Prorogata al 25 aprile la chiusura della mostra Amazônia, esposizione del fotografo e antropologo brasiliano Sebastião Salgado, ospitata al museo Maxxi di Roma.
Progetto importante ed esteticamente portentoso del concetto biblico dell’Eden. Questa testimonianza del Paradiso in Terra, necessario alla sopravvivenza stessa del Creato, ci rapisce sin al nostro ingresso nello spazio espositivo.
Particolarmente apprezzata la forza e potenza delle immagini e la scelta di omettere la rappresentazione delle ferite inferte dalla deforestazione, concentrandosi sulla potenza della natura in una chiave di ascolto della cultura indigena, abbandonando il mito del buon selvaggio su cui l’occidente ha fondato anche il pregiudizio razzista.
“Siamo noi 10.000 anni fa” dice l’artista, l’umanità ancora parte della natura e non antagonista e sopraffattrice della stessa.
La narrazione per suoni e immagini assolve anche una chiara denuncia politica. Raccontare la meraviglia, con il sottofondo musicale di Jean-Michel Jarre, che dà voce ai rumori della foresta.
La devastazione è affidata alle parole delle comunità indigene che pagano per tutti la sopraffazione e gli abusi l’ecocriminalità e della deturpazione, operata da una economia intensiva irrispettosa.
L’Amazzonia, ecosistema unico e irripetibile, da tutelare perché nostro passato e futuro, chiave della stessa nostra sopravvivenza.
La vegetazione rigogliosa, lo scroscio delle cascate, il coro polifonico delle mille speci animali che vi abitano, la natura fragorosa, la forza primigenia degli indios, l’anima della foresta inesplorata, dove la civiltà occidentale non è mai arrivata: spicchi di eden non ancora corrotto, miracolosamente scampato.
Un progetto grandioso: 7 anni di spedizioni, oltre 200 opere esposte, un viaggio e la sperimentazione di convivenze con le popolazioni autoctone, rischi, pericoli, permessi per arrivare nel cuore di uno dei polmoni verdi dell’intero pianeta.
Esposizione multimediale e, al tempo stesso, reportage politico: denuncia non solo del depauperamento della bellezza di un mondo che ci racconta come eravamo, ma anche severo monito per la tutela di un equilibrio fragile da custodire e preservare.
Perché lì si snoda la testimonianza del nostro passato e la custodia taumaturgica per il nostro futuro.