Quando c’era Berlinguer, il film di Veltroni ricostruisce un pezzo di storia italiana

Dal 27 marzo al cinema il documentario di Walter Veltroni, Quando c’era Berlinguer, ricostruisce la parabola politica di Enrico Berlinguer che fu a capo del PCI fino al 1984, anno della sua morte, avvenuta all’età di 62 anni per un ictus. In poco più di 100 minuti il docufilm dell’ex segretario del PD racconta, con l’ausilio di filmati e documenti dell’epoca, l’avventura di uno degli uomini politici più amati dagli italiani. Ai suoi funerali in piazza San Giovanni a Roma parteciparono in tantissimi, gente comune, militanti del partito, esponenti di tutto il mondo politico e istituzionale, comunisti e anticomunisti. Una delle domande che si pone il film, a distanza di trenta anni dalla morte, investe la natura della leadership e del carisma di Berlinguer. Basti solo ricordare che alle elezioni politiche del 1976 il partito raggiunse un consenso vicino al 35%, distanziando di poco la DC. Un italiano su tre – come ebbe a dire Berlinguer dal balcone della sede di via Botteghe Oscure – votava comunista. Il cambiamento sembrava dunque alle porte e il giovane Veltroni, come tanti sostenitori dell’epoca, rimase profondamente deluso quando, nonostante quella vittoria elettorale, nacque il terzo Governo Andreotti a composizione completamente democristiana. Il documentario ridisegna con puntualità il difficile quadro storico e sociale di quegli anni in Italia e all’estero. Il golpe militare di Pinochet in Cile nel 1973 rovesciò il governo socialista di Allende con l’uccisione del Presidente, la chiusura del Parlamento, la sospensione delle libertà democratiche, la feroce persecuzione degli oppositori e rappresentò un terribile monito sui rischi di un governo guidato dalle sole sinistre. Dal 1973 al 1979 Berlinguer si sforzò di costruire un’alleanza organica con la DC e con il PSI, il cosiddetto “compromesso storico”, per traghettare l’Italia nella modernità, rompendo di fatto l’asse con l’URSS. Tuttavia il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro, nel 1978, posero fine a questo progetto e Berlinguer, come si dice nel film, morì la prima volta. Il compromesso storico suscitò infatti molta ostilità nei suoi confronti e fu avversato da più parti, in particolare dalle formazioni extraparlamentari come le Br che ricorsero al terrorismo e alla strategia della tensione per bloccare la spinta riformatrice. In occasione del 60° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre (1917-1977), Berlinguer pronunciò di fronte ai dirigenti sovietici un discorso che è rimasto nella storia perché, sottolineando il valore universale della democrazia, mise in discussione i regimi dell’Est: “L’esperienza compiuta ci ha portato alla conclusione che la democrazia è oggi non soltanto il terreno su cui l’avversario di classe è costretto a retrocedere, ma anche il valore storicamente universale sul quale fondare una società socialista”. Già nel 1969 si era mostrato critico nei confronti dei paesi del blocco sovietico, tant’è che a Sofia nel 1973 subì un attentato quasi sicuramente organizzato dal partito comunista bulgaro. Il documentario di Veltroni si apre parlando del presente e dimostrando come la conoscenza della figura di Berlinguer e più in generale della storia politica di quegli anni sia davvero carente tra i giovani. La volontà di far conoscere alle nuove generazioni il pensiero del compianto leader costituisce certamente una delle spinte più forti nella realizzazione di questo film. La pellicola è inoltre attraversata da interviste a testimoni eccellenti: Giorgio Napolitano, Eugenio Scalfari, Roberto Benigni, Bianca Berlinguer. La voce fuori campo che racconta e ricorda è proprio quella di Veltroni. Hanno dato il loro contributo vocale Toni Servillo e Sergio Rubini, nonché Gino Paoli con un brano inedito.

 

Pasquale Musellacimne

 

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