Broad Street 1854: breve storia di un’indagine epidemiologica

Di qualcosa che è virale si può parlare nei libri di storia oppure – come abbiamo avuto modo di sperimentare direttamente negli ultimi anni – sui giornali, ma l’idea della viralità è anche uno dei modelli utilizzati nell’analisi di una tipologia di fenomeni mediatici (sia dei vecchi che dei nuovi media): il meccanismo di diffusione virale è infatti diventato nel corso del tempo un modo efficace per descrivere una modalità di comunicazione di massa.

In realtà, analizzando ciò che realmente accade quando qualcosa “diventa virale”, molti esperti del settore screditano l’idea di un passaggio singolare – da una persona ad un’altra – dell’informazione o del contenuto che, ripetuto centinaia di migliaia di volte, raggiungerebbe grandi numeri; costoro ritengono invece maggiormente aderente a ciò che è realmente osservabile ogni qual volta qualcosa raggiunge velocemente un grado particolarmente elevato di popolarità – mantenuto poi per più o meno tempo – l’idea che un punto specifico nella catena di trasmissione funga da cassa di risonanza in virtù della sua audience ampia e preesistente: può trattarsi di un canale televisivo o di un profilo social particolarmente seguito, in ogni caso è questo punto specifico, secondo questo modello di diffusione, lo snodo che permette alla popolarità dell’oggetto in questione di fare un salto matematicamente considerevole.

Così come per far sì che un discorso venga udito anche a grande distanza un microfono risulta essere molto più efficace ed immediato rispetto al passaparola, allo stesso modo questo momento che moltiplica esponenzialmente la superficie di contatto dell’informazione rendendola accessibile a moltissimi in un colpo solo risulta essere la vera discriminante nella diffusione della popolarità di qualcosa.

Ebbene, anche per questo modello – un contagio simultaneo proveniente da una sola fonte – esiste un caso epidemiologico (sfortunatamente) concreto utile alla comprensione del fenomeno in senso astratto, un caso di studio che rese inequivocabile il fatto che il contagio uno-ad-uno non fosse l’unico possibile.

Nel 1854, nella Londra sovrappopolata e scarsamente dedita all’igiene della metà del XIX secolo, vi fu un’epidemia di colera che interessò la zona del quartiere di Soho, uccidendo 127 persone e convincendo molti dei sopravvissuti del vicinato a cambiare residenza: ai tempi si riteneva infatti che tutte le malattie virali – nulla o quasi si conosceva di virus e batteri e dei morbi ed infezioni che provocavano – si propagassero alla maniera del miasma di greca memoria, una forza invisibile che appestava l’aria e viaggiava con essa e che inalata dagli abitanti ne causava infine la morte.

Nonostante questo vi fu qualcuno che decise di indagare con più attenzione la distribuzione topografica dei casi di contagio, trovando incongruenze con la preponderante teoria del miasma. Il medico John Snow – decisamente più sveglio del suo quasi omonimo martiniano – si rese conto innanzitutto che nei pochi isolati interessati dall’epidemia, al centro della zona presumibilmente infetta – era un birrificio nel quale non si era verificato neanche un caso di colera.

Il maggior numero di infezioni, notò Snow, erano registrati lì dove la fontanella di Broad Street era la fonte d’acqua più vicina, e – scoprì il medico intervistando le famiglie coinvolte – nei casi nei quali non lo era o i malati erano bambini che frequentavano una scuola nelle vicinanze della fontanella incriminata

oppure si trattava di famiglie che abitualmente decidevano di bypassare la fontanella a loro più vicina preferendo l’acqua di Broad Street. Il motivo che tenne il birrificio al sicuro dalla contaminazione fu invece il fatto, spiegò Snow nella lettera che inviò ad un editore, che il processo di maltificazione richiede la preliminare ebollizione dell’acqua, necessaria alla rimozione delle tossine, un passaggio che aveva sanificato l’acqua infetta.

L’informazione virale si era dunque diffusa in quel caso non tramite l’aria (come accade per altri, ben noti, virus), non per vicinanza tra le abitazioni (come si era inizialmente creduto), ma da una specifica fonte, anzi, fontanella. E questa, secondo gli esperti, è la modalità con la quale mode, video, meme, espressioni lessicali, canzoni e tutti quei prodotti o contenuti che sperimentano una simultanea e vastissima popolarità si diffondono nella maggior parte dei casi; oggi, inoltre, con la tracciabilità pressoché totale della nostra permanenza nel web, inquietantemente seguibile e ricostruibile passo per passo, è possibile individuare quei momenti amplificatori con estrema precisione.

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