Ogni giorno, nel mondo, migliaia di persone affrontano l’orrore della guerra, delle carestie, delle epidemie, delle discriminazioni.
Ogni giorno, nel mondo, migliaia di persone affrontano viaggi massacranti animati dal solo spirito di sopravvivenza.
Ogni giorno, nel mondo, migliaia di persone dimenticano l’appartenenza alla medesima specie e sbarrano loro il cammino.
L’uomo, bianco, europeo o nordamericano, spesso oppone a queste anime in cerca di vita la difesa dei propri borsellini, camuffandoli da principi culturali, religiosi o sociali.
La sperequazione economica, risultato di centinaia di anni di sopraffazione e sfruttamento, ha determinato una pressione ingestibile verso quelle che appaiono come terre promesse. Circa tre milioni e mezzo di richiedenti asilo, secondo l’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’ONU, si accalcano ai confini, una vita in uno zaino, bimbi stretti al petto, occhi velati dalla disperazione. In centinaia di migliaia affrontano quotidianamente guerre, fame, stupri, malattie, violenze e viaggi spesso mortali per trovare la salvezza lontano da casa. Afflitti, nati per caso nella parte svantaggiata del globo, percepiti come una minaccia e non come sfortunati bisognosi di aiuto. Disseminatori di odio e di paura, gettano ombre e inquietudini sui migranti, dimenticando il crogiuolo di razze che hanno formato l’Europa e l’Italia in particolare.
Come si può assistere, inermi e indifferenti, al quotidiano epilogo di una tragedia?
Basterebbe guardarci dritti negli occhi, sfiorare i palmi delle mani, aprirci in un sorriso contagioso e lasciare libero il flusso dei sentimenti. Far riaffiorare dalla memoria che emigrare vuol dire tagliare le proprie radici strappando il filo che ci lega alla terra che ci ha fatto nascere, una ferita sanguinante e mai chiusa, anche se nel nuovo mondo, là dove il cuore o il bisogno o il destino ci ha fatto approdare, riusciremo a creare un nuovo orizzonte e una nuova speranza. Basterà un suono nella lingua madre, un profumo, un sapore a risucchiarci nel momento in cui abbiamo chiuso il nostro bagaglio ed abbiamo voltato le spalle alla Patria.
L’ospitalità è un dovere morale che ogni essere umano dovrebbe offrire a chi si trovi in difficoltà, prestare aiuto o asilo politico a chi fugge da persecuzioni, guerre o carestie, come avviene nelle nostre terre da migliaia di anni, non dovrebbe essere oggetto di dibattito. Sempre più la solidarietà, invece, sta lasciando spazi alla paura. Sempre più l’egoismo, che sia del singolo o di una collettività, prende il posto dell’amore.
E, mai come adesso, ci si deve interrogare sul significato della parola “confine”: demarcazione di identità culturali o limite invalicabile di difesa? Non sarebbe bello abbattere muri e costruire ponti?