Amelia Rosselli, tanto alla fine arriva sempre la notte

Amelia Rosselli, poetessa del secolo scorso. Una scrittura complessa, un urlo di evocazione tra silenzi e parole estasi e teatralità. Vissuta fra male e bene, intrecciando turbamenti di una mente che si alterna come le notti bianche e la notte artica. Tutto di lei è sinonimo di sentimenti riportati nei versi con aspetti più truci e poetici. Da bambina perde suo padre Carlo Rosselli ucciso nel 1937 da sicari di Mussolini, in Francia, resta sempre una bambina con la sofferenza di una perdita importante, ma il suo male peggiore è e sarà la sofferenza mentale, quella che la condurrà al suicidio.

Una storia che si ripete, come le tanti menti brillanti che hanno dannato la propria esistenza nellla volontà di una ricerca più profonda di chi siamo, di chi vorremmo essere. La qualità dei suoi versi sono l’evolversi di un tempo che traina ricordi dolorosi, una identità ammalata eppure senza troppo imbarazzo della sua condizione, ha condiviso demoni e scrittura, come un macigno, ha osato amare ma forse è stata poco amata e sempre abbandonata a se stessa. Amica di molti intellettuali partecipò a letture pubbliche, a Roma trovò un luogo dove spezzare il peregrinare di una vita (fra Francia, Stati Uniti, Inghilterra e Firenze) dove comporre i suoi testi. Il problema è che un luogo per quanto bello e stimolante non ti libera dalle paure e dalla follia, la sofferenza percorre le pagine della sua vita sofferta da molti punti di vista. Viaggia, studia, assapora le varie culture e poi sprofonda nella schizzofrenia, troppo potente per non assecondarla. Quanto è grande il mondo di una donna, pellegrina eterna di una mente che vuole vedere, sapere, dire, esplorare.

Coniava un personaggio e lo faceva vivere, si dedica alla composizione musicale ma continua con i suoi scritti, nel 1948 inizia a lavorare per diverse case editrici di Firenze, traducendo testi dall’inglese all’italiano. I suoi scritti sono apprezzati ache da Pasolini, frequenta gli ambienti letterali romani anche grazie al rapporto che la legava a Carlo Levi. Nel 1963 pubblica ventiquattro poesie. Poi le recensioni letterarie, forse quell’aspetto in cui riesco a sentirla più vicina, perchè alle volte la vita è una dimensione senza tempo, ti sembra di conoscere qualcuno senza averlo mai visto. Negli anni 70/80 pubblica “Impromptu” un poema diviso in 13 sezioni e nel 1985 “La libellula” e poi ancora “Antologia Poetica” e “Sonno-Sleep”. Non lontano da Piazza Navona vive il resto della sua vita sempre accompagnata dalla musica e dalla scrittura che dovrebbero essere cura per l’anima, ma così non è per lei, sospesa in un tunnel di oscurità in uno spirito nutrito, ma una mente soffocata, inafferrabile come una sinfonia incompleta.

La vita ha un suo ciclo che non possiamo comandare, ci dona grandi capacità d’espressione e ci nega la pace della riflessione, si oltrepassa i confini di un orizzonte sconosciuto a molti fortunati, tappa obbligata per pochi disperati. Così Amelia nel suo scambio di letture portò la sua profonda conoscenza in un dialogo di intrecci musicali e letterali per poi in modo inaspettato, rinchiudersi fra i demoni di una vita, da dove vorresti sono sgattaiolare, per non provare più paura, per non sentirti fuori luogo. Inadeguata ad un mondo che corre come un casinò di Las Vegas ti chiede di lanciare i dadi e allora Le Jeux Son Fait, Rien Ne Va Plus, non si torna indietro, non è concesso a noi uomoni e neanche ad una donna speciale come Amelia con la sua vita sempre su un filo ma intrisa di poesia ci ha concesso un sapere maggiore e ci ha donato la migliore parte di se al di sopra della legge della follia.

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