LA CHIESA DI SAN MARCELLO AL CORSO IN ROMA E IL CROCIFIFISSO MIRACOLOSO

San Marcello, è uno degli edifici di culto cristiani più antichi della città di Roma, di grande importanza per i capolavori e le opere d’arte conservate in essa. Su via del Corso, in un piccolo slargo, è ubicata la chiesa, le cui origini si collocano alla fine del IV secolo.

Dagli scavi degli inizi del Novecento, sono emerse sotto l’attuale IV cappella sinistra notevoli preesistenze databili tra la fine del IV e il V secolo (Krautheimer); della stessa epoca o di poco dopo è il fonte battesimale a nord dell’attuale abside. La chiesa viene citata la prima volta nel 418, dopo la morte del Papa Zosimo, in una lettera con la quale il prefetto di Roma annunciava all’imperatore Onorio, a Ravenna, la contemporanea elezione a pontefice di Bonifacio, eletto in ecclesia Marcelli e di Eulalio eletto nella Basilica Lateranense.

Siamo a conoscenza di un restauro di Papa Adriano I, 772 – 775, ai tempi di Gregorio IV, 827 – 844, nell’edificio, a pianta basilicale, vengono trasferite le reliquie di Papa Marcello dalle catacombe di Priscilla. Il luogo di culto viene riedificato nel XII secolo: sappiamo che l’edificio romanico era orientato nel senso opposto all’attuale, ovvero che l’abside era sulla via Lata e l’ingresso preceduto da un atrio quadriportico, verso la piazza dei Santi Apostoli. La chiesa medievale impreziosita lungo il XV secolo di molte cappelle, dedicate a Santa Caterina, San Giovanni, a San Sebastiano, al Crocifisso, andò distrutta nel 1519 da un terribile incendio: dal fuoco si salvarono soltanto i muri perimetrali e il Crocifisso ligneo. Il fiorentino Leone X, l’8 ottobre dello stesso anno, commissiona la ricostruzione della chiesa a Jacopo Sansovino, a cui si deve il capovolgimento dell’edificio rivolgendo la facciata al Corso e l’impostazione generale della fabbrica, a navata unica sulla quale si aprono cinque cappelle per parte. Due disegni di Antonio da Sangallo il Giovane testimoniano come l’ambizioso architetto cerca di inserirsi nel cantiere, entrando in competizione con il Sansovino; quando costui parte per Venezia, nel 1527, la chiesa è portata avanti da Giovanni Mangone. I lavori interrotti più volte, terminano solo nel 1592; nel 1569 si realizza l’abside, su progetto di Annibale Lippi. Alla fine del Seicento la facciata cinquecentesca è sostituita a spese di monsignor Marco Antonio Boncompagni Cataldi, da quella di Carlo Fontana, conclusa nel 1686, per le statue dell’ordine superiore si deve però aspettare il 1701 perché un nuovo benefattore, Roberto Orsini, ne dia mandato ad Andrea Fucigna. Un notevole intervento si attua nel 1861, quando una commissione nominata dal generale dell’Ordine, Alboino Patscheider, rileva il grande pericolo che gravava sulle strutture. Inizialmente Ignazio Cugnoni, poi Virginio Vespignani effettuano i lavori di ripristino, pregiudicando l’aspetto barocco: viene demolito l’altare maggiore, compiuto nel 1725 da Sebastiano Cipriani e l’organo seicentesco; i pittori Silverio Capparoni e Giovan Battista Polenzani restaurano i dipinti della navata e del coro creandone di nuovi. Dopo la riapertura della chiesa, nel 1867, un altro restauro nel 1920 aggiusta i danni di un fulmine che aveva sfondato il tetto e il soffitto, rovinando l’affresco e i monumenti della controfacciata.

La facciata in travertino dall’andamento concavo, opera di Carlo Fontana, in Italia e nei paesi tedeschi, durante il neoclassicismo, invece è presentata da Francesco Milizia: “scorretta e di pessimo gusto”.

All’interno, il soffitto ligneo è disegno di Carlo Lombardi: (“mesuratore, et non architetto” lo definisce il malevolo Giacomo della Porta, suo più famoso contemporaneo) che lo progetta nel 1592; tra il giugno e il dicembre del 1594 Giovanni Battista Ricci crea la decorazione pittorica, nell’Ottocento pesantemente ritoccata.

Nella prima cappella a destra, è situato l’altare, del 1687, con la pala, rappresentante l’Annunciazione di Maria, di Lazzaro Baldi, allievo di Pietro da Cortona; al di sopra una quattrocentesca Madonna con Bambino, probabilmente derivante dalla vecchia chiesa. Alle pareti della cappella i monumenti

ottocenteschi con busti di Orsola Priuli Maccarani, a destra e del medico Onofrio Concioli, a sinistra. Nella cappella è posto anche il gruppo ligneo della Pietà, derivato, in avanzato Seicento dalla celeberrima composizione di Annibale Carracci. Si attribuisce alla scuola del Bernini e la generica indicazione non è altro che una cronologia della seconda metà dell’Seicento; è però interessante perché ideato a far parte di un apparato processionale per il trasporto, in particolari occasioni estive, del Crocifisso miracoloso.

La seconda cappella, concessa alla famiglia Muti nel 1644, è dedicata alle Sante Degna e Merita. L’aspetto settecentesco si deve al disegno di Francesco Ferrari, 1725 circa. Sulla volta, Ignazio Stern dipinge la Gloria delle due sante.

Nella terza cappella, è presente il monumento funebre del vescovo Matteo Grifoni (1651), opera probabilmente di Stoldo Lorenzi, allievo di Michelangelo. Di Perin del Vaga, pittore romano, sono forse i due Angeli che reggono la corona sulla Madonna con Bambino posta sopra l’altare, splendido affresco del primissimo Trecento, composto sui modelli assisiati e giotteschi.

La quarta cappella, dedicata al Crocifisso, ospita la scultura lignea quattrocentesca, miracolosamente scampata all’incendio del 1519. Essa è una statua in legno di pioppo, colorata e dorata, composizione di scuola romana, creata circa nel 1370, è determinata da un solo tronco dai piedi alla nuca mentre il volto e le braccia sono stati realizzati a parte. L’opera è stata posizionata su un fondo di velluto rosso e decorazioni dorate. Fra il 1525 e il 1527, sempre il celebre artista, Perin del Vaga, adornò la cappella con affreschi mai terminati e alcuni purtroppo persi, come ad esempio al centro della volta la bellissima Creazione di Eva.

La quinta cappella, inaugurata nel 1725, è dell’architetto Ludovico Rusconi Sassi mentre il lavoro dei marmi si deve allo scalpellino Franco Armellini, che riveste d’alabastro le pareti e realizza i pilastri in breccia corallina e pavonazzetto.

C’è poi la Sacrestia, edificata nel 1661, con arredi in noce della fine del XVII secolo: nella volta, al centro, la Gloria di San Marcello e ai lati, i medaglioni con Virtù cardinali, sono rappresentazioni di Giovan Battista Ciocchi, “pittore fiorentino giovine di molte esperienze nella sua arte”, che le realizza nel 1690. Sulla parete di fondo, la tela con il Crocifisso si dice con scarso fondamento, di Anton Van Dyck.

Ancora abbiamo in chiesa l’abside che, al momento, ha l’aspetto degli interventi ottocenteschi. L’altare è di Virginio Vespignani.

La quinta cappella a sinistra, dedicata a San Filippo Bennizzi, è ripristinata nel 1725 a spese del cardinale Alessandro Falconieri, che da incarico a Pier Leone Ghezzi della creazione della pala d’altare, rappresentante San Filippo Benizzi assistito da Sant’Alessio Falconieri consegna il libro della regola a Santa Giuliana Falconieri.

La cappella successiva, della famiglia Frangipane, è dedicata a San Paolo. La decorazione è uno dei cicli pittorici più importanti della metà del Cinquecento, conseguita quasi interamente da Taddeo Zuccari, che, iniziato il lavoro nel 1558, non riuscirà a finirlo a causa della sua morte. La pala d’altare dipinta su lavagna, ritrae la Conversione di San Paolo. Noto è invece l’autore dei tre busti della parete destra (Muzio, Roberto, Lelio), opere di uno dei più significativi scultori della Roma barocca, il bolognese Alessandro Algardi.

L’attuale aspetto della terza cappella sinistra, concessa nel 1642 alla Compagnia della Madonna dei sette dolori, si deve nel 1762 a Zenobio del Rosso e allo scalpellino Alberto Fortini, che ne attua il rivestimento marmoreo in giallo di Siena, verde e diaspro di Sicilia. Alle pareti vi sono i dipinti pagati nel settembre 1762 al viterbese Domenico Corvi, il Sacrificio di Isacco, a destra e il Ritrovamento di Mosè, a sinistra. Nella volta, la Presentazione al Tempio, opera a fresco di Antonio Bicchierai, è incorniciata da stucchi di Tommaso Righi e Cinzio Ferrari.

La seconda cappella, dedicata a Maria Maddalena, fu concessa nel 1549, al cardinale Ascanio Parisani. Creata da Giovanni Paolo di Francesco di Michelangelo del Colle aiuto del Vasari, il lavoro però era stato già iniziato da Lorenzo da Rotterdam, pittore fiammingo molto noto ai suoi tempi, uno dei primi stranieri ad avere accesso all’Accademia di San Luca. L’insieme è molto elegante e bizzarre sono le grottesche che incorniciano le piccole scene. Complicato è riconoscere attualmente, quanto è dell’uno o dell’altro nei quindici riquadri della volta con al centro lo stemma della famiglia, o del sottarco; la perdita della pala d’altare con la Pietà dipinta da Giovanni Paolo del Colle ci priva di un valido termine di confronto.

La prima cappella sinistra fu dedicata in principio, nel 1593, alla Madonna dei Sette Dolori, poi, nel 1727, ai Sette Santi fondatori dell’Ordine: è dunque di quest’ultima data la pala di Agostino Masucci, raffinato pittore amico di Maratta, raffigurante appunto i Santi fondatori e la Vergine.

Prima della controfacciata, è ubicata una nuova cappella, creata nel 1954 su progetto di Arnaldo Brandizzi.

La parete a sinistra dell’ingresso della chiesa è caratterizzata dal monumento al cardinale Giovanni Michiel e al nipote Antonio Orso; l’attribuzione tradizionale a Jacopo Sansovino, a causa di una mal interpretata citazione del Vasari, è stata oggi messa in dubbio.

Dalla chiesa si scende al Battistero della basilica antica, ritrovato nel 1912 per la edificazione della Galleria San Marcello, tra i rarissimi a Roma per il rito dell’immersione,; la vasca poligonale all’esterno e con nicchie all’interno, è forse dell’VIII secolo su una struttura del V.

Uscendo a destra c’è il Convento iniziato nel 1616 su disegno di Antonio Casone e concluso nel 1671. In esso vi sono alcuni dipinti con scene della vita di San Filippo Benizzi, rappresentati per la canonizzazione avutasi nel 1671.

Circa un anno e mezzo fa, Papa Francesco pregava in piazza San Pietro per il termine della pandemia davanti a due effigi intensamente venerate dai romani e dai fedeli di tutto il mondo.: la Salus populi romani e il Crocifisso di San Marcello. Il mondo era spaventato e in quel giorno piovoso del 27 marzo 2020 sul sagrato deserto della basilica di San Pietro, il Crocifisso risaltava nel buio davanti al Papa, che si addossava il dolore e la paura degli uomini, implorando l’aiuto di Dio. Infatti da un’antica tradizione in cui, nei periodi più difficili della storia e soprattutto riguardo le calamità delle epidemie, ci si rimette alla preghiera della figura della Vergine, e della rappresentazione del Cristo in croce.

Nel maggio del 1519, come citato, la chiesa fu devastata da un incendio, sopravvisse unicamente il Crocifisso che ornava l’altare maggiore. L’evento portò a reputare miracoloso l’episodio. Tempo dopo, nel corso della peste del 1522, il cardinale Raimondo Vich, costituì una processione penitenziale, che durò 18 giorni, con il santissimo Crocifisso portato a spalla lungo tutti i quartieri di Roma, sino ad arrivare alla Basilica di San Pietro. Era presente il popolo completo di tutte le età e le condizioni sociali e passando, la peste terminava. Successivamente fu fondata la Compagnia dei disciplinati intitolata al santissimo Crocifisso, poi Confraternita. Da quell’epoca la sacra immagine è condotta in processione nei Giubilei e negli eventi più significativi come ad esempio la Giornata del perdono, nel corso dell’ Anno santo del 2000, con Papa San Giovanni Paolo II.

Ma chi prega all’interno della cappella, dove è sito il Crocifisso, non nota le decorazioni: è la figura sofferente del Cristo a imprimere ogni attenzione; Il suo viso inclinato è assorto nel silenzio amaro della morte. Il Crocifisso di San Marcello ha in se chiaramente l’espressione del sentimento e del dolore delle persone che gli si avvicinano nella preghiera attraverso dedizione e fiducia, infatti nelle opere d’arte cosiddette minori, le incompletezze determinano amore perché specchio del nostro altruismo e della nostra fragilità.

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