Intervista a Simone Cozzi, autore del romanzo “Lo spazio torbido”

Simone Cozzi è uno scrittore appassionato di fotografia, musica e di Martini cocktail. Ha curato il blog Le cronache di Sigma e nel 2014 ha preso parte al Cochonnerie-Labile Collettivo, con il quale ha pubblicato Fatti mangiare dall’amore. Con Panda Edizioni pubblica nel 2015 La pace inquieta, nel 2016 Doppio Strato e nel 2018 Lo spazio torbido, un giallo a sfondo storico in cui emerge l’indimenticabile figura del Delegato di polizia Vittorio Ripamonti, alle prese con un misterioso omicidio nell’Italia fascista dei primi anni trenta.

Titolo: Lo spazio torbido

Autore: Simone Cozzi

Genere: Romanzo poliziesco

Casa Editrice: Panda Edizioni

Pagine: 124

Codice ISBN: 9788893781251

«Il protagonista de Lo spazio torbido, Vittorio Ripamonti, è uno di quei personaggi che non si abbandonano anche dopo aver chiuso un romanzo. Rimane nella testa del lettore la sua profonda solitudine che si riflette nel paesaggio innevato di Milano, il suo disincanto verso la vita e il futuro che lo attende, e la sua lotta contro ferite che non vogliono rimarginarsi e con la parte più oscura della sua anima, che solletica e sfida continuamente la sua moralità. Come si costruisce un personaggio così intenso e così tangibile?».

Vivendolo. Gran parte dei lati che riscontriamo in Ripamonti mi sono propri. Da questa base ho poi costruito il personaggio, dilatando certi aspetti e certe manie così da definirlo compiutamente. Ripamonti è un uomo del suo tempo. Se ne “La pace inquieta” è animato da un moderato ottimismo derivante dalle speranze conseguenti alla fine della guerra (pur con tutte le ferite connesse al conflitto), ne “Lo spazio torbido” egli vive lo sconforto dell’individuo che ha perso contro la Storia e deve assistere impotente alla tragedia che attende l’umanità. La Storia è quindi lo spartiacque fra le aspettative che l’umanità aveva riversato in tutte le diverse declinazioni della novità successive al primo conflitto mondiale e il fallimento di quegli stessi ideali di rinnovamento.

«Vittorio Ripamonti è protagonista anche del tuo romanzo d’esordio, La pace inquieta. Con Lo spazio torbido la tua prima opera condivide anche un tema importante, quell’odio per la guerra, per le prevaricazioni e per la violenza dell’uomo sui suoi simili. Nei tuoi romanzi è molto importante lo sfondo storico, sempre ben caratterizzato e significante per la trama. Quali sono i motivi che ti hanno spinto a unire episodi importanti della storia d’Italia con il genere giallo?».

Ho da sempre amato lo studio della storia. Io ho scelto di collocare temporalmente le vicende dei miei romanzi in un periodo, quello fra le due guerre mondiali, particolarmente denso di eventi che hanno poi fatto risuonare la propria eco per numerosi decenni successivi, trasformando profondamente l’individuo e il proprio approccio verso il mondo. La prima guerra mondiale, causando la caduta dei tre grandi imperi (quello asburgico, quello zarista e quello ottomano) ha stravolto la geografia politica europea e mediorientale. La caduta degli zar è coincisa con l’ascesa del regime sovietico. Le sanzioni alla Germania dopo il congresso di Versailles, hanno creato Weimar, il crollo di Wall Street e la conseguente ascesa dei totalitarismi fascisti e lo scoppio della guerra mondiale. Dalla guerra mondiale è nata la contrapposizione fra occidente filoamericano ed est Europa filosovietico, con la nascita della guerra fredda. Fino ad arrivare ai nostri giorni. È quindi un periodo storico dalla portata rilevante, molto più di altri, in cui l’uomo è confuso e preda dei propri istinti più cupi. Credo sia un ottimo scenario in cui ambientare una vicenda criminale.

«Attraverso Vittorio Ripamonti sembra tu voglia stimolare il lettore al pensiero critico, a riflessioni profonde sul senso della vita e sul significato di appartenere a una società. Non accade spesso che in romanzi di genere giallo si affianchi alle indagini su un crimine un approccio filosofico come quello che tu veicoli attraverso il tuo protagonista. Da cosa nasce questo bisogno?».

È proprio del mio modo di vivere trarre sempre spunti di riflessione da qualsiasi evento mi occorra. Quindi mi è parso naturale, riflettendo in me il mio protagonista, trasmettergli lo stesso approccio. Ripamonti non riesce ad avere il cinismo chirurgico di certi investigatori tipici della letteratura americana (penso a Chandler, Hammett fino al contemporaneo Ellroy) che si limitano a individuare il colpevole. Ripamonti ha bisogno di confrontarsi con i fatti, di specchiarsi. Forse è un bisogno di definirsi, di conoscersi attraverso ciò che gli ruota intorno, come se collocandosi nel proprio tempo e nel contesto in cui vive, riuscisse a definire se stesso.

«Qual è il significato dello “spazio torbido” che dà il titolo al romanzo?».

In ognuno di noi c’è un campo di battaglia in cui si confrontano l’imperativo morale e l’istinto con il suo fardello di slanci socialmente non accettabili, come l’odio, la sete di vendetta, la gelosia, l’avidità e tutto il resto. Quel campo di battaglia è lo spazio torbido di cui parlo. C’è chi riesce a nasconderlo mediante un robusto reticolato etico che aiuta a governare i propri comportamenti, e chi invece accetta la propria natura e libera anche gli istinti più bassi.

«Il tuo stile di scrittura si potrebbe definire cinematografico. Nella costruzione delle scene c’è molta attenzione per l’approccio visivo, e alla descrizione del contesto generale si alternano spesso piani ravvicinati di particolari ed espressioni significanti per la storia che si sta raccontando. Come hai affinato le tue capacità di scrittura? Hai seguito dei corsi o è solo tanta pratica?».

Non ho mai seguito corsi. Ho letto tanto e scritto altrettanto e di ciò che ho scritto molto l’ho buttato. Il mio processo creativo è effettivamente visivo, le immagini scorrono davanti ai miei occhi e a me non resta che descrivere ciò che vedo. In seguito lavoro sulla forma e la sintassi, ma il primo passo equivale a riprendere con una videocamera le immagini che si formano nella mia mente: quella videocamera è la scrittura.

«Tra le numerose riflessioni di Vittorio Ripamonti ho molto apprezzato il discorso che fa in merito al popolo italiano unito ai tedeschi per un insensato bisogno di combattere un nemico comune, non capendo che tale necessità era scaturita da un annebbiamento della coscienza collettiva, da una manipolazione molto sottile in cui si spinge a seguire il simile per combattere il diverso. E Ripamonti dice: “Per quello io amo il rimescolamento etnico e culturale. Fa progredire. I circoli chiusi cristallizzano i propri appartenenti su un’idea monolitica che definisce una stasi del pensiero, quasi sempre ostile per ciò o per chi da quel pensiero è differente”. Un discorso molto attuale, molto interessante se si pensa al momento storico in cui viviamo. Secondo te la letteratura può muovere le coscienze e farsi veicolo di un rinnovamento del pensiero critico?».

Io spero sempre che qualsiasi forma d’arte possa smuovere, risvegliare o anche solo stimolare le coscienze, compresa la letteratura. Nelle condizioni più critiche nascono le svolte più efficaci verso

il miglioramento; non vedo perché non possa succedere anche al giorno d’oggi. Il parallelo fra l’ambientazione storica de lo spazio torbido e quella attuale è voluto e intenzionale. Rifiutare il rimescolamento è un vero atto contro natura. I biologi ci insegnano che qualunque specie si arricchisce attraverso il rimescolamento genetico, mentre oggigiorno stiamo cercando di costruire muri. La paura sta dettando comportamenti controproducenti. Dobbiamo superare questa paura.

«Nella postfazione a Lo spazio torbido citi diversi romanzi che sono stati di ispirazione per la tua opera. Vuoi nominarne alcuni e spiegare come hanno arricchito il tuo romanzo?».

Lessi Quer pasticciaccio brutto de via Merulana in una notte, steso in un letto d’ospedale. Mi affascinò la capacità di Gadda di descrivere la normalità surreale della vita di una città durante un regime totalitario e il raggrumarsi degli individui in un impasto nefando. Ingravallo e Ripamonti si assomigliano per la necessità di trarre insegnamenti da ciò a cui assistono, ma Ingravallo, da buon meridionale, è più ironico. Ripamonti soffre tutta la gravità che la consapevolezza porta con sé. L’altro romanzo, Il fu Mattia Pascal, è citato come artificio per sorreggere il gioco del continuo cambio di identità di uno dei protagonisti. Pirandello è un maestro delle maschere e Ripamonti, nel corso della sua inchiesta, si trova a sollevarne parecchie.

Antonella Quaglia

Contatti https://www.facebook.com/Lospaziotorbido/?ref=py_c https://www.pandaedizioni.it/ https://www.pandaedizioni.it/il-nostro-catalogo/narrativa/lo-spazio-torbido/

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