Addio a Camilleri, cantastorie e intellettuale “pop” che ci mancherà (forse) più dello scrittore

«Se potessi vorrei finire la mia carriera seduto in una piazza a raccontare storie e alla fine del mio ‘cunto’, passare tra il pubblico con la coppola in mano». Morire com’è vissuto, come un cantastorie. E invece, Andrea Camilleri se n’è andato in ospedale. Ricoverato al Santo Spirito di Roma esattamente un mese prima della sua dipartita, ha subito le complicazioni di un arresto cardiorespiratorio e si è spento senza aver mai ripreso conoscenza.

Le manifestazioni di solidarietà a lui dedicate sono partite immediatamente dopo la notizia del suo malore, ma adesso l’Italia è davvero tutta in lutto. Il motivo è che, con Andrea Camilleri, se ne va l’ultimo vero intellettuale “pop” del nostro paese, l’ultimo uomo colto capace di influenzare con la sua conoscenza e la sua personalità la riflessione politico-culturale del paese in maniera trasversale, l’ultimo “trovatore”, in grado di unire le famiglie a cena per ascoltarlo raccontare. Da Nord a Sud, dagli anziani ai più giovani, dagli analfabeti ai plurilaureati: tutti sanno chi sia Andrea Camilleri e, anche chi non ha mai letto un suo libro, ne ha ascoltato le parole attraverso interviste, programmi tv, serate a teatro. Camilleri è riuscito a entrare nelle case di ogni italiano attraverso scatola televisiva soprattutto con il suo commissario Montalbano, ma non solo attraverso le storie alla base delle fortunata fiction. Proprio con la sua figura familiare e al tempo autorevole, la sua voce roca, la sua pelle rugosa. Prima di ogni messa in onda a lui e soltanto a lui era consentito raccontare il preambolo, la trama, il mondo in cui Salvo Montalbano si sarebbe trovato ad operare, senza mai far mancare – però – una riflessione tutta personale. D’altronde, il personaggio che più lo ha reso famoso è stato spesso un suo alter-ego nel pensiero, nella filosofia di vivere.

Tutti gli ambiti artistico-professionali toccati da Camilleri, dalla scrittura alla drammaturgia, dalla sceneggiatura alla regia, erano solo modi diversi di mettere in pratica ciò che meglio sapeva fare: raccontare. Cosa? Le sue idee, il suo amore per la vita, la sua curiosità, le sue credenze sempre votate all’accettazione degli altri e della diversità. Anche la Storia, sì, quella con l”s” maiuscola, da lui che ne aveva vissuto tante sfaccettature importanti e che capiva si stesse perdendo di vista per colpa del passare degli anni e della perdita dei portatori di memoria. Camilleri era un convinto anti-fascista, un sostenitore della cultura da condividere e un curioso, che fino agli ultimi istanti di vita non ha fatto altro che scrivere e preparare incontri con il suo pubblico, senza mai avere la presunzione di infondere verità assolute, ma con la voglia di ragionare insieme di attimi reali come di sentimenti iperuranici.

Era il Tiresia del nostro tempo, l’indovino cieco che – però – sa intuire bene il mondo senza bisogno degli occhi. Non a caso aveva scelto di scrivere di questa figura mitologica e di essere, per la prima volta, anche attore protagonista di un suo testo, impersonandolo in una delle sette esistenze promesse al profeta da Zeus e portandolo in scena al 54° Festival del Teatro Greco di Siracusa.

L’affetto dimostrato per la sua perdita da chi non lo conosceva se non come personaggio e non come persona, e le parole di saluto a lui rivolte anche da coloro che erano stati suoi bersagli ideologici, dimostra quanto la sua onestà intellettuale, la sua autenticità, scavalcassero ogni filtro scelto come mezzo: pagine, palcoscenico, tubo catodico, microfono.

«Mi piacerebbe che ci reincotrassimo tutti quanti, qui, in una sera come questa, tra cento anni», aveva detto al pubblico estasiato dalle sue Conversazioni su Tiresia. Lo speriamo anche noi, maestro, di tutto cuore. Di sicuro, lei non ci abbandonerà mai.

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