Cucina peruviana. Una storia di successo dai mille sapori

Varietà e diversità sono le parole d’ordine che contraddistinguono la cucina peruviana e che trovano le proprie radici nella natura e nella storia del paese sudamericano. Quanto al dato naturale, basti considerare che il Perù rientra tra i paesi al mondo con la maggiore biodiversità, come si può verificare compiendo un’ideale viaggio da ovest verso est nel territorio dello Stato, attraverso le tre macroaree geografiche in cui questo si articola: si passa infatti dalla costa, affacciata sul Oceano Pacifico, che ha l’aspetto di una stretta pianura in gran parte arida, alla sierra, ovvero la regione dominate dalle cime delle Ande, che in diversi punti superano i 6000 metri di altitudine, alla selva , un vasto bassopiano dal clima caldo e umido ricoperto di foreste nel quale, tra le altre cose, si origina il Rio delle Amazzoni. Altrettanto articolata e variegata è la storia peruviana, considerata dal punto di vista delle popolazioni che si sono susseguite – e mescolate – nell’abitare il paese e che hanno lasciato segni tangibili anche nelle sue tradizioni culinarie.

In effetti, passare in rassegna le principali varianti della cucina peruviana consente di leggere in filigrana la storia del Paese: si va infatti dalla cucina criolla – originata a partire dal XVI secolo dal contributo dei conquistadores spagnoli, che in questo particolare ambito risentivano di influenze musulmane e nordafricane e il cui apporto si esprime oggi in portate come gli anticuchos, ovvero spiedini di cuore di manzo, e nel lomo saltado, la più diffusa pietanza a base di carne – alle varianti che più da vicino risentono l’influsso delle culture precolombiane – ovvero la cucina amazzonica, con la chonta o palmito come alimento di base per preparare insalate e grande varietà di carni, e quella andina, caratterizzata da sapori a base di mais, patata e altri tuberi, aji (un tipo di peperoncino), carne di lama, di alpaca, e di animali selvatici, tra i quali il cuy, ovvero il porcellino d’India – fino a giungere alle cucine nate dall’afflusso in Perù – particolarmente consistente nel corso del XIX secolo – di popolazioni provenienti dalle sponde asiatiche dell’Oceano Pacifico, in particolare cinesi (cantonesi), che hanno dato vita alla cucina chifa con piatti come l’arroz chaufa, il pollo TiPaKay e il sopa wantán, e giapponesi, all’origine della cosiddetta cucina nikkei, che si esprime principalmente, ma non esclusivamente, nella raffinatezza del celebre ceviche, piatto a base di pesce crudo, succo di lime, aji, pepe e un pizzico di sale, arricchito da cipolla rossa cruda, coriandolo e sedano, oltre che dal celebre leche de tigre (latte di tigre), ovvero il succo di marinatura usato per bagnare il pesce prima di servirlo, che è inoltre spesso servito filtrato e separatamente.Complemento perfetto della gastronomia peruviana è il Pisco, distillato d’uva nazionale considerato la bevanda bandiera del Paese, che può essere degustato in diversi cocktail come il famoso Pisco Sour, il Chilcano o il Capitán.

Proprio di questa variegata cucina il Perù ha fatto, specie negli ultimi anni, il proprio biglietto da visita all’estero, conseguendo in tal senso risultati molto significativi: non solo infatti fino al 2019 il Perù ha conquistato, per otto anni consecutivi la palma di Migliore Destinazione Culinaria al Mondo nell’ambito dei World Travel Awards – solo l’Italia, nel 2020, è riuscita a “spodestarlo” – ma la stessa, recente classifica dei World’s 50 Best Restaurants per l’anno 2021 vede due ristoranti peruviani – il “Central” di Virgilio Martinez e il “Maido” di Micha Tsumura – all’interno della top ten, rispettivamente al quarto e al settimo posto, oltre a riconoscere alla peruviana Pía Léon il titolo di Best Female Chef. Proprio i due chef sopra ricordati rappresentano in modo esemplare le principali tendenze della cucina peruviana: se Martinez è soprattutto attento alla riscoperta degli ingredienti e dei sapori tradizionali del proprio paese, attraverso tanto il menù del “Central”, che cerca di sintetizzarne la varietà, quanto un autentico progetto di ricerca – Mater Iniciativa – che tenga traccia anche della loro profondità storica e culturale, con il “Maido” di Tsumura si entra nel tempio della cucina nikkei e fusion in generale.

Un’ultima notazione che va fatta parlando della cucina peruviana e del suo successo è che, al di là del pur innegabile estro dei suoi chef – tutti in qualche modo epigoni di Gaston Acurio, tutt’oggi attivo, con il quale prese avvio questo vero e proprio rinascimento gastronomico – un simile rilancio è stato propiziato anche da una attenta strategia del Governo del paese che, partita con iniziative, a cura principalmente del Ministero per il Commercio estero e il turismo in partnership con il settore privato, come il Festival Gastronomico Mistura avviato nel 2008, il cui nome ben rappresenta la mescolanza di sapori e influenze alla base della cucina peruviana, ha con il tempo coinvolto vari altri rami dell’Esecutivo – dal dicastero per l’Ambiente a quello per la Salute fino al Ministero dell’Istruzione e quello delle Relazioni Estere – e ha avuto positive ricadute economiche non solo sui flussi turistici verso i principali ristoranti ma anche – ed è questo un punto che i responsabili peruviani di queste politiche sottolineano con grande evidenza – sui piccoli produttori delle materie prime alla base delle diverse ricette, i quali evidentemente beneficiano dell’aumentata domanda dei loro prodotti, dalla quinoa, il cui successo planetario è partito proprio da Lima, alle patate, fino ad arrivare al cacao, il caffè e il Pisco.

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