Italo Calvino, l’altra Euridice in un vortice di paradossi

L’altra Euridice è un racconto scritto da Italo Calvino, pubblicato sulla rivista Gran Bazaar nel settembre-ottobre del 1980. Si tratta di una riscrittura del mito di Orfeo, a sua volta ripresa da una precedente rivisitazione, sempre ad opera di Calvino: Il cielo di pietra del 1968, racconto contenuto nella raccolta La memoria del mondo e altre storie cosmicomiche. Perfettamente in linea con le realtà paradossali degli altri racconti cosmicomici, L’altra Euridice ci presenta un ordine spaziale capovolto: l’inferno sulla terra (non per modo di dire) e il vero modo al suo interno. Ad essere completamente rovesciati non sono solo gli ambienti geografici terrestri ma anche i personaggi; così negli strati più profondi della terra Plutone (il nostro Orfeo capovolto) trascorre il tempo con la sua compagna Euridice e insieme, nel più assordante dei silenzi percepibili, cercano di raggiugere il nucleo interno della terra dove, sotto un cielo di pietra attraversato da nuvole di cromo e magnesio, tra i metalli fluidi e quelli compatti, pulsa il cuore dell’esistenza, fatto di ferro e nichel: «Vi fate chiamare terrestri, non si sa con che diritto: perché il vero nome vostro sarebbe extraterrestri, gente che sta fuori: terrestre è chi vive dentro, come me e come Euridice». Il viaggio però viene bruscamente interrotto dal canto di Orfeo che attrae Euridice verso la superficie e la sottrae al suo amante ctonio. Le inversioni di Calvino sono molteplici: gli abissi della terra abitati dalla vera vita; Plutone che perde Euridice a causa di Orfeo; Euridice che non precipita negli inferi ma compie il suo destino al contrario, risalendo in superficie; Orfeo che sottrae Euridice a Plutone attraverso la sua poesia, un canto armonico e totalmente contrapposto ai clangori metallici che abitano gli strati più interni del pianeta, tanto da distrarre fatalmente la ninfa. È il teatro dell’assurdo, una matriosca di capovolgimenti che stravolge totalmente la vicenda mitica, in un modo assolutamente geniale che solo la straordinaria potenza immaginifica di Calvino poteva concepire.

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