Tra le sponde del Lago di Garda e la silhouette inconfondibile del Monte Baldo, si compie il percorso di un architetto che ha fatto dell’emozione una grammatica progettuale e della luce il suo alfabeto compositivo. Pier Solieri, figura raffinata della scena architettonica contemporanea, ha saputo tradurre il proprio sguardo artistico in un linguaggio costruttivo unico, dove ogni edificio nasce come risposta poetica al luogo che lo ospita.
Il suo approccio prende forma da suggestioni che affondano le radici in una sensibilità pittorica, da una fascinazione per il gesto che commuove, più che per la sola struttura che sostiene. L’architettura, nel suo pensiero, si manifesta come prolungamento dell’anima: non mero esercizio funzionale, bensì composizione visiva e percettiva, capace di riflettere la mutevolezza del cielo e le vibrazioni del paesaggio. Solieri non concepisce l’edificio come un oggetto concluso, ma come parte di un sistema dialogante, dove la luce plasma i volumi e i riflessi generano nuove narrazioni.
La sua formazione, iniziata a Parigi presso l’Università di Belleville e consolidata con esperienze in studi di urbanistica e interior design, gli ha consentito di affinare una visione internazionale che fonde rigore progettuale e libertà espressiva. Dopo aver collaborato con realtà prestigiose come quella di Antonio Citterio a Milano, si è progressivamente orientato verso una pratica autonoma, avviando nel 2016 un percorso professionale indipendente che trova massima espressione nella progettazione di ville unifamiliari. Proprio durante gli anni milanesi ha affinato una particolare attenzione al dettaglio e allo studio degli interni, sperimentando la progettazione di scale come elementi scenografici capaci di diventare segni architettonici a pieno titolo, e non semplici collegamenti tra piani.
Il legame con il Garda, più che geografico, è sensoriale. Lì, sulla sponda veronese, ha dato vita a una costellazione di residenze che incarnano il suo stile: costruzioni che non si limitano a occupare uno spazio, ma che lo interpretano, lo osservano, ne assorbono le ombre e i riflessi. In molte delle sue opere, il punto di partenza è paradossalmente la linea di colmo del tetto, quasi che l’architettura nascesse a ritroso, immaginando l’immobile come proiezione inversa del proprio riflesso sull’acqua. Questo gesto iniziale diviene principio generatore di un intero sistema compositivo.
Solieri definisce il suo metodo progettuale come “il rovescio di un guanto“: inizia dagli spazi interni, dalle esigenze intime dell’abitare, e solo in un secondo momento arriva alla definizione delle facciate, considerate come espressione riflessa dell’interiorità. Questa simmetria inversa tra dentro e fuori, tra funzione e immagine, genera architetture coerenti, dove ogni elemento trova la propria giustificazione nella logica del tutto.
In tale logica si inserisce la villa realizzata a Lazise, nel cuore di un quartiere residenziale in espansione, dove l’abitazione si adagia con grazia su un dolce declivio naturale, assecondandone la pendenza e intrecciando un dialogo continuo con il paesaggio circostante. L’edificio si sviluppa su due livelli fuori terra e uno interrato, per una superficie complessiva di circa 190 m². Il disegno architettonico nasce da una matrice geometrica rigorosa, costruita a partire dal quadrato e dalle sue derivazioni, con una composizione volumetrica che alterna pieni e vuoti in un gioco armonico e calibrato.
Il piano terra, dedicato alla zona giorno, si articola su due livelli sfalsati: cucina e zona pranzo si trovano in posizione rialzata rispetto al soggiorno, creando una separazione funzionale e visiva senza ricorrere a pareti divisorie. Al centro della casa, un patio racchiuso da tre pareti vetrate e una opaca funge da fulcro visivo e spaziale, offrendo un’area di respiro intorno alla quale ruotano gli ambienti. Una scala minimalista, collocata accanto alla parete rivestita in marmo, conduce al piano superiore, riservato alla zona notte. Il livello interrato ospita invece i locali di servizio, tra cui cantina, garage e spazi accessori.
All’esterno, la villa si presenta come l’intersezione di due volumi ortogonali sovrapposti, generando un aggetto che crea uno spazio ombreggiato e accogliente per l’ingresso e l’area living all’aperto. Il blocco superiore, più compatto, custodisce le camere da letto, garantendo privacy e protezione, mentre la facciata principale si apre nuovamente al paesaggio con ampie vetrate schermate da una terrazza aggettante. L’essenzialità delle forme si riflette anche nella scelta cromatica, dominata da bianco, nero e tonalità naturali, con accenti di verde e terra a sottolineare i contrasti materici.
Il progetto si distingue per una purezza formale che permea ogni dettaglio: porte a filo muro, finestre a tutta altezza, pilastri circolari disposti in coppia, arredi discreti e illuminazione studiata per valorizzare i volumi architettonici. La luce diventa elemento compositivo centrale, attraversando gli ambienti in modo sempre cangiante, scandendo il tempo della casa e trasformando ogni stanza in uno spazio narrativo.
Altrettanto significativa è la residenza costruita sull’isola di Albarella, dove emerge con maggiore evidenza la cifra eclettica del progettista. Qui si colgono rimandi espliciti a Le Corbusier, nella libertà delle facciate e nella leggerezza strutturale, ma anche influenze della scuola californiana di Neutra e Schindler, visibili nell’uso delle ampie superfici vetrate, nella compenetrazione tra interno ed esterno e nella cura per i dettagli architettonici che conferiscono ritmo alla composizione. In questo progetto, l’edificio assume le sembianze di una scultura abitabile, in cui la materia si fa diafana e la funzione si piega alla bellezza.
L’idea di architettura portata avanti da Solieri è anche una riflessione sul tempo e sullo spazio, sulla permanenza e sulla trasformazione. Ogni sua opera racconta una tensione tra memoria e visione, tra il rispetto del contesto e la volontà di tracciare un segno inconfondibile. Le scale, ad esempio, diventano elemento scenografico e concettuale, simbolo del passaggio e della connessione, così come le grandi aperture verso l’esterno rappresentano inviti alla contemplazione più che semplici soluzioni funzionali.
Tra le opere più rappresentative spiccano anche Villa Bianca e Villa Grigia, due esempi di come il disegno architettonico possa costruire un dialogo sottile e continuo tra ambienti interni ed esterni, modulando lo spazio secondo ritmi armonici e calibrati. Le abitazioni firmate da Solieri non si impongono sul paesaggio, ma ne diventano parte integrante, spesso reinterpretandolo attraverso geometrie essenziali e una poetica del silenzio formale.
L’espressione “architetto del lago”, spesso associata al suo nome, non va letta come un semplice richiamo geografico, bensì come un manifesto di intenti. È nel rapporto con l’acqua, con la luce, con la natura in trasformazione che l’opera trova la sua ragion d’essere. E in questo equilibrio tra rigore e lirismo, tra tecnica e ispirazione, si rivela la forza di una visione che continua a raccontare l’architettura come atto sensibile, capace di lasciare una traccia silenziosa ma duratura.