Distorsione di caviglia: così frequente e così sottovalutata

Le distorsioni di caviglia sono uno dei traumi più frequenti e quelle con l’incidenza più elevata a carico degli arti inferiori, soprattutto in ambito sportivo. Si possono contare circa 5000 distorsioni di tibio-tarsica al giorno, delle quali circa il 20% viene sottovalutato e cronicizza.

Che la distorsione avvenga per cause estrinseche (contatto con un avversario, ricaduta da un salto sul piede di un compagno, ecc.) o per cause intrinseche (scarsa propriocettività, stanchezza agli ultimi metri di una maratona, ecc.) il danno è fatto ed il percorso riabilitativo è sostanzialmente lo stesso, la variabile è la durata del percorso stesso e la velocità con la quale vengono percorse le varie tappe.
Nell’eventualità in cui il trauma fosse occorso per cause intrinseche sarà opportuno, in fase riabilitativa, dedicare del tempo per allenare anche l’articolazione sana, al fine di evitare in futuro che possa andare incontro allo stesso destino.

Anche una piccola distorsione richiede delle attenzioni, soprattutto se lascia un’aura di dolore nei giorni successivi all’incidente. Questo perché il dolore è sintomo che le strutture legamentose e articolari sono state in qualche modo traumatizzate e questo può fare da apripista a distorsioni più severe.

Senza entrare nel merito delle varie classificazioni relative alla gravità delle distorsioni della tibio-tarsica poniamo l’attenzione su quello che è il protocollo da attuare immediatamente dopo il trauma, ossia il protocollo P.R.I.C.E. .

P: Protezione dell’articolazione da ulteriori traumi. Dopo una distorsione, soprattutto se severa, si può incorrere in una frattura del V metatarso oppure del malleolo dove l’articolazione ha perso il rapporto articolare. In attesa quindi di una lastra come esame di primo livello, è opportuno che la caviglia non venga sottoposta ad ulteriori carichi.
R: Riposo. Divieto di carico da 3 a 10 giorni in base all’entità del trauma, deambulazione con canadesi, ripresa graduale del carico in assenza di dolore alla deambulazione.
I: Ghiaccio. Qui è doveroso aprire una parentesi per gli infortuni sportivi: “tengo la scarpa”, “tolgo la scarpa”, “metto lo spray”. Facciamo chiarezza: non va rimossa la calzatura solo se è presente ghiaccio sul campo, altrimenti è meglio tenere la scarpa per fare compressione e ridurre lo stravaso dell’edema. Se abbiamo solo il ghiaccio spray meglio che niente, ma va comunque tenuta la scarpa. Se abbiamo invece ghiaccio a disposizione, rimuovere la scarpa delicatamente ed applicare il ghiaccio su entrambi i malleoli e lasciare il calzino per evitare ustioni da freddo. Nei giorni seguenti al trauma, sia per contenere il dolore che per combattere localmente l’infiammazione, procedere a cicli di 15’ di applicazione di ghiaccio e 15’ di pausa per tutto il tempo possibile.
C: Compressione, da applicare immediatamente dopo il trauma. Sconsigliate le fasciature con le quali spesso si viene dimessi dal pronto soccorso. Per pochi gradi di flessione e senza andare a ricercare i movimenti laterali, l’articolazione va mossa delicatamente già dalle prime ore dopo il trauma. Un’immobilizzazione prolungata dell’articolazione può portare alla “cristallizzazione” del versamento e far acquisire l’effetto “caviglia di gomma”. Idem per quanto riguarda il gesso in caso di frattura: il divieto di carico sarà per 30-40 giorni fino al controllo radiografico successivo che potrà estendere il divieto di carico, ma è opportuna l’applicazione di un tutore di tipo Walker anziché del gesso, sempre per poter evitare problematiche di ripresa dell’articolarità sia per evitare complicanze vascolari.
E: Elevazione. Restare più tempo possibile con il piede più alto del cuore per favorire il ritorno dell’edema: a tal proposito è utile inserire uno o due cuscini sotto al materasso al fine di dormire con le gambe in posizione antideclive.

Tenendo a mente queste linee guida, è opportuno iniziare la fisioterapia già dopo 48-72 ore dal trauma. Anche qui l’obiettivo iniziale sarà quello di eliminare rapidamente il versamento attraverso l’uso di terapia fisiche strumentali quali ultrasuoni e tecar terapia (da effettuare ovviamente in atermia), ma anche lavorare sulla riduzione del dolore con l’uso dell’InterX terapia. Si possono utilizzare, in associazione alle strumentali, metodiche manuali di linfodrenaggio ed il bendaggio con kinesio taping per favorire il richiamo dei liquidi.
In assenza di fratture al malleolo peroneale è opportuno verificare da subito l’eventuale risalita del perone a seguito della perdita del rapporto articolare con l’astragalo e provvedere alla correzione.

A versamento assorbito, soprattutto se presenti ancora dolore e/o limitazione funzionale, è doveroso provvedere ad una risonanza magnetica, per accertarsi degli eventuali danni al sistema legamentoso, valutare la possibilità di fratture ossee o intraossee non visibili con la lastra e controllare la persistenza di versamento intrarticolare, nonché eventuali note di quadri algodistrofici.

È importante approcciare da subito con la riabilitazione perché il 20% circa delle distorsioni di caviglia cronicizza, portando a limitazione funzionale permanente e/o dolore residuo a tratti invalidante.
Questo panorama cronico può essere caratterizzato da squilibri muscolari, rigidità articolare, sinoviti, tendinopatie, instaurazione di quadri algodistrofici, alterazione dei rapporti articolari, il tutto associato o meno ad instabilità articolare con possibilità di recidive.

Non appena il paziente torna alla deambulazione senza dolore, in un tempo che può variare dai 3 ai 10 giorni circa in base all’entità del trauma, abbiamo anche approssimativamente i tempi del return to play nel caso si tratti di uno sportivo. Rientro all’attività sportiva ovviamente da effettuarsi in maniera graduale, inizialmente senza cambi di direzione ne salti e sempre associato a rieducazione propriocettiva ed esercizi di rinforzo della muscolatura di gamba e piede.
L’uso di tutori o di bendaggi funzionali è consigliato solo se il ritorno alla pratica sportiva è forzato ed accelerato nel caso di una competizione o di una gara alla quale lo sportivo vuole fortemente partecipare: questo perché, venendo a mancare i tempi tecnici per un recupero adeguato, si cerca di proteggere l’articolazione artificialmente da eventuali recidive sapendo che i tessuti possono non esser pronti alla fase competitiva. Viceversa l’ausilio che un tutore da all’articolazione cozza con il lavoro propriocettivo e di rinforzo che viene effettuato prima e durante il rientro alla pratica sportiva.

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