Eleonora di Toledo e l’imprenditoria tessile fiorentina nel ritratto con il figlio Giovanni di Agnolo Bronzino

Una delle immagini certamente più riconoscibili della fase ducale e granducale della corte medicea è il ritratto di Eleonora da Toledo, prima moglie del Granduca Cosimo I de’ Medici, insieme al figlio Giovanni, realizzato da Agnolo Bronzino – uno degli artisti preferiti da Cosimo I, specialmente per l’abilità nel ritrarre – nel 1545 e conservato oggi agli Uffizi.

La donna ritratta è spagnola, figlia del viceré di Napoli, formatasi nella stimolante corte napoletana e trasferitasi a Firenze in seguito alle nozze con Cosimo I, nozze che, in controtendenza con le consuetudini a quei tempi, furono tutto sommato felici.

Agnolo Bronzino ritrae la Duchessa anche in un’altra occasione, sempre sul medesimo fondo blu ma stavolta da sola. Quello con il figlio Giovanni, però, in aggiunta alla funzione documentaria e politica intrinseca in ogni ritratto ufficiale, presenta fin dalla sua origine un particolare intento promozionale, strettamente legato alla figura della Duchessa e alla sua attività imprenditoriale che molto giovò alla città di Firenze.

Alla classica funzione propagandistica dei ritratti ufficiali adempie la presenza al suo fianco di suo figlio Giovanni, erede maschio che significava la fertilità della sposa – qualità che era vista come invidiabile e necessaria alle donne di ogni rango e specialmente a coloro che dovevano assicurare continuità dinastica ad un regno o, come in questo caso, ad un ducato – e che assicurava la stabilità del governo mediceo su Firenze. Altro tema ricorrente nei ritratti ufficiali e presente anche in questo caso è la ricchezza e rarità dei gioielli, uno dei tanti simboli di benessere economico unitamente all’opulenza delle vesti. Vesti che però, in questo caso, si caricano di riferimenti puntuali al benessere non soltanto della famiglia ducale, ma di Firenze stessa.

L’abito infatti è decisamente il protagonista del dipinto: per quanto l’innegabile bellezza, la grazia composta della Duchessa siano altrettanto degne di lode e nonostante lei stessa fosse una riconosciuta icona di stile della moda fiorentina coeva (è noto e ben visibile il suo amore per i gioielli), lo sguardo non può fare a meno di indugiare sull’abito in broccato che indossa, intessuto d’oro e arricchito di perle, dalla trama intricata e nitida come quella di un giardino all’italiana e dominata dalla melagrana (altro simbolo di fertilità), colmo di dettagli da ricercare attraverso un intricato disegno di volute nere e bordi dorati e tra gli sbuffi della camicia sottostante.

Complice del protagonismo dell’abito anche la peculiare maestria del Bronzino nel riprodurre l’aspetto materico dei tessuti, dei quali sembra di poter distinguere ogni filamento e movimento di ago e la sua magistrale capacità di rendere, nelle ombre, nelle pieghe e nel colore, la sensazione volumetrica e tattile di un tessuto che sembra di poter toccare con gli occhi.

Molte ricerche sono state condotte su quest’abito così complesso e lussuoso; eppure, molto probabilmente, quello che è uno degli abiti più celebri dell’arte italiana non è mai esistito. È nato sulla tavolozza del Bronzino per promuovere quell’industria fiorentina della seta che la Duchessa aveva rifondato, in gran parte investendovi le sue finanze private, risollevando le sorti di quell’industria tessile del lusso nell’ambito della quale Firenze, nel Quattrocento, aveva dominato il mercato, ma che ormai dall’inizio del secolo non dava più segni di vita. Eleonora di Toledo rinnova questa industria, le dà nuova linfa, la promuove e la rende nuovamente appetibile sul mercato internazionale.

Quest’abito è in realtà un manifesto imprenditoriale che riguardava tanto la Duchessa quanto Firenze, che soprattutto nei decenni successivi beneficerà della lungimiranza e dell’abilità negli affari di una governante che dai fiorentini suoi contemporanei non fu mai molto amata e che oggi troppo spesso viene ricordata soltanto per la sua bellezza o, tutt’al più, per le sue opere di carità, e che ha invece saputo dotare una città che non era la sua di orgoglio manifatturiero e, in ultima analisi, di benessere commerciale.

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