Dall’Argentina a Israele, da Mosca a Torino: vita di Arrigo Levi

A un certo punto, nel corso della sua ultima e lunga degenza in ospedale, Arrigo Levi aveva capito come la fine si stesse avvicinando. Pare che si sia messo a intonare dapprima l’inno di Israele, per il quale aveva combattuto, e successivamente una filastrocca caratteristica di Modena, la sua città d’origine. Una volta tornato nella sua abitazione romana dal ricovero, Arrigo Levi si è infine spento lo scorso 24 agosto, alla veneranda età di 94 anni.

Dietro di sé, il giornalista di origine ebraica lascia un’eredità invidiabile, frutto di una vita spesa in giro per il mondo e in contesti estremamente differenti, sempre in qualche maniera collegati alla storia del Novecento e allo Zeitgeist di un secolo intero. Tra seconda guerra mondiale, guerra fredda, conflitto arabo-israeliano e anni di piombo, Arrigo Levi ha vissuto la storia del mondo.

Un vizio di famiglia, in un certo senso: nel suo parentado si annoverano l’avvocato che redasse l’accordo fondativo della scuderia Ferrari, un deputato socialista – poi morto in esilio negli anni del regime fascista – e perfino il mercante e banchiere del XVII secolo Donato Donati. Una famiglia importante, che negli anni Quaranta fuggì in Argentina per scampare alla persecuzione nazifascista. A Buenos Aires, un Arrigo Levi ancora studente intraprese i primi passi nella carriera giornalistica contribuendo all’Italia Libera del Partito d’Azione, il periodico mensile che proprio in quegli anni cercava di organizzare un programma di resistenza antifascista, “cartacea” e non, che fosse di spunto per l’Italia democratica di un dopoguerra che si sperava sarebbe arrivato presto.

Tornato a Modena dopo la guerra, Levi si laureò in filosofia continuando a scrivere per Unità democratica. Ma, scampata una guerra, decise di propria sponte di combattere in un’altra: si arruolò nell’esercito del neonato Stato d’Israele e partecipò alla prima guerra arabo-israeliana, combattuta tra lo Stato ebraico e i suoi vicini nel 1948. Israele, com’è noto, sopravvisse a questo primo scossone causato dalla sua rapida apparizione all’interno degli schemi mediorientali preesistenti.

Anche Levi sopravvisse, approfittandone per corrispondere dal fronte per la Gazzetta di Modena, Libertà e Critica Sociale. Si trasferì successivamente a Londra, dove lavorò a Radio Londra, per poi corrispondere da Roma per l’edizione pomeridiana del Corriere della Sera. Nel 1960, nel pieno della guerra fredda, si trasferì a Mosca dove – ancora una volta – fu corrispondente da un punto caldo del mondo, sempre per il Corriere e poi per Il Giorno.

Poi il passaggio in RAI, dove fu il primo giornalista di professione a condurre il telegiornale – pratica precedentemente affidata a conduttori giudicati principalmente da dizione e aspetto. Poi, nel 1969, il ritorno alla scrittura come inviato de La Stampa, dove nel 1973 fu nominato direttore. Un uomo come lui, con una vita come la sua, riferirà in seguito che proprio quegli anni a Torino furono i più intensi della sua carriera: «Anni duri e drammatici, segnati dal terrorismo e dalla morte di amici carissimi».

Anni che poi lasciarono spazio a una collaborazione con il Times inglese e, a fine anni Ottanta, con il ritorno al Corriere della Sera come capo editorialista. Dagli anni Novanta al 2013, come in una sorta di proto-pensione al merito, fu consigliere per le relazioni esterne del Quirinale, coadiuvando così le scelte comunicative di due Presidenti della Repubblica.

Dietro di sé, oltre a una vita piena di avventure, lascia decine di opere bibliografiche che toccano tutti i maggiori argomenti che abbia potuto toccare con mano, con la sua esperienza e il suo impegno. Ma, soprattutto, lascia al mondo i frutti di una professionalità estrema e la completa irrimpiazzabilità della propria figura.

Fonte foto:Arrigo Levi con Giorgio Napolitano nel 2014. (Presidenza della Repubblica)

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