“Nulla è perso”: un viaggio verso la pace interiore

Ruderi immersi in una natura selvaggia ed avvolgente, oggetti poco identificabili ma testimoni di una vita che c’è stata ed ancora rovi, foglie, erba: una vegetazione fitta che tutto avvolge, tutto livella. Sopra di essa, uno sconfinato cielo reso ancora più plumbeo ed austero dalla scelta del bianco e nero, che relega tutto in un tempo quasi mitico e magico.

“Nada está perdido” (“Nulla è perso”) è un piccolo progetto di sette fotografie di Ricardo Neves, regista e direttore della fotografia, il quale ha così voluto esplorare la ricerca della serenità umana come esperienza personale necessaria, terapeutica per l’anima e per i sensi.

Un sintetico manifesto visivo denso di significato ed impostato su di una duplice naturalezza: quella esteriore, con cui l’uomo familiarizza, e quella interiore, che va riscoperta e coltivata.

La genesi di questo progetto è, di fatto, tutta intimistica: si parte dalla percezione di una mancanza, si passa per una fuga, necessaria, e si giunge, infine, ad una nuova acquisizione.

“Mi sentivo di cattivo umore, triste” – scrive l’autore – “e necessitavo di perdermi, di fuggire ed entrare in contatto con qualcosa di puro e naturale per trovare una forma di serenità”.

Tuttavia, nonostante gli svariati tentativi, Ricardo non riusciva mai ad imbattersi in questa tanto agognata naturalezza, se non in alcune sue forme ibride, che risentivano della presenza umana e delle sue tracce.

Il processo di ricerca, poi, ha dato finalmente i suoi frutti e le fotografie si sono imposte come necessaria testimonianza di una conquista intima e personale, come strumento per percepire al meglio lo spazio, analizzarlo e lasciarsi catturare totalmente da esso.2gen

Questo di Ricardo è stato al contempo un viaggio ed una felice scoperta: tutto ciò che è stato documentato attraverso le fotografie si è mostrato come qualcosa di nuovo ed inatteso. Niente, infatti, come ribadisce lo stesso Ricardo, era stato studiato precedentemente, calcolato, previsto: la fotografia doveva essere il tramite di un’impressione del momento, la più veritiera possibile, in linea con i circostanziali stati d’animo.

È per questo che il perdersi è stato un imperativo categorico, il presupposto assoluto della ricerca. E, se anche si volesse tornare indietro, alla riscoperta dell’origine di tutto, sarebbe impossibile ritrovare la strada. Ma forse è giusto così.

 

 

Michela Graziosi

 

 

 

 

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