A BOCCA PIENA…

Che il cibo non abbia solo un valore di nutrimento ma rappresenti molto di più è ormai risaputo: l’uomo del resto non può dirsi “nutrito” solo quando la richiesta dei nutrienti del suo corpo è soddisfatta ma ha bisogno di molto altro per nutrire la sua mente e la sua anima. È palese del resto che lo stato d’animo di una persona e le sue emozioni, condizionino la sua alimentazione.

Il rapporto con il cibo di ognuno comincia appena comincia la vita: Il neonato entra in comunicazione con la madre poco dopo il suo distacco placentale da lei, ed entra in contatto proprio con la bocca che, grazie all’istinto della suzione, fa si che si possa nutrire. Nell’allattamento riceve allora tutto ciò che lo appaga perché sente il calore del corpo della madre, ne annusa l’odore, scopre tramite la sua bocca il piacere del contatto fisico e ne trae il nutrimento dolce e tiepido del suo latte.

Il neonato conosce così l’amore, l’accoglienza, la sensazione di sicurezza; a questo punto il gioco è fatto e smette di piangere, prova piacere, si rasserena, spesso si lascia andare al sonno. Si è stabilito così il legame tra cibo e piacere: grazie a quest’atto ripetuto s’instaura quindi una connessione forte tra il sentirsi al sicuro, amato appagato e il cibo.

Considerando inoltre le consuetudini legate all’allattamento si capisce che c’è ancora dell’altro: se le modalità e i tempi con cui viene somministrato il latte materno sono quelli che corrispondono ad ogni tentativo del piccolo di comunicare qualsiasi disagio, come spesso accade , ecco che si instaurerà fin da subito anche la relazione tra disagio incompreso e cibo.

Il cibo, il latte materno in questo caso, diventa consolazione o risposta ad ogni stimolo avvertito come sgradevole. Sembra così chiaro allora che si è arrivati a tradurre l’atto del nutrirsi come risposta ad una comunicazione che a volte non è stata compresa visto, come nel caso dell’infante, l’inadeguatezza comunicativa.

Crescendo poi ancora di più si rafforza il legame cibo- comunicazione-amore; ogni volta che si festeggerà un compleanno, un anniversario, una qualunque festa che sia un’occasione di incontro tra familiari e amici, comunicheremo la gioia e il piacere di quella ricorrenza con abbondanza di cibo, consumando per lo più alimenti dolci e piatti elaborati.

Il cibo rappresenta comunemente così un modo per gratificarsi oppure diventa un’inconscia manifestazione del bisogno di essere compresi o di manifestare qualcosa che ci sta disturbando oppure ancora il bisogno di cercare una rassicurazione quando si ha la sensazione di essere in procinto di un pericolo. Pensiamo ad un bimbo, che svegliato di soprassalto da un rumore forte ed improvviso, incomincia a piangere ma che si sentirà rassicurato se avvicinato al seno materno: questo è forse un bisogno improvviso di nutrirsi? Sicuramente no, ma olfatto, tatto e gusto daranno segnali sufficientemente potenti di rassicurazione al neonato, spegnendo la percezione di pericolo.

Detto questo è facilmente comprensibile, che una volta cresciuti, quando l’ansia, sensazione d’ incertezza o di apprensione, diventa ricorrente, è possibile entrare in uno stato di fame nervosa. In questi casi si può andare dalla semplice abbuffata occasionale a sintomi più seri di Binge eating disorder, un disturbo da alimentazione incontrollata.

A livello generale ecco spiegato anche perché nei periodi peggiori di crisi economica mediamente la popolazione tende ad ingrassare ed aumentano i casi di disturbi alimentari. Parallelamente aumenta l’incidenza dei problemi digestivi e non solo per cause prettamente patologiche ma bensì, come la medicina olistica ci suggerisce, perché la digestione è sinonimo di “accettazione”. Del resto come digerire bene un cibo che abbiamo introdotto come placebo alla preoccupazione, paura, alla fastidiosa percezione dell’incapacità di poter essere protetti? Se digerire è accettare, impossibile in questi casi non sentire pesantezza allo stomaco.

Cosa può allora guarire la nostra relazione con il cibo affinché questo apporti vero nutrimento ed aggiunga vita nelle nostre vite?

Di sicuro la consapevolezza delle nostre emozioni, che non vuol dire, anche se già ciò potrebbe essere importante, riconoscerle solo a livello mentale ma soprattutto permetterci di mettere in comunicazione le emozioni con la nostra razionalità, con i nostri obiettivi, in modo corretto. Sarà allora il piacere del raggiungimento di quest’ultimi a gratificarci, la sensazione di essere protagonisti nelle nostre scelte, in questo caso alimentari, a gratificarci e a rafforzare la nostra autostima, così tanto compromessa invece in coloro che abusano del cibo.

Se il nostro obiettivo è la salute e sappiamo che questa è in relazione con l’apporto delle giuste quantità e qualità di nutrienti che introduciamo quotidianamente nel corpo, dobbiamo cercare di favorire una mediazione tra piacere che produce benessere e la moderatezza che produce salute.

Guardando per esempio a questo particolare periodo storico, tutti stiamo cercando di perseguire l’obiettivo della salute e del benessere nonostante siamo purtroppo quotidianamente bombardati da notizie che generano ansia e preoccupazione: dobbiamo allora assolutamente resistere alla tentazione di consolarci a bocca piena con pizze e panini, cercando di trovare un placebo all’ansia, e trovare un punto di vista sobrio tra piacere-cibo e salute. Dobbiamo stabilire di amarci per riappropriarci della piena responsabilità del nostro corpo, dobbiamo amarci per stimarci capaci di essere oggi non più bambini ma adulti capaci di esprimerci di comunicare efficacemente i nostri bisogni ed il nostro sentire.

Utilizzeremo allora la nostra bocca non per riempire vuoti comunicativi o affettivi e paure, ma per esprimere ciò che proviamo, ciò che siamo e ciò che vogliamo essere nella nostra vita.

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Comments

    • Manuela Mauramati
    • 4 Dicembre 2020
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    Grazie Patrizia!
    Veramente molto bello che hai scritto,e aggiungo che in tanti cicli della mia vita mi sono ritrovata in tutto ciò che hai scritto
    Grazie di ❤ sempre preziosa

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