Fotografare è raccontare la realtà, senza mentire”: l’Arte fotografica di Francesco Zizola

Un buon fotografo è una persona che comunica un fatto, tocca il cuore, fa diventare l’osservatore una persona diversa”. Questa citazione del fotografo statunitense Irving Penn rispecchia senza dubbio l’arte fotografica di Francesco Zizola.

Nato a Roma nel 1962, Zizola ha fotografato le principali crisi e conflitti mondiali degli ultimi 25 anni; la sua produzione fotografica ed un forte impegno etico caratterizzano la sua personale cifra stilistica. 

Negli anni, Francesco Zizola ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui ben dieci World Press Photo e sei Picture of the Year International. Tra i suoi libri ricordiamo “Iraq” (2007), “Born Somewhere” (2004), dedicato alla condizione dell’infanzia in 27 paesi del mondo, e il più recente “Luna: appunti per sognatori” (2020), quarto dei quaderni FIAF che raccoglie diversi paesaggi lunari. 

Nel 2003 Henri Cartier Bresson include una fotografia di Zizola tra le sue 100 preferite. Da questa collezione nasce una mostra, “Les Choix d’Henri Cartier Bresson”, e un libro, “Accogliere l’altro nella superficie stretta”. In effetti è questo il suo obiettivo, raggiunto ogni volta direzionando gli occhi per fotografare, ovvero “scrivere con la luce”, perché con la luce si possono scrivere poesie, romanzi, si può fare documentazione giornalistica. 

Dal punto di vista creativo, il “fotogiornalista” deve sapere che c’è un limite, ed è quello della credibilità su cui è basata l’informazione: “la fotografia giornalistica deve aderire al reale, deve essere onesta ed avere il coraggio anche di dire che non si è arrivati in tempo – afferma l’artista, che poi aggiunge – Non bisogna mentire per far credere di essere in possesso della fotografia giusta”.

Zizola si è liberato dall’impostazione giornalistica per dare spazio anche alla creatività, che dà vita ad una sorta di film sperimentale e racconta il rapporto uomo-natura. 

Oltre all’obbligo della visione, è fondamentale anche l’interpretazione: in tal senso il fotografo romano ha sempre privilegiato la sua passione per la condizione umana, avvicinandosi con una modalità aperta alle altre persone di cui vuole raccontare le storie. 

Negli ultimi anni sta emergendo, in particolare, la sua dimensione interiore e spirituale, come si desume dalla sua risposta alla domanda se vi sia business nella fotografia di oggi: “Il mondo dei media è in una fase di profonda trasformazione, ma le crisi portano sempre a dei cambiamenti, come per esempio la rivoluzione portata dal digitale”. 

Grazie alle esperienze maturate all’estero, Francesco Zizola si è adattato subito alle novità, pur con tutte le difficoltà insite nel cartaceo… “Gli italiani stanno crescendo, cambiando, e le nuove generazioni non toccano nemmeno la carta. Se c’è solo pubblicità, nessuno compra i giornali. Da ragazzo, con le immagini, non potevo raccontare storie in maniera immediata ed intuitiva e la mia passione mi ha portato a sperimentare e ad esprimermi con questa arte. Erano tempi in cui non c’erano corsi, non esisteva internet e quindi era tutto più difficile”. 

Impossibile scegliere, tra tutte le sue foto, quella a cui sia più legato: “Tutte le mie foto sono figli”, afferma con fierezza il fotografo la cui la sua produzione è da sempre stata caratterizzata da un forte impegno etico e da una personale cifra stilistica; in questo periodo, Zizola sta realizzando un lavoro sul lockdown, basato su una serie di riflessioni sul rapporto tra uomo e natura secondo i 4 elementi.

Lavorare per tanti e documentare anche la parte più brutta dell’essere umano, momenti di sofferenza, guerre, malattie e pandemie, porta a vedere cose che sarebbe meglio non accadessero e a volte vorresti cambiare lavoro”, aggiunge. Non lo ha fatto e mai lo farà, ma la straordinarietà dei suoi scatti offre sempre un’occasione di riflessione per tutta l’umanità. 

Non ama definirsi un “fotografo di guerra” poiché afferma: “Preferirei che le guerre non esistessero e sarei disposto anche a non essere più un fotografo se in cambio non vi fossero più”. Il suo concetto di Fotografia risiede in una presa di consapevolezza sociale, il male che può arrivare, in varie forme, ma anche la consapevolezza della povertà che attanaglia il mondo, come nella narrazione visiva “Le donne del Cacao”. Lavoro che racconta la risposta di un’azienda italiana che produce il cioccolato alla domanda su quale potrebbe essere il proprio ruolo, come azienda, nei confronti di quei lavoratori in cima alla catena, quelli che raccolgono i baccelli di cacao nella foresta pluviale, i più poveri, ma, allo stesso tempo, i più importanti di tutta la filiera. 

Interessante anche l’approccio di Zizola nei confronti degli smartphone, verso i quali non ha un’avversione, anzi, grazie ad essi in tanti hanno cominciato ad usare le immagini per comunicare, favorendo la diffusione del meraviglioso linguaggio fotografico; in tal senso, possiamo definire il fotografo, un uomo calato pienamente nel suo tempo, un’epoca ricca di stimoli e senza frontiere.

Nel 2015, Francesco Zizola ha iniziato una nuovo progetto chiamato “Hybris”, anche questo incentrato sulla relazione fra uomo e natura; il cortometraggio relativo al primo capitolo ha vinto il premio SIAE 2018 per il “talento creativo”, nell’ambito della biennale del Festival del Cinema di Venezia.

Francesco Zizola, dal 2016, è direttore artistico della mostra del World Press Photo di Roma e Ferrara e curatore del progetto “Commissione Roma 2020” per il Palazzo delle Esposizioni, ma non dimentica mai gli affetti e, quando gli chiediamo quale, secondo lui, dovrebbe essere la fotografia che ognuno dovrebbe avere sul proprio comodino, ci risponde senza esitazione: “Quella della persona più cara”. Si può essere grandi, senza dimenticare mai la propria vera essenza.

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