“CARAVAGGIO E ARTEMISIA: LA SFIDA DI GIUDITTA”. LA SPLENDIDA ESPOSIZIONE A PALAZZO BARBERINI, TRA DRAMMA E SEDUZIONE, NELLA PITTURA FRA CINQUECENTO E SEICENTO.

“Stringo, di cui credea stringermi in geno, Per la squallida chioma il teschio mozzo. Di vin, di sonno, e di lascivia pieno Verso’ con l’alma l’ultimo singhiozzo; e lavò col suo sangue il letto osceno Ch’era di infame amor macchiato e sozzo, Così da doppio assedio in libertade, Posì la patria appressa, e l’honestade”.

Giovan Battista Marino, La Galeria 1619-1620

La mostra: “Caravaggio e Artemisia: la sfida di Giuditta”, dal 26 novembre al 27 marzo 2022 è presente a Palazzo Barberini in Roma, a cura di Maria Cristina Terzaghi.

La rassegna si articola intorno al famosissimo quadro cavaraggesco; “Giuditta che decapita Oloferne”, a settant’anni dalla sua riscoperta e a cinquanta dall’acquisizione dello Stato italiano, identificato, nella storia della pittura, quale punto di rottura specificatamente per la sua rivoluzionaria rappresentazione. Un percorso di arte straordinario, composizioni che descrivono un delitto biblico, tele quasi tutte di un formato imponente, fra noti prestiti e capolavori non ancora molto conosciuti al pubblico, ma che affascinano ed emozionano. Tra le narrazioni bibliche più rappresentate infatti nella storia dell’arte, uno dei più celebri è quello di Giuditta e Oloferne, su cui moltissimi pittori, lungo i svariati secoli si sono misurati, creando diversificate interpretazioni di un episodio che ha come soggetto principale una donna, eroina biblica, che libera il suo popolo dall’oppressione militare. L’esposizione si incentra sulla forza tragica dell’incontro fra due famosi artisti: l’immagine brutale e sensuale che dal mito biblico di Giuditta Caravaggio ha rappresentato in un quadro, dipinto che per la sua potenza travolgente fa ormai parte dell’immaginario comune, accanto all’esecuzione totalmente femminile del medesimo contenuto, realizzato da un’artista forte, audace, impetuosa e intensa quale Artemisia Gentileschi.

La mostra di Palazzo Barberini, espone 31 opere, provenienti da importanti musei nazionali e internazionali, tra cui la Galleria Corsini e la Galleria Palatina di Firenze; il Museo del Prado e il Museo Thyssen Bornemisza di Madrid; le Gallerie d’Italia di Palazzo Zevallos Stigliano e il Museo di Capodimonte di Napoli; la Galleria Borghese di Roma; il Kunsthistorisches Museum di Vienna; il Museo di Oslo.

Il percorso espositivo delle cinque sale al piano terra è determinato da quattro sezioni.

La prima sezione inizia con Giuditta al bivio fra Maniera e Natura, una selezione di opere cinquecentesche che evidenziano i primi segnali di una interpretazione innovativa del tema, determinata dalla violenza del momento scelto, rappresentando la storia dell’eroina biblica, come appunto nella tela del fiorentino Pierfrancesco Foschi (olio su tavola, Firenze 1502 – 1567). Il personaggio di Oloferne subisce enormemente l’influenza di Donatello e di Michelangelo Buonarroti, l’atto cruento eseguito dalla sua Giuditta è esaltato dall’utilizzo delle luci che si posano su di lei. Nella stessa sala una maestosa Giuditta e Oloferne di Jacopo Robusti detto il Tintoretto, lavoro insigne di grande formato e taglio orizzontale, proveniente dal Museo del Prado di Madrid. E ancora nel suo interno vi è il dipinto della bolognese Lavinia Fontana, 1552 – 1614,

“Giuditta consegna la testa di Oloferne alla fantesca”, secondo l’interpretazione di alcuni esperti la Giuditta è il suo autoritratto, una donna forte e attraente, in grado di vincere Oloferne mediante la propria astuzia; in questa sezione è presente anche il quadro di un allievo di Bartholomeus Spranger.

La tela: “Giuditta che decapita Oloferne” di Michelangelo Merisi da Caravaggio è il cuore della seconda sezione riservata appunto all’artista e ai suoi primi interpreti. L’immagine del quadro riproduce un vero e proprio omicidio attraverso decapitazione, creando un punto di rottura con la tradizione e rinvenendo un corrispondente soltanto nelle contemporanee elaborazioni sacre e drammi teatrali. L’opera, conservata dal collezionista Ottavio Costa, che non volle farla copiare da nessuno, diventò uno dei lavori più apprezzati di Caravaggio. La rivoluzionaria invenzione di Michelangelo Merisi fa dell’episodio una scena palesemente efferata; sembra infatti la descrizione visiva di un omicidio compiuto in quel momento da una Giuditta bella ma distruttiva. Davanti ai contemporanei , la visione risultò innovativa e progressista in relazione alle antecedenti versioni sull’argomento, in cui la donna mostra la testa di Oloferne, per evidenziare la felice conclusione di un’azione ormai terminata.

La Giuditta fu ritrovata da Pico Cellini nel 1951, uno dei più grandi restauratori del Novecento. Dopo essersi recato nella prima importante mostra rivolta a Caravaggio e ai pittori caravaggeschi, nel Palazzo Reale a Milano, allestita da Roberto Longhi, il restauratore rammentò che da giovane aveva visto in un palazzo romano un dipinto ritraente Giuditta e Oloferne attribuito ad Orazio Gentileschi, riferendolo alla tecnica del Merisi. Pico Cellini ritrovò la tela presso il proprietario Vincenzo Coppi, la fotografò e la esibì a Roberto Longhi, che immediatamente conseguì il prolungamento dell’esposizione per poterla inserire. Eseguita nel 1599 da Caravaggio per il banchiere ligure Ottavio Costa, spentosi nel 1639, non fu mai venduta e trasferita, restando a Roma sino alla metà dell’Ottocento, quando successivamente passò di appartenenza ai discendenti di Coppi, per poi entrare a far parte, nel 1971, del patrimonio delle Gallerie Nazionali di Arte Antica. Molto geloso del dipinto, Ottavio Costa, ne vietò non solo l’alienazione ma anche la riproduzione, e per tale ragione non sono presenti copie seicentesche conformi.

Sempre in questa sezione, sono anche mostrate le composizioni dei primi artisti che ebbero in qualche modo notizia del quadro: Trophime Bigot, Valentin de Boulogne, Louis Finson, Bartolomeo Mendozzi, Giuseppe Vermiglio e Filippo Vitale, che si ispirarono all’opera del Caravaggio nel formato orizzontale, con le figure di tre quarti al naturale, nella cruenza dell’azione e nella raffigurazione dello strazio di Oloferne.

La terza sala è chiamata appunto Artemisia Gentileschi e il teatro di Giuditta. Essa ospita la Giuditta dell’artista, prodotta nel 1612, proveniente dal Museo di Capodimonte. Artemisia è passione e sentimento, la testa di Oloferne, la sua bocca, il sangue sono pressoché all’altezza di Caravaggio, la sua tela trae la sua forza attraverso i volti delle due donne. Artemisia, vittima di uno stupro, ha evidenziato spesso la sua rabbia rappresentandosi nella figura di Giuditta; è evidente il dolore che emerge dalle carte del processo che lei mosse contro il suo violentatore, Agostino Tassi, in special modo a causa della perdita dell’onore, forse più che per l’oltraggio fisico. Essere donna nel Seicento era infatti complicato, all’epoca come oggi per dare prova dei propri meriti e delle proprie capacità si doveva lavorare meglio e più a lungo rispetto agli uomini. Ma le donne tenaci, ostinate ed operose che lottano per i propri ideali indicano il percorso del nostro futuro. E Artemisia, con il padre Orazio, si misurò più volte su tale contenuto, capendone le potenzialità inerenti alla raffigurazione dell’immagine femminile come emblema appunto di donna forte, “ exemplum virtutis”, e tale soggetto in virtù della sua opera diverrà un genere ricercatissimo nelle corti europee.

La Direttrice delle Gallerie Nazionali di Arte Antica Flaminia Gennari Santori, ricordando il 25 novembre, Giornata Internazionale contro la violenza delle donne, dichiara: “Questo progetto sulla pittura del Seicento

riesce a riverberarsi sull’oggi: la data scelta sulla presentazione della mostra è casuale, ma di certo offre l’occasione per un’ulteriore riflessione sulla questione femminile. L’idea della mostra è nata per indagare la differente modalità di visione delle opere da parte di artisti, pubblico e committenti. La Giuditta di Caravaggio non doveva essere vista, eppure ha avuto un impatto straordinario. Poi con Artemisia e suo padre la scena si è trasformata ancora, innescando un’urgenza emotiva ancora diversa”.

L’altro quadro di Artemisia Gentileschi, creato quasi certamente a Firenze oggi nella Galleria degli Uffizi, è invece in stretta analogia con quello del padre Orazio, e testimonia il tentativo di normalizzare questo tema in un differente momento del dramma invece di cercare di trovare ancora una complessa comparazione con la Giuditta di Michelangelo Merisi.

Presenti nella sezione, oltre ai capolavori dei due Gentileschi, i dipinti di Giovanni Baglione, Johan Liss, Bartolomeo Manfredi, Pietro Novelli, Mattia Preti, Giuseppe Vermiglio e del raro Biagio Manzoni, una delle novità dell’esposizione.

L’ultima e quarta sezione, è dedicata alla decapitazione, si intitola infatti “Le virtù di Giuditta, Giuditta e Davide, Giuditta e Salomè”. Essa è determinata dal raffronto fra il tema di Giuditta ed Oloferne e quello di Davide e Golia, associati dal contenuto simbolico della vittoria della virtù, dell’astuzia e della giovinezza, sulla forza feroce del tiranno che muore decapitato. La decapitazione è anche il fondamento del testo evangelico del Martirio di Giovanni Battista e il soggetto di Salomè è spesso confuso nella rappresentazione pittorica con quello di Giuditta. In rassegna le composizioni del francese Valentin de Boulogne, la coppia di tele di Girolamo Buratti e Cristofano Allori e di Francesco Rustici.

La mostra è accompagnata da un catalogo realizzato da Officina Libraria con un testo della curatrice, che analizza dettagliatamente le vicende della Giuditta caravaggesca e quella di Artemisia Gentileschi e l’influenza dei due capolavori prodotta nell’arte contemporanea. Nel testo, vi sono inoltre i saggi di Elizabeth Cohen, Paola Cosentino, Filippo Maria Ferro, Lara Scanu, Francesco Spina, riservati al tema della storia sociale e al ruolo della donna nella Roma del primo Seicento, alla rappresentazione letteraria e teatrale della vicenda di Giuditta in età rinascimentale e barocca. E ancora all’interpretazione psicanalitica del trauma femminile nella pittura di epoca moderna e contemporanea, al tema iconografico di Giuditta nella produzione europea fra Cinquecento e Seicento, includendo alla fine alcune innovazioni documentarie determinanti per la produzione di Caravaggio a Roma e a Napoli.

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