“GUIDO RENI A ROMA. IL SACRO E LA NATURA”. LA SPLENDIDA MOSTRA ALLA GALLERIA BORGHESE.

“Che virtù infusa? Con incessante studio, e con ostinata fatica si acquistano questi doni, non si trovano già a sorte, né si ereditano dormendo (…). Ho studiato più che quanto altri mai s’abbia fatto, negandosi sino alla stanchezza il notturno e necessario riposo”.

Con questa citazione di Carlo Cesare Malvasia, Francesca Cappelletti, curatrice del libro e della esposizione, introduce le sue considerazioni su Guido Reni e sulla molto decantata “perfezione” dei suoi dipinti. Secondo infatti Francesca Cappelletti, il testo di Malvasia, come anche il Discorso sopra la pittura di Vincenzo Giustiniani, sono essenziali per “riflettere sul percorso di Guido Reni a Roma e aggiungere qualche tassello alla sua attività nella città del Papa”.

Dopo trenta anni dall’ultima grande mostra italiana, la Galleria Borghese, ospita la splendida mostra: “Guido Reni a Roma. Il Sacro e la Natura”, a cura appunto della direttrice del museo , Francesca Cappelletti. Dall’1 marzo al 22 maggio 2022, sono esposte circa trenta opere del “Divino pittore” e altre due rassegne seguiranno, da oggi sino al 2023, a Francoforte e al Prado, rappresentando esse una reale stagione dedicata al Maestro del Seicento Italiano.

La mostra, cerca di ricreare, iniziando dall’interesse di Guido Reni per la pittura di paesaggio in relazione ad altri artisti praticanti a Roma nel primo Seicento, i primi anni del soggiorno romano del pittore, il suo studio approfondito dell’antichità e del Rinascimento, il suo entusiasmo rivolto all’arte di Caravaggio, conosciuto e frequentato, e i rapporti con i suoi committenti.

La rassegna si incentra sul ritrovato dipinto del pittore “Danza Campestre”, 1605 circa, il quale da un anno è ritornato ad essere parte integrante della collezione del museo. Presente nelle raccolte del cardinale Scipione Borghese, menzionato negli antichi inventari sin dall’inizio del Seicento, venduto nell’Ottocento, prima scomparso e poi ritrovato nel 2008 sul mercato antiquario londinese come anonimo bolognese. La tela, dopo i necessari accertamenti di attribuzione, è stata ricomprata dalla Galleria nel 2020. Al di là di essere una significativa integrazione storica del patrimonio del museo, la sua esistenza nelle sale della pinacoteca insieme agli altri quadri della collezione, evidenzia la basilare rilevanza della committenza Borghese per Guido Reni, e fa meditare sulla relazione dell’artista con il tema campestre e la pittura di paesaggio, sino adesso considerati estranei dal suo lavoro.

Oltre alla sua importanza storico-artistica, la sua derivazione dalle raccolte appunto di Scipione Borghese, riesce a chiarire i fondamentali rapporti avutisi fra l’importante famiglia e Guido Reni. Il cardinale voleva infatti che Reni fosse il suo pittore di corte, ritenendolo, dopo la scomparsa di Annibale Carracci, l’artista più rilevante esistente sullo scenario romano. A lui, i Borghese, esattamente Papa Paolo V, gli commissionò gli affreschi della Cappella Paolina in Santa Maria Maggiore e anche uno dei suoi più insigni capolavori, L’Aurora, nel casino ora Pallavicini-Rospigliosi, quando esso era la prima impresa edile e abitazione del cardinale Scipione Borghese. Sono più di uno i dipinti del pittore che erano nella collezione, a dimostrazione di questa propensione e, fra essi, la Santa Cecilia, ubicata attualmente nel Norton Simon Museum di Pasadena.

Oggi la Galleria ha un’altra significativa tela di Guido Reni, di tipologia e soggetto completamente diversi, il Mosè con le tavole della Legge, della maturità dell’artista. E’ infatti evidenziato nella mostra la relazione appunto con i suoi committenti come il banchiere genovese Ottavio Costa, raffinato collezionista che a Roma riveste una funzione fondamentale, per di più con l’utilizzo disinibito delle copie che faceva eseguire dai suoi dipinti, come il San Francesco in estasi e il San Giovanni Battista di Caravaggio. I nomi di Reni e

Caravaggio sono abbinati con anche Annibale Carracci, nei documenti di Ottavio Costa, e sono stimati anche da personalità di grande rilevanza nella storia culturale di questa eccezionale età, come il marchese Vincenzo Giustiniani.

Per secoli, era sufficiente il solo nome Guido, accompagnato da quel conosciuto appellativo che il famoso artista bolognese ebbe in comune addirittura con Raffaello, il dominatore della scena romana del Rinascimento: “il Divino”. Divino per la sua attitudine di reinterpretare la classicità pagana, per i visi dei santi incantati dal Dio cristiano, per l’emozione scaturita dalla natura e dal paesaggio. Ciò per rimembrare quanto Guido Reni, 1575-1642, sia stato un Maestro dell’arte sin dall’inizio della sua presenza e per tutto l’Ottocento. Fu fra gli artisti più celebrati e più pagati, anche più del suo eterno concorrente, Caravaggio.

Guido Reni, giunge a Roma all’inizio del Seicento, quasi certamente invitato dal cardinale Paolo Emilio Sfondrati, conosciuto a Bologna nel 1598. E’ lui a volere da Guido una copia dell’Estasi di Santa Cecilia di Raffaello. Il pittore bolognese resterà nella città eterna sino al 1614. Nel 1604, dipinge la Crocifissione di San Pietro, quadro richiesto dal cardinale Pietro Aldobrandini per l’abbazia di San Paolo alle tre Fontane, in cui l’artista si commisura con Caravaggio. Ciò avviene anche con altre tele, come Davide con la testa di Golia, presente nella rassegna della Galleria Borghese nella sala in cui è posto il David di Gian Lorenzo Bernini.

Nel percorso della mostra abbiamo dipinti legati alla tematica sacra, ma anche forti richiami alla natura: in tutti e due i casi, il realismo dei soggetti e del contesto ambientale conquista e affascina.

Ricordiamo inoltre, che il colore dei supporti dei quadri è scelto in modo attento, riproponendo un blu caratteristico usato spesso da Guido Reni, che si può ammirare ad esempio nel cielo della Danza Campestre.

L’esposizione si apre al pian terreno nel grande salone d’ingresso con quattro maestose pale d’altare: la Crocifissione di San Pietro, 1604-1605; la Trinità con la Madonna di Loreto e il committente cardinale Antonio Maria Gallo, 1603-1604; il Martirio di Santa Caterina d’Alessandria, 1606 circa e il Martirio di Santa Cecilia, 1601. Una splendida e scenografica successione di pale d’altare, capolavori di meravigliosa bellezza, riferibili agli anni romani dell’artista e che richiamano insigni committenze: il cardinale Paolo Emilio Sfondrati, Pietro Aldobrandini, Scipione Borghese, il banchiere Ottavio Costa. Dipinti, appunto, come la Crocifissione di San Pietro, dai Musei Vaticani, o il Martirio di Santa Caterina, Museo Diocesano di Albenga, in cui Guido precorre di secoli la pittura del Novecento. Personaggi colossali e forti, operanti in martiri e assunzioni e capaci di generare intense emozioni.

Nelle sale contigue, quadri come la Strage degli Innocenti, 1611, opera eccelsa della Pinacoteca di Bologna alla quale si riferirà Pablo Picasso per il suo celebre Guernica, e San Paolo rimprovera San Pietro penitente, 1609, testimoniano come il fulcro della pittura romana di Guido Reni sia un profondo interesse per la scultura, comprovata dall’ubicazione dei corpi nello spazio, dalla tangibilità tridimensionale delle azioni e dalla mimica dei volti, che in modo eccellente, creano nel pubblico profondi sentimenti. Ancora esposte Atalanta e Ippomene, la versione della Galleria di Capodimonte, a Napoli, l’altra è al Prado, una meraviglia distintiva di armonia e soavità per cui Reni diventerà ricco e venerato, sino a Lot e le figlie, dipinto giunto dalla National Gallery di Londra, accuratamente posto nella stesso ambiente dove la Galleria Borghese ha i suoi sei splendidi Caravaggio. Tutto ciò per una comprensione affascinante e stimolante, fra il divino e il perpetuo antagonista.

Al primo piano della Galleria, la seconda parte della rassegna è riservata al tema del paesaggio con Danza Campestre, ultimo acquisto della collezione custodito nella sala del Lanfranco insieme ad altre tele contemporanee a Guido Reni di Niccolò dell’Abate, Agostino Carracci e due dei sei paesaggi con storie mitologiche di Carlo Saraceni, del Museo e Real Bosco di Capodimonte.

La mostra, come detto, ruota intorno al quadro ritrovato, la Danza Campestre, olio su tela che ritrae nobili e villici nel verde del boschetto mentre sul fondale splendono azzurri e blu assoluti come il cielo di Guido Reni, e due mosche, realizzate a tompe-l’oeil, sono probabilmente un gioco che valorizza l’attitudine mimetica della sua mano.

Vicino è presente, con la medesima tonalità delle montagne caratterizzate dall’indaco, il Paesaggio con scherzi di amorini che veniva utilizzato per il ritratto perso di una dama, creato da Scipione Pulzone. L’alto valore del quadro ha dato inizio ad una ricerca che ha evidenziato una situazione importante e singolare dello svolgimento di questo genere di paesaggio con soggetti divertenti , gioiosi e cortesi. E ancora vi sono alcune lente e colte indagini degli artisti bolognesi, dai quattro tondi di Francesco Albani, paesaggi compiuti nel 1621 per Scipione Borghese con dee e ninfe al Paesaggio con Silvia e il satiro, 1615, del Domenichino dalla Pinacoteca di Bologna. Dimostrazione di un coinvolgimento che seguirà per decenni successivi a quei primi vivaci periodi del secolo.

Le considerazioni fra paesaggio e figura, si concludono con l’affresco realizzato fra il 1613 e il 1614 nel casino del cardinale Scipione Borghese, attualmente Pallavicini-Rospigliosi a Roma, come già citato. Fra i dipinti di Paul Bril e del Tempestino, Antonio Tempesta; il Maestro bolognese immagina il sorgere del sole, circondato dalle Ore e preceduto da Aurora, lasciando scorgere un paesaggio marino che fa riferimento sempre alla Danza Campestre. L’affresco, splendida opera, si identifica con la fine del prospero quanto burrascoso rapporto di Guido Reni con la famiglia Borghese, nonché l’ultimo periodo del suo primo, basilare soggiorno romano.

L’esposizione è integrata da un catalogo di edizione Marsilio, con testi, fra i molti, di Daniele Benati, Raffaella Morselli e Maria Cristina Terzaghi; una rilettura innovativa della produzione del pittore mediante una attenta analisi scientifica su Guido Reni come paesaggista.

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