Dal frammento all’intero. Sull’arte musiva di Luigi Impieri

Luigi Impieri è un’artista calabrese assai noto e originale. Si è laureato in Scenografia all’Accademia di Belle Arti di Roma e poi ha conseguito la laurea in DAMS a Bologna. I cultori d’arte hanno imparato a conoscerlo e ad amarlo soprattutto per le sue opere musive realizzate grazie alla tecnica catalana del trencadís. Il 19 maggio scorso il prof. Romeo Bufalo, storico docente di estetica dell’Università della Calabria (autore de L’inquietudine dell’altro. Ospitalità e pensiero mediterraneo, Pellegrini, Cosenza, 2021) ha presentato il libro di Impieri, Frantumi (Manfredi, Reggio Emilia, 2021) in un luogo caratteristico della città di Cosenza, il famoso “Caffè Telesio”, situato nel centro storico dell’Atene della Calabria. Dall’arte alla filosofia e dalla filosofia alla politica, per ritornare poi alla coscienza civica. È questo uno dei percorsi che è possibile seguire partendo dal libro, e dalle opere soprattutto, di Impieri. Un primo potente significato delle opere dell’artista calabrese è dato proprio dall’utilizzo della tecnica del trencadís. In catalano, si sa, trencant vuol dire ‘rotto’. In un tempo come il nostro, dominato dall’ideale dell’efficienza assoluta che fa della serialità compulsiva la logica della produzione e della fruizione, il riutilizzo di ciò che è rotto, apparentemente inefficiente e quindi inutile, si pone già come sfida filosofica, etica e anche politica. L’arte, come i filosofi sanno, è inutile. Ma è proprio l’inutilità dell’arte, vale a dire la sua trascendenza rispetto a scopi concreti, pratici, per l’appunto utili, a renderla testimonianza potente della trascendenza dell’essere umano sul mondo animale, governato invece da scopi specie-specifici non trascendibili e orientati all’immediatezza della sopravvivenza nel qui ed ora. In questo senso l’arte può assurgere al ruolo importantissimo di veicolo di idee astratte e generali, capaci di toccare le corde più profonde dell’essere umano, ampliando orizzonti altrimenti troppo pratici e ristretti. L’arte può divenire dunque simbolo, metafora, analogia, e fornire così insegnamenti relativi a questioni che se nell’immediato non sembrano esibire alcuna utilità, in una prospettiva più ampia sono invece cause di grandi rivolgimenti umani, sociali, politici. L’arte di Impieri, dicevo più sopra, è quindi una sfida potente e provocatoria. Ciò che è inutile può essere riutilizzato, a patto però di intendere l’utilità come una tra infinite possibilità di realizzazione, senza restare quindi schiacciati dalla logica compulsiva dell’efficienza assoluta. La tazzina è sì tazzina e operativamente non può essere altro che tazzina. Ma una volta frantumata la tazzina può divenire arte, realizzando funzioni impreviste partendo dall’ideale unico della funzionalità. Può divenire altro negli spazi più ampi di un pensiero non meramente calcolante. Il frammento, però, diventa realtà viva, artistica, soltanto nell’unione sinergica con altri frammenti. Ecco l’essenza filosofica della tecnica del trencadís capace di ridare vita a ciò che sembra morto, di ridare dignità a ciò che sembra averla perduta, di ridare una funzione a ciò che pare ormai inutile, nell’ottica di un olismo che non annulla le sue parti, ma le valorizza. Ma l’opera di Impieri, ricorda Romeo Bufalo, può avere certamente altri significati. Uno, ad esempio, peculiarmente etico-politico. I frantumi, cioè, potrebbero significare, metaforicamente, la frantumazione dell’umanità. I «frantumi/frammenti», ha asserito Bufalo, «sono il simbolo di una frantumazione sociale, sono gli ‘scarti’ dell’umanità, come li ha chiamati Papa Francesco (in Laudato si’ in particolare, ma anche in Fratelli tutti)». L’opera musiva di Impieri, pertanto, potrebbe assumere sotto questo profilo anche un significato pedagogico, etico e politico, essendo appunto metafora di una ricomposizione sociale, possibile, necessaria, urgente. Una ricomposizione, però, che non può essere assolutamente delegata al mondo virtuale, alla realtà del social network, del quale ogni uomo-frammento è sì parte, ma come anonimo terminale. L’opera di Impieri, alla luce di tutto ciò, merita di essere conosciuta, visionata e attentamente meditata con la speranza, forte e sentita, che essa possa divenire stimolo e incentivo di una trasformazione sociale e culturale significativa.

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