Věra Čáslavská.La libellula che sfidò il gigante sovietico

Siamo a Città del Messico, è il 1968 e una grande parata di atleti sta marciando nello stadio della capitale messicana. vera caslavskaÈ la cerimonia d’inaugurazione della XIX Olimpiade, la prima a svolgersi in una città del Sudamerica. Tra i protagonisti c’è una splendida ragazza cecoslovacca, che saluta la folla nella sua divisa blu con tanto di guanti bianchi: è la favorita per tutte le gare di ginnastica, è Věra Čáslavská. Per lei è il giorno più importante della sua vita. La squadra è stata in ritiro a Šumperk, sulle montagne, dove riceve la notizia che i carri armati russi hanno invaso Piazza san Wenceslao dando inizio, di fatto, alla primavera di Praga. Věra è una dei firmatari del cosiddetto Manifesto delle duemila parole, che auspicava l’accelerazione del processo d’indipendenza cecoslovacca dalla tirannia sovietica, sotto la guida di Dubcek, pertanto si rifugia sulle montagne e, mentre i compagni sono già in Messico per abituarsi all’altura, lei è ancora bloccata in patria. Un tronco d’albero è la sua trave e i prati sono la sua pedana, mentre il segretario russo, Brèžnev, trova l’accordo con i cecoslovacchi e la campionessa può partire. I Giochi di Città del Messico sono stati i più politicizzati della storia, con gli studenti messicani che protestavano sull’onda dei movimenti europei e il famoso podio dei 200 m piani, con Tommie Smith e John Carlos, che ascoltano l’inno nazionale americano con il pugno guantato alzato e senza scarpe. La Čáslavská è una stella in grande ascesa, l’ultima rappresentante delle ginnaste dal corpo adulto, prima della grande rivoluzione che porterà in pedana atlete dai corpi prepuberali. È cresciuta nel mito delle ginnaste russe e in particolare di Larisa Latynina, che veniva dal balletto e fece incetta di medaglie agli albori della disciplina, dopo che questa fu sdoganata, nella versione femminile, alle Olimpiadi di Melbourne del 1956. Il suo intento è di raggiungere la grande campionessa e così si allena duramente per 5 ore al giorno. La sua è una ginnastica nuova, fatta di freschezza e vitalità, grande tecnica ma anche un’emotività e un’espressione dei sentimenti che non si erano mai viste prima. Agli Europei del ’67 i giudici non sono preparati alla bellezza del suo esercizio alla trave e sul tabellone appare un enigmatico 1; succederà anni dopo anche alla sublime Nadia Comaneci, quell’uno in realtà è un 10, il punteggio perfetto, che le macchine non riescono a concepire. La “libellula bionda” vince a Città del Messico l’oro nel volteggio e nelle parallele ma alla trave viene assegnato un punteggio controverso alla russa Natalia Kuchinskaia, che guadagna il primo posto nonostante la contestazione feroce del pubblico. Sul podio, Věra tiene la testa bassa per tutta la durata dell’inno sovietico, ha la mascella serrata e una posa composta, nel cuore, forse, riecheggia il suono dei carri armati che invadono la sua nazione, quello è il suo modo malinconico e velato di protestare. Al corpo libero lo smacco è ancora più pesante. Dopo aver eseguito un esercizio individuale perfetto, pieno d’ironia e leggerezza, ma anche di serietà e tecnica, i giudici decidono di aumentare il punteggio della sua concorrente russa, Larisa Petrik, costringendola a dividere con lei il gradino più alto del podio. Ancora una volta abbassa lo sguardo a terra durante l’esecuzione dell’inno e si trasforma nella muta immagine della protesta. Da quel momento diviene un’eroina. Tornata a casa dopo il matrimonio, Věra scopre di essere “persona non gradita” e finisce addirittura a fare la donna delle pulizie. A darle una chance è ancora il Messico, che la chiama per allenare la nazionale, dopo questa esperienza anche in patria le sarà concesso di allenare senza però poter lasciare la Cecoslovacchia. Finalmente, nel 1985, Juan Antonio Samaranch, allora presidente dl CIO, le conferisce l’Ordine Olimpico e la Čáslavská ha il permesso di allenare la nazionale olimpica ceca. Con la caduta del muro di Berlino diventa anche un personaggio politico, ma la sorte non ha ancora smesso di giocare crudelmente con lei. Il figlio Martin e l’ex marito Joseph hanno una lite in un bar e il secondo muore per mano del primo, che finisce all’ergastolo. Věra cade nella disperazione e nella depressione ma chi, come lei, è nato libellula ha sempre la forza di spiccare ancora il volo. Entra a far parte dell’International Gymnastyc Hall of Fame, supera la crisi in silenzio, come sempre, e nel 2013 il film sulla sua vita vince il Magnolia International Documentary Award. In questo modo, finalmente, l’ultima ginnasta “adulta” della storia può narrare i salti della sua vita, senza timore di essere censurata.

 

Patrizio Pitzalis

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