Alda Merini, da grande poetessa a “Pazza della porta accanto”

La vita non ha senso, anzi è la vita che ti dà senso. Sempre che noi la lasciamo parlare, perché prima dei poeti parla la vita. Dobbiamo ascoltarla la vita…”. Così Alda Merini, una delle più grandi poetesse d’Europa del Novecento, rispondeva a Paolo Bonolis nel noto programma televisivo dedicato al senso della vita in onda qualche anno fa. Alda Merini se n’è andata a 78 anni nel 2009, il 1 novembre, il giorno dei Santi. Era nata il 21 marzo 1931, il primo giorno di Primavera, nella sua Milano come recita uno dei suoi versi più famosi:

Sono nata il ventuno a primavera

ma non sapevo che nascere folle,

aprire le zolle

potesse scatenar tempesta.

Alda vive tra un padre colto, affettuoso, dolce ed attento che a cinque anni le regala un vocabolario e che le spiega le parole tenendola sulle ginocchia, e una madre severa, pragmatica, distante ed altera, che tenta invano di proibirle di leggere i libri della biblioteca paterna in quanto vede per lei un futuro esclusivamente di moglie e madre. Emilia Painelli inoltre, quando la figlia, studentessa elementare, ha una crisi mistica, porta il cilicio, partecipa continuamente alle messe presso la vicina basilica di San Vincenzo in Prato e vuole farsi monaca, inizialmente scambia il suo malessere interiore per esteriore, e la riempie di vitamine. Poi, per farle passare l’impeto vocazionale, contatta la maestra per stabilire uno speciale ritiro scolastico. La figlia si vendica facendo dispetto all’alta considerazione dello status di famiglia che ha la madre: va a mendicare vestita di stracci, come se fosse di famiglia povera, per giunta dicendo di essere orfana. La madre la punisce con percosse.

Dopo aver terminato il ciclo elementare con voti molto alti, è però il padre che le impone di frequentare i tre anni di avviamento al lavoro presso l’Istituto Professionale Femminile Mantegazza, in via Ariberto.

Alda tenta in seguito di essere ammessa al Liceo – Ginnasio Alessandro Manzoni, ma non riesce in quanto non supera la prova di italiano. Nello stesso periodo si dedica allo studio del pianoforte, strumento da lei particolarmente amato. Esordisce come autrice giovanissima, a 15 anni. Attraverso una sua insegnante delle medie fu presentata ad Angelo Romanò che, apprezzandone le doti letterarie, la mise in contatto con Giacinto Spagnoletti, il quale divenne la sua guida, valorizzandone il talento[10]. Quindicenne, torna a casa con una recensione di una sua poesia scritta da Spagnoletti; emozionatissima la mostra all’amato padre, che però la prende e straccia in mille pezzi dicendo alla figlia “Ascoltami, cara, la poesia non dà il pane”[8].

Nel 1947, la Merini incontra “le prime ombre della sua mente” e viene internata per un mese nella clinica Villa Turro a Milano, dove le viene diagnosticato un disturbo bipolare. Quando ne esce alcuni amici le sono vicini e Giorgio Manganelli, conosciuto a casa di Spagnoletti insieme a Luciano Erba e David Maria Turoldo, la indirizza dagli psicoanalisti Fornari e Musatti.

Giacinto Spagnoletti sarà il primo a pubblicarla nel 1950, nell’Antologia della poesia italiana contemporanea 1909-1949, con le liriche Il gobbo, datata 22 dicembre 1948, e Luce, del 22 dicembre 1949, a lui dedicata. Nel 1951, su suggerimento di Eugenio Montale e di Maria Luisa Spaziani, l’editore Giovanni Scheiwiller pubblica due poesie inedite dell’autrice in Poetesse del Novecento.

Dal 1950 al 1953 frequenta per lavoro e per amicizia Salvatore Quasimodo. Terminata la difficile relazione con Giorgio Manganelli, il 9 agosto 1953 sposa Ettore Carniti, operaio e sindacalista, in seguito proprietario di alcune panetterie di Milano. Nello stesso anno esce, presso l’editore Schwarz, il primo volume di versi intitolato La presenza di Orfeo. Nel 1955 esce la seconda raccolta di versi, intitolata Paura di Dio, con le poesie scritte dal 1947 al ’53, alla quale fa seguito Nozze romane.

Nasce in quello stesso anno, poco tempo dopo l’improvvisa morte per infarto del padre, la prima figlia, Emanuela. Al suo pediatra, Pietro De Pascale, dedicherà la raccolta di versi Tu sei Pietro, pubblicata nel 1962 dall’editore Scheiwiller. Nel ’57 nasce la secondogenita Flavia. Dopo la pubblicazione di Tu sei Pietro inizia per lei un difficile periodo di silenzio e di isolamento, dovuto all’internamento nell’Ospedale Psichiatrico “Paolo Pini”, che va dal 1964 fino al ’72, con alcuni ritorni in famiglia, durante i quali nascono altre due figlie, Barbara e Simona, che saranno affidate ad altre famiglie. Si alterneranno in seguito periodi di salute e malattia, probabilmente dovuti al disturbo bipolare.

Nel 1979 riprende a scrivere, dando il via ai suoi testi più intensi sulla drammatica e sconvolgente esperienza dell’ospedale psichiatrico, testi contenuti in quello che può essere inteso come il suo capolavoro: La Terra Santa, con la quale vincerà nel 1993 il Premio Librex Montale. Ma le pene della scrittrice continuano: il 7 luglio 1983 muore il marito; rimasta sola e ignorata dal mondo letterario, cerca inutilmente di diffondere i propri versi. Lei stessa si era recata presso i maggiori editori italiani senza alcun successo fintanto che, nel 1982, dopo aver raccontato a Paolo Mauri la sua amarezza, quest’ultimo le offrì uno spazio sulla sua rivista per trenta poesie da pubblicare sul nº 4, inverno 1982 – primavera 1983, che, insieme a lei, aveva scelto da un dattiloscritto di un centinaio di testi; in seguito, insieme all’editore Vanni Scheiwiller, avrebbero aggiunto altre dieci liriche, e nel 1984 veniva dato alla stampa La Terra Santa.

Nel luglio del 1986 fa ricorso alle cure del reparto di neurologia dell’Ospedale di Taranto, i cui medici ben la conoscono poiché il marito l’aveva fatta visitare in precedenza ottenendone un quadro ben soddisfacente. Avendo fatto ritorno a Milano in preda ad una forte crisi per la malattia terminale del marito, inizia una terapia con la dottoressa Marcella Rizzo, alla quale dedica più di una poesia. Nello stesso anno riprende a scrivere e ad incontrare i vecchi amici, tra cui Vanni Scheiwiller, che le pubblica “L’altra verità. Diario di una diversa”, il suo primo libro in prosa che, come scrive Giorgio Manganelli nella prefazione al testo, “… non è un documento, né una testimonianza sui dieci anni trascorsi dalla scrittrice in manicomio. È una ricognizione, per epifanie, deliri, nenie, canzoni, disvelamenti e apparizioni, di uno spazio – non un luogo – in cui, venendo meno ogni consuetudine e accortezza quotidiana, irrompe il naturale inferno e il naturale numinoso dell’essere umano” al quale seguiranno Fogli bianchi nel 1987, La volpe e il sipario (1997) e Testamento (1988). Nel 1987 è finalista nel premio letterario Premio Bergamo.

Nel 1996 le viene assegnato il “Premio Viareggio” per il volume “La vita facile”; l’anno seguente riceve il “Premio Procida-Elsa Morante”.

Nel 2002 viene pubblicato da Salani un piccolo volume dal titolo “Folle, folle, folle d’amore per te”, con un pensiero di Roberto Vecchioni il quale nel 1999 aveva scritto “Canzone per Alda Merini”.

Nel 2003 la “Einaudi Stile Libero” pubblica un cofanetto con videocassetta e testo dal titolo “Più bella della poesia è stata la mia vita”.

Nel febbraio del 2004 Alda Merini viene ricoverata all’Ospedale San Paolo di Milano per problemi di salute. Un amico della scrittrice chiede aiuto economico con un appello che le farà ricevere da tutta Italia, e-mail a suo sostegno. La scrittrice ritornerà successivamente nella sua casa di Porta Ticinese, vicino ai Navigli.

Nel 2004 esce un disco che contiene undici brani cantati da Milva tratti dalle poesie di Alda Merini.

Il suo ultimo lavoro è datato 2006: Alda Merini si avvicina al genere noir con “La nera novella” (Rizzoli).

Alda Merini muore a Milano il giorno 1 novembre 2009 nel reparto di oncologia dell’ospedale San Paolo a causa di un tumore osseo.

Genio precoce, Alda Merini ha scritto poesie immortali, d’amore e di vita. Ebbe l’esistenza segnata dall’esperienza dell’internamento in manicomio, per quasi un decennio, a cavallo fra Anni Sessanta e Anni Settanta.

Dico spesso a tutti che quella croce senza giustizia che è stato il mio manicomio non ha fatto che rivelarmi la grande potenza della vita”, scrisse in La pazza della porta accanto (1995).

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