Il degrado “dall’interno” La paranza dei bambini e l’automatismo del male

E’ da poco nei cinema il lungometraggio di Claudio Giovannesi, La paranza dei bambini. La scelta coraggiosa di girare molte parti del film in soggettiva non è casuale. Si tratta di un particolare stilistico rilevante, che ci dice qualcosa sullo stato del genere crime movie e forse anche dell’intero cinema italiano. Il punto di vista soggettivo sembra oggi imprescindibile. A partire dagli occhi del soggetto si vede la realtà, senza giudizi, senza l’imposizione di una realtà oggettiva. Un approccio che risale in realtà già a Scorsese e De Palma. Dunque sembra oggi vi sia in realtà un vero e proprio ritorno al genere, ritorno ai canoni, del cinema gangsteristico italiano.

In realtà le cose si intrecciano. Da un lato il punto di vista soggettivo domina la narrazione, e Nicola, l’adolescente protagonista che tenta la scalata al successo attraverso il crimine, è l’unico perno intorno a cui gira l’intera vicenda. Però vi è un elemento ulteriore, ed è la corrispettiva evanescenza del contesto intorno al protagonista e al suo gruppo di compagni di bravate.

Insomma sembra si passi dalla banalità del male, soggettivamente scelto però all’interno di un determinato e preciso contesto, e dunque in qualche modo “situato”, spiegato in qualche modo nei suoi meccanismi sociali e antropologici, all’“automatismo” del male. Il contesto napoletano, a differenza della saga di Gomorra (film e serie), viene lasciato sullo sfondo. È un destino inesorabile e dunque neanche descrivibile. Una sorta di fato greco. Il punto di vista soggettivo allora assume un significato ancora più forte: il soggetto sceglie il male senza neanche la consapevolezza di un contesto ben definito, che ovviamente agisce su di lui, ma restando sfocato, nascosto, anonimo, automatico.

Il film ci dice qualcosa del degrado, ma in generale della corruzione e del peccato nella nostra epoca: il male sembra assumere le sembianze della natura, del destino, della necessità irreversibile.

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