La prima di “Attila”: Giuseppe Verdi apre la stagione della Scala

Il canonico 7 dicembre della Scala di Milano sarà quest’anno dedicato all’Attila di Giuseppe Verdi. Il celebre teatro dell’opera prosegue quindi nel caratterizzare le proprie aperture con i lavori di transizione e maturazione del compositore emiliano, già iniziato con Giovanna d’Arco e che probabilmente culminerà con il Macbeth nei prossimi anni.

Un lavoro, quello dell’Attila, che negli ultimi anni è visibilmente caduto nel dimenticatoio, virtualmente scomparso dalle scene e dalle rappresentazioni. Ciononostante, esso risulta essere un capitolo importante dell’opera di Verdi, per certi versi un punto di svolta. Al di là della peculiare origine germanica del libretto – dall’omonima tragedia di Zacharias Werner – infatti, Attila è anche la prima opera per la quale Verdi assume un ruolo rilevante nell’elaborazione di scenografie e dettagli di allestimento.

Attila è inoltre un lavoro connotato da una particolare caratterizzazione dei propri personaggi: da un lato il re degli Unni, terribile e animoso, è anche l’individuo indiscutibilmente più genuino e coerente dell’opera. Viceversa, in una rappresentazione per l’epoca inedita, i “civili” antagonisti italici sono caratterizzati da una morale ambigua e debole. È in particolare il caso del generale Ezio, più disposto al compromesso che alla piena risoluzione della natura del suo ruolo. Fa menzione a sé, in un certo senso, il dirompente ed emotivo personaggio di Odabella.

La presente messa in scena dell’Attila, anticipata da un vero e proprio trailer cinematografico girato nel novarese, vedrà la regia di Davide Livermore e la direzione del maestro Riccardo Chailly, già reduci da collaborazione congiunta di lungo corso. Per il protagonista Ildar Abdrazakov (Attila) è addirittura il 7 dicembre, e in generale il palco della Scala non gli è affatto ignoto. Per la sua collega Saioa Hernández (Odabella) è invece il debutto nello storico teatro milanese.

Il quadro composto da queste grandi eccellenze sarà arricchito e completato dalle scene di Giò Forma, le luci di Antonio Castro, i costumi di Gianluca Falaschi e il videomapping di D-Wok. In un certo senso, come Verdi all’epoca provò ad avvalersi della maggiore avanguardia tecnica per la messa in scena del suo Attila, oggi Livermore e soci hanno la stessa intenzione in tempi e modi diversi.

In tutti i sensi, dal momento che la regia collocherà l’azione in una guerresca ambientazione che sa di primo Novecento più che di Medioevo. Forse, più che per forzata originalità, per dare un senso di disperazione bellica più affine e comprensibile al pubblico odierno. E per sottolineare l’eternità di certi sentimenti come la vendetta, l’umana hybris e il dualismo tra integrità e corruzione dell’animo.

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