La corsa al Quirinale: i nomi in lizza e il nodo di governo

Il 3 febbraio 2022 scade il mandato del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, eletto il 31 gennaio 2015, al quarto scrutinio con 665 voti. A poche battute d’arresto, prima di eleggere il suo successore, le voci dei candidati più gettonati, nei corridoi del Parlamento non sono più un semplice sussurro ma si fanno sempre più chiaramente definite. Tutti si chiedono chi sarà il prossimo Presidente della Repubblica. Anche l’elettorato è sempre più attento alle informazioni che trapelano dallo storico corridoio il “Transatlantico” di Palazzo Montecitorio, attraverso la comunicazione dei partiti e dei media.

A poche settimane dall’elezione è lecito chiederselo pur sapendo che solo in prossimità del voto il quadro politico potrà essere più chiaro. Questa prossima elezione, purtroppo, si tinge di giallo e penso proprio che verrà scritta sui libri di storia a causa della pan-demia che sta segnando la nostra Nazione. E’ evidente che, se a metà gennaio l’anda-mento della pandemia dovesse peggiorare anche in Italia, come sta accadendo in altri paesi Ue, l’emergenza potrebbe favorire soluzioni impensabili in questo periodo. Una serie di tasselli possiamo già metterli insieme, partendo proprio dall’attuale Capo dello Stato. Se tutto procede come da copione, la corsa al Quirinale si fa sempre già marca-tamente delineata. Le votazioni si terranno nell’Aula di Palazzo Montecitorio e a pre-siedere è chiamato il Presidente della Camera Roberto Fico con accanto la Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. Approfitto per ricordare un evento di cui la storia ne darà testimonianza. Sette anni fa, per la prima volta, l’elezione di Mattarella fu caratterizzata anche dalla presenza sullo scranno più alto di Montecitorio, di due donne: Laura Boldrini, Presidente della Camera, e Valeria Fedeli, Presidente vicario del Senato. Piero Grasso, infatti, in quanto Presidente di Palazzo Madama sostituiva al Quirinale Giorgio Napolitano dimissionario. Una corsa al Quirinale che mette in ri-salto, più che mai, il nodo di governo che schiera i diversi partiti sui nomi in lizza.

La posizione di Sergio Mattarella è nota. Si esclude il bis del suo mandato per ovvie ragioni costituzionali. Come avvenuto per Giorgio Napolitano, già quella rielezione fu considerata una forzatura costituzionale e dovrebbe restare un unicum. Tuttavia qual-cuno ancora ritiene possibile un bis, magari a tempo, per garantire una fine legislatura che metta in sicurezza le risorse ottenute grazie al recovery plan e le riforme urgenti per il Paese.

Escludendo Mattarella, Mario Draghi è da mesi tra i più ricorrenti per l’elezione al Colle. Lui ha già da tempo chiarito che parlarne anzitempo sarebbe irrispettoso per l’attuale Presidente della Repubblica, senza però esprimersi in alcun modo in un senso o nell’altro. La scadenza si avvicina ma lo scenario invece di definirsi si offusca di incertezze e quando lo scenario si complica, si complica anche l’opportunità di rendere chiare e trasparenti le informazioni che sopraggiungono alle attente orecchie dell’elet-torato. Le domande che tutti si pongono sono inevitabili: se Draghi andasse al Quirinale

chi guiderebbe il governo? Chi sarebbe in grado di tenere insieme Cinque Stelle e Pd da un lato, Forza Italia e la Lega dall’altro senza rischiare la fine anticipata della legi-slatura? Tra i partiti di maggioranza nessuno ha la risposta. Qualche giorno fa il leghista Giancarlo Giorgietti ha ipotizzato: “Draghi al colle potrebbe comunque guidare il con-voglio anche dal Quirinale”.

Salvini continua a non scoprire le carte. Cauta anche Forza Italia, che nei mesi scorsi aveva lanciato Draghi al Colle e ora invece ritiene più importante assicurare continuità a Palazzo Chigi. Draghi deve restare a Palazzo Chigi fino al 2023 ha detto chiaramente più volte Silvio Berlusconi. Stessa linea di pensiero fa Giuseppe Conte: ” l’obiettivo prioritario è la realizzazione del Pnrr. Draghi non è fungibile”.

Per superare questo nodo da qualche tempo circola una suggestione: Draghi al Quiri-nale con l’attuale ministro dell’economia Daniele Franco a Palazzo Chigi, garante del piano nazionale di ripresa e resilienza.

Per Silvio Berlusconi, altro nome in lizza, nonché ex Presidente del Consiglio sarebbe la “giusta conclusione” della sua carriera politica. I partiti del centrodestra, Lega e Fra-telli d’Italia gli hanno assicurato sostegno, almeno a parole. Ma lo stesso Berlusconi, numeri alla mano, sembra essere consapevole che i rischi di una bruciatura sono molto alti. Avrebbe lui stesso chiarito di non voler competere a tutti i costi. E’ la volta di Romano Prodi il quale ha esplicitamente detto di non essere della partitia per soprag-giunti limiti di età. E ha pronosticato: al Quirinale andrà chi ha meno veti, non chi ha più voti.

Nel totonomi ci sono anche Gianni Letta, Pierferdinando Casini e Giuliano Amato. Hanno tutti una lunga esperienza politica e istituzionale oltre che un profilo distante dalla politica di tutti i giorni. Il più giovane, Casini, è anche l’unico in Parlamento at-tualmente, eletto con il PD nel 2018 dopo essere stato tra i fondatori del centrodestra. Un percorso trasversale che potrebbe risultare molto utile per mettere assieme voti a gennaio.

C’è anche chi si chiede se magari potesse essere auspicabile il nome di una donna al Colle. Non ricordo, nelle righe dei libri di storia, che mai finora una donna fosse stata eletta alla Presidenza della Repubblica. Una candidata possibile, secondo alcuni voci, potrebbe essere Marta Cartabia attuale ministro della giustizia e presidente emerito della corte costituzionale. Una figura istituzionale e di garanzia anche se con poca esperienza politica. Nel mese di ottobre era partita una mobilitazione per la candidatura di Liliana Segre: ma la senatrice a vita, sopravvissuta alla Shoah, ha ringraziato e chiuso la questione: “Non ho la competenza e ho 91 anni”.

In questo scenario è lecito farsi una domanda: ma che ruolo ha la comunicazione in tutto ciò e come può, attraverso la linea politica che ogni partito delinea, continuare ad essere il più comprensibile e trasparente possibile?. Non ci sono dubbi, su quelle che sono le finalità strategiche dei partiti. Come si suol dire ognuno porta acqua al proprio mulino proiettando sull’elettorato la propria tendenza attraverso una comunicazione palesemente diretta a prendere consensi e supporti.

Nell’era della comunicazione che stiamo freneticamente vivendo, l’elettore vuole co-noscere la politica, i leader, i partiti, i candidati, i politici, le campagne elettorali, i programmi, le azioni politiche, ecc. In questa sua giusta richiesta è necessario che

l’elettore riceva soddisfazione. La comunicazione come succede in altri campi, anche in politica, può risultare una forza di grande influenza: essa informa, stimola, socia-lizza, adegua gli individui ad uno stesso modo di pensare e di comportarsi.

Un partito, sta diventando sempre più sensibile a questo cambiamento. Sta iniziando a convincersi che la comunicazione è uno strumento, della sua strategia di approccio del mercato elettorale, cui non può fare a meno per essere competitivi.

Aspettare che sia l’elettore che s’informi su un partito, sul suo progetto politico è utopia. Ecco perché, per fare politica, un partito ritiene valida ed essenziale la disponibilità di un progetto, di una leadership, di una struttura organizzativa, di buoni politici e candi-dati. Nella stessa maniera deve rendersi conto dell’insostituibilità di una comunica-zione efficace in politica.

In poche parole, per avere il consenso non basta “fare”, bisogna anche “far sapere” agli elettori e ai cittadini. I partiti devono disporre di una comunicazione adeguata, pun-tuale, chiara che riesca a portare i giusti messaggi agli elettori, a far capire la loro azione politica, le caratteristiche che la qualificano, le motivazioni che la supportano.

Un processo di comunicazione politica deve essere diretto non soltanto a far conoscere gli ideali, risultati conseguiti, programmi attraverso dei canali comunicazionali, ma an-che a ricercare il riscontro e il sostegno favorevole dell’elettorato alle proprie visioni.

E’ fondamentale un cambio di rotta, un approccio induzionale ed integrato che abbia l’obiettivo di ottenere la collaborazione degli elettori e di tutti i soggetti che entrano in contatto con i partiti e i candidati, inducendoli a cooperare e a sostenerli. E’ quello che succede portando nella comunicazione il marketing induzionale: indurre l’elettore a votare e persuadere i membri interni ed esterni al partito – sostenitori, consulenti, media – ad agire in favore del partito o candidato, in questo caso in corsa al Quirinale. Si tratta di un concetto nuovo che sta prendendo sempre più piede e che insegno durante i miei corsi di formazione a chi vuole seguire la carriera politica. Una strategia la cui com-prensione e applicazione sta diventando non più un’eccezione ma una regola. La co-noscenza di questi strumenti permette, a chi si affaccia a questa realtà, di indurre negli elettori uno stato emotivo e mentale di condivisione degli stessi obiettivi del partito o del candidato, rappresenta la sintesi di una serie di approcci, che vanno sotto il nome di marketing post-moderno. Questi approcci comprendono una serie di elementi co-muni che si rivelano appropriati per interpretare l’attività politica, in particolare: la considerazione di simboli, la frammentazione delle richieste degli elettori, basate non tanto sull’ideologia ma su singoli temi, la necessità di personalizzare l’attività di co-municazione e le proposte politiche, di creare delle esperienze di partecipazione all’at-tività politica, di intervenire in tempo reale nelle comunità di elettori. Un orientamento coerente con l’utilizzo di nuovi strumenti di marketing politico: 1. il marketing expe-rienziale, il cui obiettivo è creare un’esperienza completa con i potenziali elettori; 2. il permission marketing, fondato sull’invio di messaggi agli elettori, previo consenso e in cambio di un certo vantaggio o beneficio; 3. la mass customization, diretta alla pro-duzione di massa di servizi personalizzati per ciascun fruitore; e 4. il real time marke-ting, finalizzato alla fornitura di servizi che si adattano in tempo reale ai cambiamenti delle preferenze e alle necessità dei fruitori.

A differenza del marketing relazionale, che si caratterizza per l’attribuzione di una pre-ferenza nei rapporti con il partito o il candidato, il marketing induzionale è indirizzato ad ottenere il coinvolgimento totale dell’elettore per pervenire all’ottenimento del suo voto e sostegno, contribuendo così alla creazione di un processo di comunicazione bi-direzionale tra candidati e potenziali elettori. Ne deriva che, se questi ultimi si perce-piranno soddisfatti dei risultati ottenuti nelle varie fasi della campagna elettorale o della propaganda comunicazionale dei partiti e candidati, tenderanno a reiterare il proprio consenso e appoggio politico. Si tratta di un modello di marketing politico orientato alla soddisfazione degli elettori secondo parametri che i partiti contribuiscono a creare, attraverso il loro modo di fare propaganda. A voler ricercare e analizzare l’elemento attraverso il quale è possibile comprendere il comportamento di voto e consenso dell’elettore, non si può prescindere da un’attento studio delle attese dei potenziali elettori, costituite da una componente razionale le aspettative (conoscenze) e una com-ponente motivazionale i desideri (speranze). Le aspettative rappresentano le espe-rienze passate, le informazioni esterne, le inferenze. Dette aspettative vengono utiliz-zate per definire le connessioni tra il dominio dello stimolo e le organizzazioni catego-riche che gli individui possiedono di quel dominio dello stimolo. I desideri rappresen-tano invece gli obiettivi personali, gli stimoli interni, e le pressioni esterne che gli elet-tori vogliono raggiungere. La speranza indica la credenza che qualcosa di positivo possa realizzarsi, ed è quindi collegata ai fini personali, che risultano coinvolgenti per l’elettore. Questi stimoli sono il motivo e la ragione che, attraverso la comunicazione politica veicolata dai partiti verso un candidato rispetto ad un altro, li porterà a schie-rarsi naturalmente e volontariamente. Ma come funziona, sul campo, lo studio delle attese da parte dei partiti?. Possiamo distinguerlo in tre fasi: 1) la fase precedente al voto, in cui l’elettore manifesta l’esigenza di trovare una risposta alla domanda: Chi voto? Chi sostengo?. Lo strumento che utilizza è la ricerca delle informazioni attra-verso l’esposizione volontaria e involontaria a fonti personali e impersonali; 2) la fase di voto, in cui l’elettore valuta le informazioni raccolte attribuendo loro un peso sulla base di determinati criteri di valutazione, ed effettua la propria decisione di voto e so-stegno politico, esprimendo la propria scelta; 3) la fase post-voto, in cui l’elettore valuta i risultati e la performance dell’attività di governo. Nelle tre fasi citate, le attese degli elettori sono influenzate dalle variabili contestuali, che si distinguono in fattori perso-nali, interni all’individuo, e situazionali, esterni e relativi all’ambiente. I fattori perso-nali includono la personalità degli elettori, i loro stili di vita, gli obiettivi, interessi e motivazioni, e i loro atteggiamenti, sia specifici che generali. I fattori situazionali ri-guardano sia i fattori fisici che le caratteristiche temporanee degli individui indotte dall’ambiente quali l’umore, lo stress, la mancanza di tempo. Gli elettori, nel prendere le proprie decisioni relative al voto e alla partecipazione politica, comparano le proprie attese con la propria percezione dell’esperienza di voto, nelle fasi precedenti, conco-mitanti e susseguenti alla campagna elettorale o propaganda dei partiti, che saranno

influenzate dai fattori contestuali presenti. Tale raffronto rappresenta il parametro at-traverso il quale l’elettorato darà luogo ad un giudizio di valutazione, che può essere di soddisfazione o di insoddisfazione, che influenzerà a sua volta l’intenzione di voto o di partecipazione. Ne consegue che, adottando questo approccio, per ottenere il suc-cesso politico, i partiti e i candidati sono sempre più proiettati a progettare e comuni-care l’offerta politica in grado di soddisfare le aspettative e i desideri che gli stessi partiti e candidati hanno contribuito a forgiare. L’adozione strategica di suddetto mo-dello di comunicazione, può incentivare la creazione di un processo di fidelizzazione dei potenziali elettori e dei soggetti che sono in contatto con l’attività politica, attra-verso il soddisfacimento delle attese degli stessi, secondo il meccanismo del “consu-matore come prodotto”. Il partito e i candidati possono concorrere essi stessi alla crea-zione di aspettative e desideri che sono in grado di soddisfare, intervenendo preceden-temente alla formazione della domanda reale, e non aspettando che essa si manifesti, al fine di produrre degli elettori “soddisfatti”. Mutando il modo di comunicare, muta anche il modo per ottenere consensi da parte di un bacino d’utenti, gli elettori, sempre più scaltri, selettivi e critici nell’attingere informazioni. E’ evidente che le ricerche di marketing e le attività di comunicazione politica svolgono, pertanto, un ruolo che sta sempre più diventando un’arma potentissima per vincere e attrarre l’elettorato che or-mai è diventato sempre più propenso all’ascolto e alla segmentazione accurata delle informazioni che li bombardano in più direzioni. Prendere consapevolezza di ciò vuol dire sciogliere quel nodo di governo che attanaglia la politica a ridosso della nomina del successore di Sergio Mattarella. Ma la domanda è ancora offuscata e oggetto di attenta valutazione da parte di partiti ed elettori: chi sarà il nuovo Presidente della Re-pubblica? Ma soprattutto quanto influenzerà la comunicazione dei partiti sullo stesso per creare spontaneamente seguaci? Lo scopriremo a breve.

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