art. 64 del d. Lgs 415/96) che ha elevato la pena massima edittale. La novella, che ribadisce la costante e sempre più attenta considerazione delle Autorità per i fenomeni di abuso di denominazione nella lotta ai reati di carattere finanziario, ha tuttavia determinato un diverso trattamento di due tipi molto simili di abusivismo: quello bancario e quello finanziario (48) L’inasprimento della pena per il reato di abusivo esercizio di attività finanziaria rispetto alla pena prevista per l’esercizio abusivo di attività bancaria, infatti, non deve far pensare ad una minore incidenza di quest’ultimo nel tessuto sociale. Semmai, la distinzione va ricercata nella riserva di attività di raccolta del risparmio garantita alle banche dall’art. 11 del Testo unico, che delinea con maggiore precisione i contorni della figura di “banca”, rispetto alla più fluida immagine dell’intermediario finanziario. Ciò determina una maggiore facilità nell’individuazione e nel perseguimento dei comportamenti devianti posti in essere da soggetti pseudo-bancari esercenti l’attività in modo completamente abusivo o semplicemente disattento o colluso.

7. Conclusioni.

Qualsiasi sistema di contrasto del riciclaggio necessita di considerare alcuni momenti fondamentali costituiti dalla:

– conoscenza delle tecniche di riciclaggio

– esistenza di un’efficace legislazione anti-usura

– diffusione di un cultura anti-riciclaggio (49).

Occorre in sostanza prestare attenzione alle finalità del riciclaggio e alle tecniche adoperate per attuarlo, al fine di predisporre un’ adeguata barriera alla sua diffusione attraverso una disciplina legislativa, sufficientemente organica e flessibile, e per mezzo di una “cultura” anti-riciclaggio condivisa dagli operatori economici, dagli intermediari e dai singoli clienti. Il riciclaggio, infatti, è un fenomeno dai caratteri sfuggenti, di cui si conosce la finalità, ma di cui è difficile riconoscere le modalità di attuazione, le tecniche e gli operatori. Questi ultimi, finiscono infatti per confondersi con i soggetti onesti lungo il complicato intreccio di operazioni messe in atto al fine di cancellare ogni traccia delle transazioni.

Come un fotogramma che sfuma e perde di chiarezza, così il fenomeno del riciclaggio va inquadrato da diverse angolature – legislativa, economica, sociale, criminale – per poterne cogliere le fasi di evoluzione e i tentativi di mimetismo (50). Il sospetto che, una volta individuata e stroncata una procedura di riciclaggio, altre, più sofisticate, ne possano scaturire, appare, alla luce dei fatti, più che una semplice teoria.

In questo quadro di incertezze, le informazioni che le banche e gli altri intermediari finanziari raccolgono nel corso della loro attività, rappresentano un patrimonio indispensabile per poter interpretare i segnali che da più parti provengono e che, senza di esse, sarebbero indecifrabili e prive di senso. La collaborazione tra le Autorità e gli operatori economici resta lo strumento più sicuro per arginare l’infiltrazione della criminalità nel tessuto economico e sociale, sia a livello nazionale, sia a livello internazionale.

1 Si fa presente che le opinioni espresse in questo scritto sono considerazioni personali che impegnano esclusivamente l’Autrice.

2G. AMATO, Il riciclaggio del denaro sporco: la repressione penale dei profitti delle attività illecite, Roma, 1993; D. MASCIANDARO, Banche e riciclaggio. Analisi economica e regolamentazione, Milano, 1994; L. DONATO e D. MASCIANDARO, Economia criminale e intermediazione finanziaria. Profili economici e giuridici, in Banche e banchieri, 1995, p. 42; G.M. FLICK, La repressione del riciclaggio ed il controllo della intermediazione finanziaria. Problemi attuali e prospettive, in Riv. it. Dir. Proc. Pen., 1990, p. 1255 ss.

3G.M. FLICK, Le regole di funzionamento delle imprese e dei mercati: profili penalistici, in Commissione Parlamentare Antimafia, Economia e Criminalità, 1994, p…..

4D. MASCIANDARO, Banche e riciclaggio. Analisi economica e regolamentazione, Edibank, Milano, 1994.

5A proposito, a basta considerare il caso della Cassa Rurale e Artigiana di Monreale che, nell’ottobre del 1995, fu posta in gestione straordinaria a causa delle infiltrazioni mafiose e delle false comunicazioni alla Banca d’Italia, che avevano permesso di celare a lungo le difficoltà e le irregolarità della C.R.A. Vds. Il Sole 24 Ore del 31 ottobre 1995, p. 7.

6A. BECHI e G. REY, L’economia criminale, Laterza, Bari, 1994; F. BARCA, Criminalità organizzata ed effetti sull’economia legale, in Commissione Parlamentare Antimafia, Economia e Criminalità, op. cit., p. 159; V. CODA, Sui principi costitutivi di un’economia sana e sulle linee di intervento per promuoverne la diffusione, in Commissione Parlamentare Antimafia, Economia e Criminalità, op. cit.

7B. BIANCHI, L’antiriciclaggio: strumenti, problemi e proposte, Documenti della Banca d’Itali n. 487, 1995.

8 V. DESARIO, Criminalità organizzata e indagini patrimoniali presso istituzioni creditizie. La funzione dell’organo di Vigilanza bancaria. p. 771, e, dello stesso Autore, Indagini bancarie e patrimoniali disposte dall’autorità giudiziaria. La funzione dell’organo di Vigilanza creditizia, p. 796, entrambi in Il controllo pubblico sull’ordinamento fianziario, Vol. II., Cacucci Editore, 1995.

9 Guida agli adempimenti antiriciclaggio, (a cura di) F. BERGHELLA, G. CONFORTI, U. FAVA e A. LO MONACO, Istinform, Bancaria Editrice, 1996 p. 24; V. DESARIO, Il sistema creditizio e la lotta alla criminalità organizzata. I controlli bancari. La risposata istituzionale della Banca d’Italia alle istanza di collaborazione degli organi preposti alla prevenzione e repressione del fenomeno in Il controllo pubblico sull’ordinamento finanziario, cit., p. 754, in cui si legge “Le banche costituiscono infatti per la stessa natura dell’attività che sono chiamate a svolgere, il collettore più rilevante delle disponibilità finanziarie, anche quando rappresentano i proventi di un’azione, quella criminale che si origina altrove e non richiede di per sè alcuna partecipazione attiva dell’intermediario creditizio”.

10L. DONATO e D. MASCIANDARO, Economia criminale e intermediazione finanziaria. Profili economici e giuridici, in Banche e banchieri, n.1,1995

11E. FAMA, What’s Different About Bank’s, in Journal of Monetary Economics, gennaio, 1985, p. 29.

12Non sono peraltro mancati casi di operatori legali collusi con fasce criminali, come dimostra il recente episodio della BCCI, implicata in numerosi casi di riciclaggio di denaro illecito. Tale attività era resa possibile dall’estensione internazionale delle sue operazioni e dallo scarso controllo esercitato. La carenza di una gestione trasparente aveva finito per acuire l’opacità delle operazioni finanziarie, cancellando le tracce della provenienza illecita dei capitali impiegati. La ricerca di Autorità nazionali più “condiscendenti” aveva favorito così la trasmigrazione di capitali verso paesi più tolleranti, da cui tornavano poi “puliti”. Per una descrizione dettagliata delle attività della BCCI vds. BEATY e GWYNNE, The Outlaw Bank. A Wild Ride into the Secret Heart of BCCI, New York, 1993; D. MASCIANDARO, Banche e riciclaggio, op. cit. p. 74; SONO, Reorientation of the Traditional Legal Thinking in the Age of Delocalization (Impact of Globalized Economy), in Riv. dir. comm., 1992, I, p. 1089; per una modifica e un inasprimento delle norme internazionali in materia di riciclaggio vds. BONZANINI, La convenzione di Strasburgo e la legge 328/1993: nuove fasi nella lotta al riciclaggio del denaro “sporco” ed effetti sul sistema bancario, in Banca, borsa tit. cr., 1994, I, p. 720; TARGETTI, Un accordo internazionale per prevenire il riciclaggio, in Società, 1994, p. 5 ss.

13V. DESARIO, Audizione presso la Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari, in Bollettino Economico, Banca d’Italia, n. 23, 1994, p. 46 ss che a pag. 55 sottolinea come l’esperienza della BCCI ha “dimostrato la necessaria complementarità dei controlli, specie in ipotesi di condizionamenti criminali delle scelte di gestione”.

14G. D’AMICO, Sinergie normative tra vigilanza creditizia e azione antiriciclaggio finanziario, in Banca, borsa tit. cr., 1994, I, p. 867.

15A. BAGLIONI, Banca universale e gruppo polifunzionale, in Banche e banchieri, n. 2, 1994, p. 98; P. DESIATI, Considerazioni sulla riforma bancaria: operatività e rapporti con il sistema produttivo, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, marzo-aprile 1996 n.3-4, p. 205 e ss.; P. CIOCCA, Banca Finanza Mercato, Einaudi, Torino, 1991, p. 85-86, in cui viene sottolineata la peculiarità del rapporto tra banca e impresa nelle scelte dell’allocazione delle risorse finanziarie: “(…) attraverso rapporti di fido capaci di penetrare negli aspetti più interni dell’attività delle imprese, (le banche possono) disporre di un patrimonio di informazioni più ricco, per quantità e qualità, di quello a cui hanno accesso gli anonimi ancorché efficienti mercati: (esse sono) quindi meglio attrezzate a vagliare il merito di credito dell’impresa”.

16F.M. FRASCA, Il rapporto banca impresa e la nuova normativa sulle partecipazioni, in Bancaria, 1994, n. 5, p. 14, in cui si sottolinea la possibilità e l’opportunità di un rafforzamento dei legami tra l’impresa e il mercato dei capitali. Vds anche V. DESARIO, Il ruolo della banca nel risanamento finanziario delle imprese, in Nuovo Mezzogiorno, ottobre 1995, n. 435, P. 5, dove si legge “Una relazione più trasparente tra i diversi soggetti, prenditori e datori di fondi, è condizione necessaria per una valutazione approfondita e, selettiva dei progetti di investimento; per una composizione equilibrata delle passività aziendali; per una più consapevole ripartizione dei rischi fra azionisti, investitori, intermediari finanziari e creditizi”.

17 V. DESARIO, Supervisione bancaria: obiettivi e strumenti. Azioni di contrasto nei confronti della criminalità organizzata, in Il controllo pubblico sull’ordinamento finanziario, cit. p. 822, dove si legge “L’autonomia del banchiere è presupposto irrinunciabile di una buona allocazione delle risorse in un’economia in cui sussiste una netta scansione tra centri di decisione degli investimenti e quelli della formazione del risparmio”.

18C. DEMATTE’, La valutazione della capacità di credito nelle analisi di fido, 1974, Vallardi, Torino; P. MOTTURA, Condizioni di equilibrio finanziario della strategia d’impresa, in Finanza, Marketing e Produzione, 1987, n. 1; G. AULETTA ARMENISE, Despecializzazione e nuove politiche dei prestiti nelle banche, in Mondo Bancario, n. 5, settembre-ottobre, 1995, p. 16; A. CONFALONIERI, Aspetti dell’attività bancaria, Giuffrè, Milano, 1970, p. 228 ss; R. BOTTIGLIA, Gestione dei prestiti e politiche di mercato nelle aziende di credito, Cedam, Padova, 1990, p. 75 ss; G. FORESTIERI e B. ROSSIGNOLI, I prestiti, in AA.VV. La gestione della banca, EGEA, Milano, 1990, p. 225 ss.

19B. IACCARINO, Il passaggio dal merito di credito all’analisi del rischio creditizio nella nuova banca europea, in Rassegna Economica, n. 4 ottobre-dicembre 1995, p. 936 ss.; A. GENERALE e G. GOBBI, Il recupero dei crediti: costi, tempi e comportamenti delle banche, in Temi di discussione della Banca d’Italia, n. 265, marzo 1996. Per un’analisi più dettagliata delle peculiarità del nostro sistema creditizio, vds. T. PADOA-SCHIOPPA, Profili di diversità nel sistema bancario italiano, in Bollettino Economico, n. 22, 1994, p. 35* ss; P. MARULLO-REEDTZ, A. CEOLA, A. GEREMIA e C. SCARENZIO, La prassi dei fidi multipli e l’evoluzione del rapporto banca-impresa, Milano, 1994; P. BIFFIS, La banca universale italiana, in Il Risparmio, n. 1, 1993.

20A. GENERALE e G. GOBBI, Il recupero dei crediti: costi, tempi e comportamenti delle banche, in Temi di discussione della Banca d’Italia, n. 265, marzo 1996.

21B. ROSSIGNOLI, Fidi multipli e relazioni di clientela, in Rivista milanese di economia, n. 44, 1992; M. MATTEI GENTILI, Il fido multiplo e la nuova regolamentazione dell’attività bancaria, in Banca Notizie, n. 3, 1993.

22T. PADOA-SCHIOPPA, Profili di diversità nel sistema bancario italiano, in Bollettino Economico, n. 22, febbraio 1994, p. 35* e ss.; P. MARULLO REEDTZ, A. CEOLA, A. GEREMIA, C. SCARENZIO, La prassi dei fidi multipli e l’evoluzione del rapporto banca-imprese, Milano, 1994; P. BIFFIS, La banca universale italiana, in Il Risparmio, n. 1, 1993.

23 Per un esame generale del fenomeno dell’usura vds. A. CAPERNA e L. LOTTI, Il fenomeno dell’usura tra esperienze giudiziarie e prospettive di un nuovo assetto normativo, in Banca, borsa e titoli di credito, 1995, n.1

24G. BERIONNE, Il contributo delle banche per contrastare l’usura”, in Atti del Convegno Usura: crocevia di attività illecite. Ruolo delle banche per contrastare il fenomeno, Palermo, 28 gennaio 1995; V. DESARIO, Audizione presso la Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e delle altre associazioni criminali similari, in Bollettino Economico della Banca d’Italia, n. 23, 1994 in cui si legge “Il fenomeno dell’usura si configura come il crocevia di un gran numero di attività illecite; secondo informazioni desumibili dai procedimenti giudiziari l’usura, da un lato, si presta come strumento per riciclare e accrescere proventi di altre forme di reato, dall’altro, si accompagna alle estorsioni nel perseguire l’intento criminale di impadronirsi di attività economiche legali”.

25D. MASCIANDARO, Soglia boomerang per gli usurati in Il Sole 24 Ore, 1 marzo 1996, in cui si sottolinea l’errore di considerare l’equazione tasso di interesse elevato = contratto usurario e la correttezza della distinzione tra Fondo di solidarietà e Fondo di prevenzione.

26 D. MASCIANDARO, Usura, istituzioni non profit, antiusura e sistema bancario, cit. p. 24, così si esprime “L’adeguatezza del capitale, oltre ai requisiti di professionalità e onorabilità, si pone in un circolo virtuoso con la reputazione dell’istituzione: le banche tenderanno ad apprezzare sempre di più le sue caratteristiche di serietà e solidità oggettive; la reputazione dell’istituzione così rafforzata accrescerà le sue capacità di attirare risorse, umane e finanziarie”.

27M. DE CECCO, Per una genealogia dello strozzinaggio, La Repubblica – Affari & Finanza del 12/9/94; D. MASCIANDARO, Trasparenza contro l’usura, Il Sole 24 Ore del 15/9/94 e, dello stesso Autore, Usura, istituzioni non profit, antiusura e sistema bancario, cit. p. 22; P. MICHELI, Delitto di usura: dal fine speculativo del mutuatario alla sopravvivenza dello stato di bisogno in Rivista pen. econ. , 1991, n. 1, p. 27 ss.

28 D. MASCIANDARO, usura, istituzioni non profit, antiusura e sistema bancario, in Banche e banchieri, gen-feb, 1996, n. 1. p. 22.

29Per raggiungere questo scopo, l’usuraio, a parte impiegare lo strumento costituito da esorbitanti tassi di interesse, può fare leva su una serie di misure legali (contratti, cambiali, cessione di quote) e illegali (intimidazioni, estorsioni). Per maggiori approfondimenti Vds. M. LOSAVIO, Le ragioni dell’usura, in Rivista della Guardia di Finanza, n. 3, 1996. L’Autore evidenzia, inoltre, che “un’altra differenza di natura economica fra il credito bancario e quello illegale è ravvisabile nelle modalità di recupero del credito. Mentre nell’ambito del sistema bancario questo avviene con modalità legali, nel sistema usurario il credito viene sovente recuperato con l’impiego di pratiche illegali, dell’intimidazione, della violenza”. Vds anche Guida agli adempimenti antiriciclaggio, (a cura di) F. BERGHELLA, G. CONFORTI, U. FAVA e A. LO MONACO, Istinform, Bancaria Editrice, 1996 p. 19.

30D. MASCIANDARO, Usura, istituzioni non profit antiusura e sistema bancario, cit.

31vds. a tale proposito lo studio di L. GUISO, Quanto è grande il mercato dell’usura ?, in Temi di discussione, Banca d’Italia, Roma, 1995. L’Autore parte dall’ipotesi che il soggetto, prima di recarsi da un usuraio, cerchi di ottenere credito nel mercato ufficiale. La stima massima del mercato dell’usura sarebbe pertanto data dall’entità di persone la cui domanda, per una ragione e o per un’altra, viene respinta dal sistema bancario. Questa valutazione, tuttavia, rappresenta per eccesso la dimensione effettiva del mercato dell’ usura, in quanto bisogna da esso sottrarre coloro che non sono disposti a indebitarsi a qualunque tasso e coloro che ricevono sovvenzioni da altre fonti (es. parenti, amici). Lo stesso Guiso, nel passaggio dalle formulazioni teoriche alle dimensioni del mercato, diminuisce di circa il 50% le previsioni effettuate con il primo criterio.

32A. GERSANDI e A. GERVASONI, Banche e usura, in Banche e banchieri, n. 4, 1996, p. 424 e D. MASCIANDARO, Usura, istituzioni non profit, antiusura e sistema bancario, cit. p. 21 ss.

33Si legge nella Relazione Annuale del Governatore della Banca d’Italia, del 31 maggio 1996, p. 204 “Nel 1995 si sono accentuati i divari negli andamenti dei prestiti in sofferenza tra i settori di attività economica e le aree geografiche del Paese (…) Per le società produttrici di servizi e per le famiglie, il rapporto tra le partite in sofferenza e gli impieghi complessivi è rimasto superiore alla media (…) Per la clientela nel Mezzogiorno il rapporto tra le partite in sofferenza e gli impieghi complessivi è salito, per i prestiti di importo superiore agli 80 milioni censiti dalla Centrale dei Rischi, al 22, 7 per cento. Il deterioramento della qualità dei prestiti è stato particolarmente intenso nei comparti delle famiglie produttrici e delle costruzioni”. Tale comportamento sembra peraltro non avere subito modificazioni in senso restrittivo nel corso degli anni; si precisa, infatti nella Relazione a pp. 199-200 ” Le politiche di offerta delle banche sono rimaste improntate a cautela: nella media dell’anno, il rapporto tra il credito utilizzato e quello accordato si è mantenuto sostanzialmente invariato rispetto al 1994: il differenziale tra il tasso medio e quello minimo sui prestiti è rimasto stabile. (…) Dopo essersi ampliato nel 1994, il divario tra i tassi applicati agli affidamenti inferiori ai 500 milioni di lire e a quelli di maggiori dimensioni, che approssima lo scarto nel costo del credito tra piccole e grandi imprese, è rimasto sostanzialmente stabile”. Ciò pare dunque escludere l’attribuzione dell’acuirsi del fenomeno dell’usura a una maggiore restrizione delle condizioni di prestito da parte delle banche.

34A. BAGLIONI, Banca universale e gruppo polifunzionale, in Banche e banchieri, n. 2, 1994, p. 98; P. DESIATI, Considerazioni sulla riforma bancaria: operatività e rapporti con il sistema produttivo, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, marzo-aprile 1996, n. 3-4, p. 205 ss e P. CIOCCA, Banca Finanza Mercato, Einaudi, Torino, 1991, pp. 85-86 in cui si legge “(…) attraverso rapporti di fido capaci di penetrare negli aspetti più interni dell’attività delle imprese, (possono) disporre di un patrimonio di informazioni più ricco, per quantità e qualità, di quello a cui hanno accesso gli anonimi ancorché efficienti mercati: (esse sono) quindi meglio attrezzate a vagliare il merito di credito dell’impresa”.

35V. DESARIO, Il Testo Unico delle leggi bancarie e creditizie e il nuovo ruolo della vigilanza, in Economia Italiana, 1994, maggio-agosto, n. 2 , in P. FERRO-lUZZI e G. CASTALDI (a cura di ), cit., Milano, 1996, p. 71 e R. RUOZI, D. MASCIANDARO Banche, tangentopoli e antiriciclaggio, in Banche e banchieri, maggio-giugno, 1996, n. 3 p.228, dove si afferma “Tanto più la definizione del ruolo e degli obblighi degli intermediari nella funzione antiriciclaggio non inciderà sui loro incentivi, tanto più cresceranno i rischi che ciascuno di essi trovi conveniente produrre il minimo sforzo, contando magari sul fatto che altri se ne assumeranno l’onere o addirittura sui vantaggi competitivi che si potrebbero conseguire nel non impegnarsi affatto. Ma se per ciascuno è conveniente non sforzarsi, nessuno lo farà”.

36 V. DESARIO, Riciclaggio e criminalità economica: lo stato di attuazione della L. 197/91, in Il controllo pubblico sull’ordinamento finanziario, cit. p. 833 e ss.

37Recita l’art. 3 della L. 197/91 che vi è l’ obbligo di segnalare “(…) ogni operazione che, per caratteristiche, entità, natura, o per qualsivoglia altra circostanza (…), tenuto conto anche della capacità economica e dell’attività svolta dal soggetto cui è riferita, induca a ritenere, sulla base degli elementi a sua disposizione, che il denaro, i beni o le utilità oggetto delle operazioni possa provenire” da un delitto. Vds anche B. BIANCHI, L’antiriciclaggio: strumenti, problemi e proposte, in Documenti della Banca d’Italia, n. 487 del 1995.

38 V. DESARIO, Indicazioni operative della Banca d’Italia per le segnalazioni di operazioni bancarie sospette, in Il controllo pubblico sull’ordinamento finanziario, cit., p. 845 e ss.

39Con il recepimento nel nostro ordinamento della “Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato”, firmata a Strasburgo l’ 8 novembre 1990 avvenuto con la L. 9 agosto 1993 n. 328, i reati che danno origine a fenomeni di riciclaggio non sono più soltanto la rapina aggravata, l’estorsione aggravata, il sequestro di persona e il traffico di droga, ma tutti i delitti non colposi. Si tratta soprattutto di reati capaci di produrre un ingente quantità di proventi che hanno bisogno di essere riciclati. La norma ha pertanto realizzato un’estensione dell’applicazione dell’art. 648 bis c.p. e, conseguentemente, dell’art. 3 della L. 197/91 che esplicitamente rinvia ai proventi realizzati ex art. 648 bis c.p..

40 Per un’analisi approfondita di ciascun articolo del Testo Unico, vds. F. CAPRIGLIONE (a cura di), Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e finanziaria, CEDAM, Padova, 1994.

41 V. DESARIO, Supervisione bancaria: obiettivi e strumenti. Azione di contrasto nei confornti della criminalità organizzata, in Il controllo pubblico sull’ordinamento finanziario, cit., p. 817

42 Per un’approfondita disamina dei singoli articoli, vds. F. CAPRIGLIONE (a cura di), cit., Cedam, Padova, 1994.

43 Guida agli adempimenti antiriciclaggio, (a cura di) F. BERGHELLA, G. CONFORTI, U. FAVA e A. LO MONACO, cit, p. 48 ss.

44 Per un esame dettagliato degli articoli, vds. Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e finanziaria, F. CAPRIGLIONE (a cura di), cit., p. 542 ss. e Soggetti operanti nel settore finanziario, P. FERRO-LUZZI e G. CASTALDI (a cura di) in Commentario alla Nuova Legge Bancaria, il testo unico e le disposizioni di attuazione, Milano, 1995, Vol. III, p. 1665 ss.

45 B. INZITARI (a cura di), Commento alla L. 197 del 1991, in Nuove Leggi Civ. Comm., 1993, p. 965 ss. e S. COTTERLI, La disciplina degli intermediari finanziari nella legge 197 del 5 luglio 1991, in Banca, impr. soc., 1992, p. 281.

46 La mancata iscrizione dell’intermediario, oltre che nell’elenco generale di cui all’art. 106, anche nell’elenco speciale di cui all’art. 107, non è punito dall’art. 132, ma può essere perseguito facendo riferimento all’art. 111 del t.u. che riguarda la cancellazione dall’albo degli intermediari iscritti, per il mancato rispetto della norma che ne prevede la registrazione in un apposito e ulteriore elenco. La violazione viene pertanto perseguita avendo riguardo alla necessità di garantire un continuo e “onesto” rapporto tra l’intermediario e l’Autorità di Vigilanza, elemento essenziale per il perseguimento di un equilibrio sano e prudente.

47 R. ULISSI, Commento all’art. 132, in F. CAPRIGLIONE (a cura di), Commentario, cit. p. 654 ss. e L. DONATO, Commento agli artt. 130-143 del d.lgs 385/93, in G. ALPA e P. ZATTI (a cura di), Commentario breve al codice civile. Leggi complementari, Padova, 1995, p. 793.

48 V. DESARIO, Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari, in Il controllo pubblico sull’ordinamento finanziario, cit. p. 855 e ss.

49 R. RUOZI e D. MASCIANDARO, Banche, tangentopoli e antiriciclaggio, cit., p. 226.

50 V. DESARIO, Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari, in Il controllo pubblico sull’ordinamento finanziario, cit. p. 888, in cui si legge “Una strategia di contrasto efficace non può prescindere da una visione globale dei fenomeni di illegalità nel sistema finanziario”.

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