Rose disarmate al Palalottomatica: l’illusione di una band che non esiste più

Axl Rose è arrivato nella Capitale con i “nuovi” Guns n’ Roses, pallida imitazione degli originali 

I Guns n’ Roses sono stati una delle più grandi band della storia del rock. Nel 1987 sconvolsero il mondo con lo stratosferico album “Appetite for destruction”, proponendo una nuova idea di rock/metal che sapeva mescolare con armonia aggressività e dolcezza, melodia e suoni sporchi.  La ritmica di Izzy Stradlin, gli indescrivibili assoli di Slash e l’inconfondibile voce graffiata di Axl sono già entrate di diritto nell’Olimpo del Rock n’ Roll. I testi che narravano la decadenza di Los Angeles, crimini e misfatti, odi all’eroina, al sesso e all’alcool, hanno segnato e continuano a segnare intere generazioni di giovani rocker.
Ma i veri Guns sono finiti da un pezzo. Da quando l’egocentrismo del cantante, Axl Rose, ha distrutto l’alchimia di quella che era una macchina musicale perfetta. Axl sta intraprendendo una carriera solista ma, grazie al marchio “Guns n’ Roses” strappato a suon di milioni e cause legali ai vecchi membri della band, si garantisce il sold-out in tutti gli stadi.Da quando la band ufficiale si è sciolta, a metà dei ’90, in studio con il cantante si sono avvicendati diversi musicisti, fuggiti (da Axl) sempre tra aspre polemiche. Oggi Rose è un (quasi) cinquantenne con la pancia, la storica bandana ora serve solo a nascondere la calvizie e le maratone sul palco sono solo un ricordo. Ma è pur sempre una leggenda vivente e il suo carisma basta a tenere in piedi lo show.
Gli altri membri della band sono trattati dal pubblico con una freddezza che sa molto più di opera lirica che di rock n’ roll. Non per demeriti dei poveri Bumblefoot, DJ Ashba o, Richard Fortus, ma perché i termini di paragone sono inarrivabili. E’ un po’ come mettere la casacca del Real Madrid a un buon giocatore di seconda divisione e sperare che segni 40 goal. I Guns N’ Roses erano annunciati alle 21. I più ottimisti speravano di vederli arrivare per le 21,30. Alle 22.15 sono partiti i primi fischi. Alle 22.25 è partito il coro da stadio “C’avete rotto er…”. Non sappiamo se è stato tradotto ad Axl che comunque lo avrà preferito al lancio di bottiglie di birra che lo bersagliò a Dublino per sessanta minuti di ritardo. Solo alle 22.35, quando è partita “Chinese democracy”, gli animi si sono finalmente calmati. Le canzoni dei “nuovi” Guns n’ Roses passano praticamente inosservate. Pochi si azzardano a cantarle e si vede addirittura qualche sbadiglio. Ma quando parte il riff di “Welcome to the jungle” il Palalottomatica esplode. Così come per “Mr. Brownstone”, “Rocket Queen”, “Nightrain”, “Sweet child o’ mine”, “Don’t cry” , “Paradise city”, e “November rain”.
E’ una piacevole illusione di massa. Uno sforzo collettivo per fingere che quelli sul palco siano i veri Guns. Quelli che molti dei presenti non hanno mai potuto vedere perché non ancora nati o perché all’ epoca frequentavano ancora l’asilo. I ventenni di oggi provano a immaginare i brividi e gli odori della generazione precedente e si finge per credere che quello sbarbatello col mezzo cilindro che si ostina a tormentare la Les-Paul sia davvero Slash.
Alla fine il commento generale è lo stesso per tutti: I Guns sono morti ma, accidenti, Axl è sempre Axl!

Nicola Salerno

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