FRANCISCO DE ZURBARAN A ROMA. NEI MUSEI CAPITOLINI IN “SAN FRANCESCO CONTEMPLA UN TESCHIO”, DAL SAINT LOUIS ART MUSEUM, TRA CARAVAGGIO E VELAZQUEZ.

Per la prima volta a Roma l’opera: “San Francesco contempla un teschio” dell’artista Francisco de Zurbaran, uno dei più importanti interpreti insieme a Diego Velazquez e Bartlomè Esteban Murillo, della pittura spagnola così chiamato “Siglo de Oro”, è in esposizione dal 16 marzo al 15 maggio 2022 nella Sala Petronilla dei Musei Capitolini.

Il quadro del Maestro spagnolo è giunto nella capitale in prestito dal Saint Louis Art Museum, ed è posto fra le tele di Caravaggio e Velazquez. La presenza infatti, dei due capolavori di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio: La Buona Ventura, 1597, e il San Giovanni Battista, 1602, ed il Ritratto di Juan de Cordoba, 1650, di Diego Velazquez, propri della collezione permanenti dei Musei Capitolini, sono realizzati, con anche l’opera d’arte di Francisco Zurbaran, nel decorso di circa 50 anni, il cui accostamento fa riflettere sul percorso artistico dei tre Maestri della pittura del Seicento. Collocati i quadri intenzionalmente non ordinati, ispirano e stimolano una intesa e sintonia dei celebri pittori, con la caratterizzazione di un allestimento inedito ed una rinnovata illuminazione.

“Il San Francesco contempla un teschio”, appunto del Saint Louis Art Museum, in origine parte di una pala d’altare, custodito nella chiesa carmelitana del collegio di Sant’Allberto di Siviglia, malgrado le dimensioni ridotte, rappresenta una delle raffigurazioni più belle del frate di Assisi, molte volte riportata come espressione del formalismo spirituale dell’artista. Il santo, reale ossessione pittorica di Francisco de Zurbaran, è ritratto in piedi, con il distintivo vestito del cappuccini mentre contempla un teschio che ha fra le mani. L’immagine austera e solenne del quadro, è evidenziata dal profondo rigore geometrico, dalla verticalità del cappuccio e dalle pieghe della veste che scende dritta sino a terra, lasciando scoperte soltanto le punte delle dita dei piedi scalzi. Il rapporto fra il santo e il cranio indica il passaggio della vita alla morte riferendosi alla fragilità dell’esistenza umana, concetto frequente nell’arte seicentesca barocca spagnola e specificatamente in quella della Controriforma. La tela americana, permette di comprendere la tecnica esclusiva determinata dall’utilizzo di intense contrapposizioni di luce e ombra tramite cui il pittore tocca livelli di altissima poetica. A causa del contrasto fra l’oscurità degli sfondi di San Francesco e la luce dei primi piani, Zurbaran è stato denominato artista: “mistico, metafisico, onirico e magico”. Il soprannome di “Caravaggio di Spagna”, invece risale al primo biografo spagnolo Antonio Palomino nelle sue “Vite degli artisti” del 1724. Rarissime sono inoltre le opere del Maestro nel nostro Paese, sono ubicate solamente a Firenze e a Genova, mentre la sola rassegna del pittore in Italia è stata realizzata a Ferrara nel 2013, all’epoca però il dipinto di Saint Louis non era presente.

Ed è proprio sull’uso della luce che si basa la relazione fra il San Francesco d’Assisi e i Caravaggio e il Velazquez della Pinacoteca Capitolina, sottolineando le analogie ma anche le differenze. Il confronto fra Zurbaran, Cravaggio e Velazquez, consente infatti di analizzare le affinità e le diversità nella rappresentazione di un soggetto in termini naturalistici mediante i concetti di spazio, tempo e luce, caratteristiche comuni di questi tre grandi pittori dell’arte barocca europea.

Michelangelo Merisi da Cravaggio, 1571-1610, crea il quadro “Buona Ventura”, nel 1597,(olio su tela, cm 115X150), per il cardinale Francesco Maria Del Monte, il suo primo importante mecenate romano. E’ un lavoro che rappresenta una scena presa dalla quotidianità: riguardava un tipo di pittura molto prodotta in Olanda, e che in Italia era divenuta famosa attraverso le composizioni di Annibale Carracci. Di Caravaggio in poi, la pittura di genere troverà larga diffusione. In questo lavoro, un giovane ben vestito è ingannato da una zingara, che con la scusa di reggergli la mano, gli sfila l’anello dal dito. Entrambi i protagonisti hanno vestiti caratteristici della loro età: il ragazzo con gli abiti della moda del periodo, la giovane invece con vestiti zingareschi. La tela è l’idioma di un messaggio specifico: quello di non fidarsi del prossimo, anche se si presenta con buoni fini.

Il San Giovanni Battista è un dipinto ad olio del 1602; esiste in due esemplari sostanzialmente uguali, di cui soltanto uno è indubbiamente di Caravaggio, quello appunto in mostra. La composizione, attuata su commissione del banchiere romano Ciriaco Mattei come tanti altri suoi lavori, diventa parte delle collezioni del cardinale Francesco Maria Bourbon del Monte Santa Maria. La posa deriva da quella degli ignudi della Cappella Sistina e il modello è un ragazzo del popolo, della periferia romana. Però mentre Michelangelo crea la sua immagine in forma astratta, Caravaggio la compie in modo più realistico con la base e l’utilizzo di luci e colori. Questo quadro è caratteristico dell’innovazione artistica creativa di Caravaggio, che è sempre al limite “fra il devoto e il profano”.

Il “Ritratto di Juan de Cordoba” 1650 circa, di Diego Rodriguez de Silva y Velazquez, 1599-1660, (olio su tela cm 67X50), raffigura l’agente della corona spagnola Juan de Cordoba, braccio destro di Velazquez, nel secondo soggiorno nella capitale del pittore, 1649-1651. Nel contemplare il viso dell’uomo, rimaniamo affascinati dallo sguardo che ci rivolge. Velazquez riproduce non solo l’autenticità delle fattezze ma la sua umanità, la sua individualità attraverso un realismo profondo e romantico.

Francisco de Zurbaran, originario della regione dell’Estremadura, si forma a Siviglia nella bottega dell’artista non celebre Pedro Diaz de Villanueva, ma relazionandosi anche con il più noto Francisco Pacheco e il suo giovane allievo Diego Velazquez. Nel capoluogo dell’Andalusia realizzò i suoi primi lavori per le più importanti comunità monastiche, tra cui il maestoso Cristo crocifisso, nel 1627, e l’insigne composizione con l’Apoteosi di San Tommaso d’Aquino, 1631. Zurbaran è interprete nelle sue opere dell’atmosfera mistica della vita conventuale distante da ogni vanità e commemorazione. Il tenebrismo di provenienza caravaggesca, si fonde con il suo cromatismo rendendo reali i soggetti in virtù della luce, mezzo del divino che illumina e scolpisce i suoi modelli. Successivamente all’esperienza madrilena, in cui è soprannominato “pittore del re”, la sua notorietà ha un declino con la comparsa sullo scenario pittorico spagnolo di Bartolomè Esteban Murillo. Zurbaran comincia varie composizioni destinate al prospero commercio con l’America, in cui le sue tele erano molto apprezzate e richieste. Dal 1568 sino alla sua scomparsa, nel 1664, abiterà a Madrid con la terza moglie, trascorrendo una vita modesta e realizzando quadri di limitate dimensioni e di devozione privata. Splendide sono attualmente le sue nature morte, molto apprezzate da Cezanne e Morandi, per la bravura con cui riuscì a presentare gli oggetti vasi, frutti, fiori o tessuti con vigorosa realtà, ritratti come essenze fisiche e contemporaneamente evidenze ottiche astratte.

Il progetto espositivo: “Francisco de Zurbaran a Roma” il San Francesco del Saint Louis Art Museum tra Caravaggio e Velazquez, è promosso da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali ed è a cura di Federica Papi e Claudio Parisi Presicce; l’organizzazione è di Zètema Progetto Cultura.

Il dipinto di Francisco de Zurbaran, contemplato da vicino, è un’opportunità eccezionale per ammirare il suo linguaggio pittorico attraverso la simbologia e la spiritualità del suo processo creativo e visivo.

Related Posts

di
Previous Post Next Post

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

0 shares