LA CASA DEL FAUNO A POMPEI. INTERVENTI E RESTAURI

La città sotto il Vesuvio è ancora una volta protagonista di un mio articolo attraverso i nuovi interventi che hanno restituito splendore ad una delle più fastose residenze pompeiane.

Modello dell’architettura domestica di prestigio i molteplici capitali dei più ricchi abitanti di Pompei, consentirono ad alcuni di loro di ingrandire enormemente le proprie dimore. La più vasta delle abitazioni pompeiane oggi nota, è così chiamata Casa del Fauno, che copre una superficie di oltre 3000 metri quadrati occupando l’intero edificio.

I committenti della sontuosa costruzione furono probabilmente i Sadirii, facoltosa gens di Pompei, tenuto presente che la statua di un loro rappresentante era collocata all’interno della casa e che alla stessa famiglia si riferisce il programma decorativo di stampo dionisiaco, descritto da mosaici pregiati e dall’immagine del Satiro danzante, cosiddetto Fauno, che ha dato il nome alla residenza, attraverso il quale la stirpe certamente si riconosceva, acquisendo anche il nome: Sadirii (dal latino Satrii). Gli ultimi proprietari della casa furono i Cassii, risalenti a loro attraverso un sigillo scoperto vicino a uno dei defunti nell’atrio secondario: i proprietari ristrutturarono l’abitazione dopo il terribile sisma del 62 a. c., come documenta il peristilio, modificato al tempo dell’eruzione in un magazzino di materiali edilizi da cantiere. Sulla proprietà iniziale della casa, il direttore degli scavi Amedeo Maiuri ipotizzò che essa quasi sicuramente era la dimora di Silla, nipote del dittatore Publio Silla, deputato a conciliare gli interessi dei nuovi coloni pompeiani con i veteres cives dopo l’89 a. c..

Celebre appunto per il bronzetto del Fauno danzante che abbelliva l’impluvio dell’atrio principale, la residenza signorile si distingue per l’eleganza dei suoi elementi architettonici e decorativi, tanto da essere stata ritenuta, già ai suoi tempi, uno dei modelli più ammirevoli di abitazione privata e prototipo della domus aristocratica romana d’età repubblicana. Ricchezze e livello sociale del proprietario si individuano fin dalla via: il marciapiede riporta l’iscrizione di benvenuto (HAVE) in latino; l’imponente portone è contornato da pilastri con capitelli decorati, il pavimento dell’ingresso è un intarsio di triangoli policromi in marmi gialli, verdi, rossi e rosa (opus sectile). La parte alta delle pareti, su entrambi i lati, è impreziosita da tempietti a rilievo nei quali è presente il larario della casa. La residenza nasce all’inizio del II secolo a. c., in tarda età sannitica quando viene edificata una prima abitazione, con due atri e due peristili intorno ai quali si distribuiscono altri ambienti: alcuni di rappresentanza, decorati in maniera eccelsa, altri destinati all’utilizzo della famiglia, altri di servizio e un ampio giardino che si sviluppa sino al limite opposto dell’insula. Verso la fine del secolo la casa viene totalmente modificata, con la realizzazione di un distinto ingresso all’atrio minore, divenendo un’armoniosa struttura tetrastila, mentre nel peristilio si annette una grande esedra con il famoso mosaico di Alessandro e nel giardino viene invece creato un imponente porticato dalle colonne in laterizio. Il ripristino è rivolto anche agli apparati decorativi parietali in primo stile e pavimentali in opus sectile ed emblemata in vermiculatum. Per questo la residenza diviene un esempio per l’architettura domestica pompeiana, influenzando per quasi un secolo le realizzazioni di altre maestose case, come quelle di Pansa, del Labirinto, del Menandro del Cinghiale, di M. Obellius Firmus. Le porte del tablinium, ambiente posto dopo l’atrio di rappresentanza, probabilmente erano sempre aperte, in modo da far vedere la finestra che inquadrava il primo peristilio sul cui fondo vi era, contornata da colonne rosse, l’esedra con il mosaico della Battaglia di Isso. La casa del Fauno doveva quindi apparire al viandante fin dal marciapiede, come una moltitudine di colonne in cui risaltavano quelle rosse dell’esedra, con lo sfondo di una reale scenografia del Vesuvio generante ombra, visione emozionante che alla luce della devastante eruzione sembra quasi un presagio.

L’esteso mosaico della Battaglia di Alessandro e Dario a Isso, che quasi certamente riproduce un dipinto di Filosseno di Eretria secondo la testimonianza di Plinio, con un abile gioco di riflessi e prospettive, l’artista riesce a ritrarre un guerriero di spalle. L’opera rappresenta infatti il momento della battaglia di Isso tra il giovane Alessandro, all’epoca Re di Macedonia in sella al suo fido cavallo Bucefalo, contro le truppe di Dario III di Persia nel 333 a. c.. Il mosaico commissionato presumibilmente perché gli avi del proprietario dovevano avere relazioni con Alessandro di Macedonia, è una copia del noto dipinto di epoca greca ed è stato realizzato con circa due milioni di tessere; esso, dalle dimensioni di 5,82 x 3,13 metri, ritrovato nel 1831 fu portato a Napoli nel 1844.

Sono iniziati lo scorso 4 marzo i lavori di restauro dell’importante mosaico ubicato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. I restauratori suppongono che uno dei motivi della sua graduale degradazione, attraverso il distaccamento di alcune tessere e al rigonfiamento e lesioni di varie zone, possa essere stato l’errato posizionamento sulla parete del museo. Il ripristino si concluderà fra sette mesi e sarà determinato da articolate e delicate tecniche che cercano di ridurre in maggior misura l’effetto del movimento delle tantissime tessere del mosaico. Tramite un attento sistema di bendaggi e la copertura della parte frontale dell’opera d’arte con un tavolato di legno, i tecnici interverranno nella parte posteriore del mosaico. Il restauro si servirà anche di complicate ed avanzate tecnologie, sponsorizzato dalla società per le comunicazioni TIM. Il ripristino del mosaico è diretto dall’Istituto Centrale per il Restauro (ICR) mentre l’Università del Molise e il Center for Research on Archaeometry and Conservation Science (CRACS) si sono dedicati agli esami diagnostici.

Nei primi giorni di settembre 1943, la zona degli scavi di Pompei, diventa tristemente un bersaglio dell’aviazione angloamericana, per la supposta presenza di truppe tedesche nelle vicinanze. Il bombardamento ricadde soprattutto sulla parte occidentale della città antica, relativo alle Regiones VI, VII e VIII. Furono attaccati il Foro, la Basilica e il Tempio di Apollo, fra le domus furono grandemente danneggiate in particolar modo la Casa del Fauno e di Cecilio Giocondo. Le lesioni sono ancora attualmente presenti nel Parco attraverso la potenza deflagrante degli ordigni.

I resti di uno di essi è presente oggi all’ingresso della Casa del Fauno, le cui deturpate colonne dell’atrio secondario, ripristinate nel dopoguerra e ancora fratturate dal terremoto del 1980, risplendono grazie al recente restauro terminato nel mese di gennaio. Nel settembre appunto del 1943 due bombe caddero sulla dimora e una di esse finì sull’atrio tetrastilo che componeva l’accesso all’area privata dell’abitazione abbattendo tre delle colonne corinzie in tufo, decorate in stucco. Restava illesa solo quella sita a nord. Le colonne furono velocemente ripristinate nel 1946 secondo gli usi del periodo, impiegando molte aggrappature in ferro o in lamine zincate e malte cementizie, dimostrandosi successivamente non adatte per la conservazione. In seguito furono lese dal sisma e attraverso altri interventi conservativi, si sono determinati processi di fratturazione e frammentazione rilevanti. In precedenza dell’attuale restauro una delle colonne si mostrava presidiata e puntellata con tubi, giunti metallici e palanche in legno per sorreggere e conservarne tutte le parti frammentate, parzialmente rialzate o interamente staccate, invece le altre mostravano degradazione in modo molto avanzato. La ricostruzione odierna, determinata da lunghe operazioni con materiali e tecniche moderne, è stata caratterizzata dalla reinstallazione dei quattro reperti nella stessa posizione dalla quale furono divelte per essere risanate da archeologi e restauratori. Un team di professionisti e tecnici hanno operato con pulitura, trattamento biocida, stuccatura, consolidamento e protezione delle quattro speciali colonne. Un lavoro complicato di consolidamento, che ha cercato di risolvere in modo definitivo il restauro delle colonne rimaste per un lungo periodo in stato di conservazione precaria. Ma anche un intervento di riqualificazione e di recupero estetico, compiuto uniformando e integrando i materiali di restauro, che presenta la testimonianza di un periodo doloroso di Pompei legato all’ultima guerra mondiale. I bombardamenti degli scavi di Pompei sono infatti la rappresentanza oggettiva dell’oltraggio brutale ed offensivo alla nostra cultura che ha pari solo nelle devastazioni barbariche avvenute però ben 2000 anni prima.

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