Quando il calcio si ribella al razzismo

CatturaIn queste ultime ore i social network sono invasi da immagini di persone che si scattano foto insieme alle banane e poi le condividono. Chi non segue il calcio fatica a comprenderne le ragioni. Tutto ciò ha una spiegazione: le banane sono infatti un segno di solidarietà nei confronti del calciatore brasiliano del Barcellona Dani Alves, che mentre era impegnato a battere un calcio d’angolo durante una partita contro il Villarreal, ha visto arrivare dagli spalti una banana diretta verso di lui, tirata da un tifoso della squadra avversaria. Alves, vittima del “lancio” razzista, si è piegato, ha raccolto la banana, l’ha sbucciata e ne mangiato un pezzo, calciando poi il pallone come niente fosse. Un gesto semplice, quanto nobile che ha totalmente umiliato quanti stavano rivolgendo verso di lui cori razzisti che simulavano il verso di una scimmia. Alves ha poi dichiarato a un sito spagnolo: “Sono in Spagna da undici anni, non è cambiato nulla. Non ci rimane che ridere di questi ritardati”. Il Villarreal intanto ha individuato il tifoso che ha compiuto quel gesto ignobile. Al responsabile, rende noto il club dal proprio sito, è stato ritirato l’abbonamento e verrà vietato per sempre l’ingresso allo stadio El Madrigal. Il tifoso, si legge, è stato individuato grazie all’azione degli addetti alla sicurezza e alla collaborazione di altri supporters. Ma ciò che colpisce è la ripercussione mediatica che l’episodio ha avuto. In poche ore sono partiti hashtag in varie lingue come #siamotuttiscimmie, #weareallmonkeys, #somostodosmacacos, tutti creati per accompagnare le immagini solidali con il calciatore sudamericano. Come chiarisce un articolo di Repubblica.it: «L’ironia è una prerogativa della famiglia di Daniel Alves, tanto che il padre Doming, 64 anni, di professione agricoltore, ha detto che comincerà a coltivare banane. “Le banane non piacciono solo alle scimmie”, ha ironizzato. “Coltivo mango, cocco, melone, mele e maracuja ma ho deciso di coltivare anche banane”, ha detto Domingo Alves, secondo il quale “i preconcetti sono difficili a morire, anche nel mondo del calcio”. Sulla vicenda è intervenuta anche la madre del calciatore baiano, Lucia Ribeiro.”Ho insegnato a Daniel a non reagire alle critiche e agli insulti. Se reagisci, aumentano, se non reagisci, finiscono, gli ho sempre detto. Quando ho visto la scena della banana in campo, ho pensato: mio dio, ancora si ricorda di quello che gli ho insegnato” ».Perfino il premier Matteo Renzi si è mostrato alla stampa mentre mangiava una banana insieme al commissario tecnico della nazionale italiana Cesare Prandelli. Il compagno di squadra, nonché connazionale di Alves, Neymar Jr, anche lui in passato vittima di gesti razzisti, sul suo profilo Instagram ha pubblicato un selfie in cui sbuccia una banana con in braccio il figlioletto. Questa non è la prima volta che i calciatori stranieri sono vittime di cori razzisti. Solo qualche mese fa il centrocampista del Milan Boateng fu ricoperto da “buu” razzisti, durante un’amichevole contro la Pro Patria. Il ghanese calciò la palla contro i tifosi e abbandonò il campo. Durante la sua esperienza in Russia con la maglia dell’Anzhi, il brasiliano Roberto Carlos abbandonò una partita in cui stava giocando perché qualcuno tirò in campo una banana. Insomma, nessuno aveva ancora pensato a reagire “alla Alves”. Il suo è probabilmente un gesto destinato a fare scuola, perché dimostra che spesso l’ignoranza può essere combattuta con metodi semplici e allo stesso tempo splendidamente significativi.

Silvia Di Pasquale

 

 

 

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