ALLEGORIE DELLA PRIMAVERA

La primavera è una donna che danza nel sogno di una natura colta nell’atto del suo ciclico risveglio. Per festeggiare il suo arrivo, proponiamo oggi, al posto del già celeberrimo e amatissimo dipinto di un Maestro rinascimentale, la Primavera di Sandro Botticelli, le opere di tre scultrici dei nostri giorni, la polacca Małgorzata Chodakowska (1965), la californiana Paige Bradley (1974) e la cinese Luo Li Rong (1980).

M. Chodakowska, Blumen (Fiori)

Małgorzata Chodakowska è nata, nel 1965, a Łódź, in Polonia. Tra il 1980 e il 1985, ha frequentato la Scuola Secondaria di Belle Arti di Łódź e, in seguito, studiato scultura con Jan Kucz presso l’Accademia di Belle Arti di Varsavia. Nel 1988, si è iscritta all’Accademia di Arti visive di Vienna per completare i propri studi. Alla fine del 1991, si è trasferita a Dresda, dove ha lavorato come scultrice freelance ed è stata accettata come membro dell’Associazione degli artisti sassoni (Sächsische Künstlerbund). Dal 1995, vive in una fattoria dotata di un vigneto nei pressi di Pillnitz, dove assieme al marito, l’ingegnere meccanico Klaus Zimmerling, ha aperto una vineria artigianale e allestito uno studio e uno spazio espositivo per le sculture. Le due attività hanno, infatti, fin da subito trovato un punto di incontro e una strategia vincente per integrarsi, valorizzarsi e promuoversi commercialmente a vicenda, che consiste in una sapiente condivisione di fini e mezzi: le sculture vengono esposte nel vigneto e le loro immagini, riprodotte sulle etichette delle bottiglie, costituiscono il marchio di fabbrica del vino.

Alcuni suoi lavori sono stati presentati con successo in molti Paesi d’Europa (Austria, Germania, Polonia, Danimarca) e dell’Asia (Russia e Giappone), mentre altri si possono ammirare in luoghi pubblici, soprattutto in Germania. Fin dalla seconda metà degli anni ’90, ha ottenuto importanti riconoscimenti ufficiali, tra i quali ricordiamo, nel 2010, il primo premio per la realizzazione del memoriale Trauerndes Mädchen am Tränenmeer (Ragazza in lutto al mare di lacrime), in ricordo delle vittime del bombardamento di Dresda (13 febbraio 1945), situato presso il cimitero della città, e, nel 2017, il World Awar in Sculpture, nel contesto dell’International Interartia Competition, svoltasi a Volos (Grecia), in occasione della quale, è stata candidata Membro onorario dell’Accademia Internazionale d’Arte di Volos.

Le sue sculture, spesso arricchite da spunti e memorie tratti da viaggi compiuti (Portogallo, Egitto, Cambogia), celebrano la figura umana e, in particolare, quella femminile. Il tema predominante è infatti quello della “Stammfrau” (donna archetipica), modellata, a grandezza naturale o poco più, su ballerine e, preferibilmente, in legno (duro, come quello di quercia), in quanto combustibile e granuloso, come la trama dei tendini e delle vene, e, per questo, da lei ritenuto più adatto a rappresentare la figura umana. Al legno applica, poi, un leggero strato di colori acrilici per ottenere un maggiore realismo nella resa del tessuto epidermico, enfatizzare l’espressività dei volti e produrre nei drappeggi degli indumenti quell’effetto bagnato che la studiosa Karin Weber riconduce allo “stile wetlook” (o “nassen Stil”) di stampo ellenistico. Talvolta, inoltre, ricopre il tutto con uno smalto finale a base di cera d’api, olio di lino e trementina, per esaltare la chiarezza delle venature del legno.

P. Bradley, Expansion (Heroic)

Negli anni, si è misurata con molti altri materiali fino a scoprire le grandi potenzialità del bronzo, che le ha permesso di realizzare le sue opere più significative e caratteristiche, le cosiddette “sculture d’acqua” o “figure di fontana”. Si tratta di scenografiche fontane che hanno la forma di eleganti nudi femminili, nelle quali l’elemento solido e quello liquido si compenetrano e si trasformano l’uno nell’altro, entrambi corpo e anima della figura che compongono. Il risultato è un’immagine ad uno stesso tempo ideale e reale, moderna e senza tempo, perfetta nel suo dinamico mutamento, in una parola, primaverile.

Vibrante e assai diversa da quella fluida della Chodakowska, ma non meno efficace, è la proposta di Paige Bradley, che lei stessa presenta così: «La mia opera d’arte riguarda questo: il nascondersi e l’emergere. La fiducia, il collegamento e il rilascio. Consentire la vulnerabilità. Il parto e il nutrimento». Paige Bradley è nata, nel 1974, a Carmel, in California. Vocata all’arte fin dall’infanzia, ha plasmato la sua prima figura di bronzo a diciassette anni. Ha studiato alla Pepperdine University (California), alla Florence Academy of Art (l’Accademia d’Arte Americana di Firenze) e, infine, alla Pennsylvania Academy of Fine Arts. Nel 1995, ha contribuito alla creazione di un monumento per i Giochi Olimpici di Atlanta. Nel 2001, è stata votata come scultrice professionista nella National Sculpture Society. Dalla prima metà degli anni 2000, ha esposto in vari Paesi d’America (New York, California, Florida, New Mexico e altri), Europa (Germania, Austria, Regno Unito) e Asia (Singapore, Hong Kong, Cina), condotto seminari e ottenuto commissioni pubbliche e private, tra cui quella di una statuetta-premio in bronzo da assegnare annualmente ai vincitori dei più importanti concorsi internazionali organizzati dalla Ballet International Foundation. Alcune sue opere sono state collocate in spazi pubblici aperti. Tra queste, troviamo, ad esempio, Freedom Bound e Monumentum, installate, rispettivamente, nell’atrio del nuovo complesso di danza della Point Park University di Pittsburgh, in Pennsylvania, e al Bundang Memorial Park, in Korea del Sud.

Il suo linguaggio combina media iconici e trovate originali con la spiritualità, la filosofia e la psicologia moderni, risultando, in ultima istanza, spontaneo, accessibile e aperto, non condizionato, cioè, da norme precostituite e limiti formali e concettuali. In venticinque anni di carriera, ha esplorato una moltitudine di possibilità, confrontandosi con mezzi e prospettive sempre nuovi. Infatti, per comunicare e condividere il proprio universo creativo, pur prediligendo la scultura in bronzo, si è servita anche di pittura, disegno su carboncino, xilografia, ferro, alluminio, resina e varie combinazioni di tecnica mista. Tema centrale del suo lavoro è quello del corpo umano, ritratto singolarmente, in coppia o in gruppo, in posa in cima a una colonna o sospeso, statico o in movimento, frammentato o cangiante, legato al tempo e allo spazio o libero ed eterno, al fine di rivelare l’intimo, silenzioso, ma energico e spesso contraddittorio, dialogo tra superficie e profondità che proprio il corpo mette in scena nel grande spettacolo della vita.

Una delle sue opere più note a livello internazionale fino ad oggi, grazie alla quale è stata nominata fra i venticinque scultori più creativi del mondo, è Expansion (2014), una scultura di bronzo illuminata dall’interno dall’elettricità, raffigurante un nudo femminile in posizione meditativa che sprigiona la propria luce interiore attraverso delle crepe nel suo corpo, presentata per la prima volta al Brooklyn Bridge Park di New York e, dopo essere diventata virale attraverso la stampa e i social media, in diverse altre parti del mondo. Il soggetto, emblema di auto-potenziamento e liberazione, realizzazione della propria identità e dei propri obiettivi, al di là dei confini materiali, è stato ripreso e ulteriormente sviluppato dall’artista, nel 2019, nella versione Expansion Rising, che ne sottolinea insieme la forza e la determinazione, per incoraggiare tutte le “eroine fratturate” del nostro tempo a risorgere, libere e indistruttibili, dalle proprie ceneri.

Il rinnovamento primaverile, però, oltre che dall’acqua e dal fuoco, può essere portato dal vento e dare vita ad immagini vaghe e vaporose come quelle di una nuvola: proprio in questo consiste il talento di Luo Li Rong, una giovane artista di origine cinese, specializzata nella scultura in bronzo, di cui si hanno ancora poche notizie, ma molte e assai apprezzate opere. È nata, nel 1980, a Hongqi (in provincia di Hunan), in Cina. Ha studiato presso l’Accademia delle Arti di Changsha e l’Accademia Centrale d’Arte di Pechino. Laureatasi con lode, nel 2005, si è trasferita in Francia e, dal 2006 al 2017, ha vissuto e lavorato, per committenti pubblici e privati, a Bruxelles, in Belgio. Nel 2018, ha aperto una propria fonderia a Bologna. In appena quindici anni di carriera, ha già avuto l’onore di realizzare diversi progetti di rilevanza pubblica, tra cui una scultura, installata nel Parco Da Lian, per i Giochi Olimpici del 2008 a Pechino.

I suoi lavori sono dedicati alla grazia e alla bellezza del corpo femminile, spesso rappresentato a grandezza naturale e in pose ed espressioni dinamiche e enigmatiche che ne lasciano intuire, senza mai svelarla del tutto, un’interiorità, anch’essa, in divenire. Le figure, classiche e ben delineate, avvolte in abiti velati o dall’ampio e vorticoso drappeggio, sembrano modellate, sollevate e continuamente corrette dal vento, come a suggerire che, nella vita come nell’arte, niente è mai definitivo, né fuori né dentro. Sfuggenti e leggiadre, le donne scolpite dalla Li Rong sono fatte per esercitare un fascino di cui non si ha mai abbastanza, seducono e svaniscono, consapevoli del fatto che si desidera soltanto ciò che non si può possedere. Maestose e straordinariamente realistiche, le sue opere travolgono i sensi e la sensibilità dello spettatore per poi rivelare il proprio carattere illusorio e transitorio. Per certi versi occidentali nella forma, di ascendenza rinascimentale e barocca, si riconfermano radicalmente orientali nella sostanza, fatte come sembrano di nuvole, che, nella tradizione cinese, simboleggiano, appunto, il perpetuo cambiamento di una realtà fatta di infiniti mondi possibili, tra i quali quello sensibile non è l’unico né, necessariamente, il migliore, mentre tutti gli altri sono quelli dove soltanto i veri artisti possono, anche solo per pochi istanti, condurci.

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