Luca Mannutza. Sogni, impronte e testimonianze d’un musicista Jazz.

L’album Luca Mannutza Sound Six uscirà a Novembre in Italia. Ma questo tributo ai sestetti anni ’60 è solo uno dei progetti che il pianista e compositore, originario della Sardegna – che ha all’attivo collaborazioni prestigiose fra cui gli High Five, Roberto Gatto, Fabrizio Bosso, Maurizio Giammarco e Mario Biondi – ha creato. Ben altri tre lavori discografici – tutti a suo nome: The Round About; Longin’ e  The Four Season – fumano e profumano ancora di stampa. E come suonano! Diviene così sempre più plausibile l’idea che il Mannutza abbia in realtà un fratello gemello…

Partiamo dall’sestetto: il Luca Mannutza Sound Six uscito il Maggio scorso in Giappone. Com’ è nata l’idea?

L’idea è nata dal voler omaggiare i musicisti con i quali sono cresciuto, cioè i maestri della corrente Hard Bop. C’erano alcuni brani in particolare con cui sono cresciuto che appartenevano a quel periodo appunto, e quasi tutti alla stessa casa discografica o comunque a quelle più importanti che eranola BlueNoteela Prestige; ma questo progetto è nato non per fare un disco. Il disco è stata una cosa conseguente nel senso che il progetto esisteva ed è stato portato in giro per i club e poi, appunto, ho trovato chi a voluto produrlo e stamparlo, ovvero Satoshi Toyoda fondatore dell’ Alborejazz, etichetta del Sol levante.

Il disco si avvicina molto al sound di quegli anni, e dal vivo posso dire – avendone seguita la presentazione all’Alexander Platz il 9 Aprile scorso – che la miscela è altamente esplosiva. Come avete impostato il lavoro di registrazione per avvicinarvi a quel sound?

L’abbiamo impostato cercando, proprio come dici tu, di ottenere una sonorità non propriamente live, però comunque più simile a quella dei dischi Blue Note… Nella registrazione abbiamo fatto una o due take di ogni brano registrando tutti insieme e poi abbiamo scelto la migliore, come se fosse un’esecuzione live. Però il suono non è live! Questa è la cosa importante!

E per gli arrangiamenti, in che modo hai lavorato?

Per alcuni arrangiamenti ho tenuto gli originali, perché alcuni brani sono stati scritti per il sestetto, quindi, a parte qualche piccolo adattamento come cambiare il finale o qualche introduzione, il resto è stato mantenuto come l’originale. Per gli altri, che invece erano nati per quartetto o quintetto, ho dovuto pensare all’arrangiamento per sei musicisti cercando di avere sempre un filo conduttore comune che era il suono di quel periodo comune a tante formazioni. Ad esempio il quintetto/sestetto di Cannonbal Adderly era completamente diverso dal sestetto di Miles Davis di Kind Of Blue, che a sua volta era completamente diverso dai sestetti di Art Blakey, ma tutti avevano in comune il suono. In quel periodo si respirava la stessa aria e ognuno diceva la sua, musicalmente parlando. Così ho cercato di fare: dare la stessa impronta ad ognuno dei brani che venivano arrangiati, in modo che ci fosse un unico filo conduttore.

A proposito di filo conduttore, in entrambi i dischi con il tuo quintetto storico, i Sound Advice, la quasi totalità dei brani sono composizioni tue e del trombettista Andy Gravish. In particolare in Il Mare e L’astronauta le melodie sono più distese, così come per 21marzo e Mami che fanno parte del più recente album The Round About. C’è un particolare filo comune fra queste sonorità?

Ok…Il filo comune è questo: fra le mie tante influenze musicali vi sono anche i trii jazz per pianoforte con composizioni un po’ più melodiche, per non parlare della musica classica! È chiaro che la composizione risente di tutte le influenze musicali e in alcuni brani viene fuori la matrice più Hard Bop, in altri la matrice più lirica. Sono due mondi diversi che coesistono in me.

Infatti, Longin’ e The Four Seasons, i due dischi in trio usciti sempre nel 2010, ritengo siano i tuoi lavori più intimi.

Sono d’accordo!

Parlando del tuo linguaggio possiamo dire esser cristallino ed essenziale. In particolare, nell’ascoltare i tuoi voicing si evince lo studio estremamente capillare della ricerca armonica. Una domanda apparentemente semplice, ma la cui risposta può essere di grande supporto ai lettori: che consiglio daresti ad un giovane musicista agli inizi della propria carriera?

Guarda, sicuramente quello di conoscere profondamente la storia della musica, intesa non solo come storia del Jazz, ma anche come storia della musica in generale perché è un aspetto che spesso  viene trascurato. Io non dico: “bisogna conoscere alla perfezione ogni autore, ogni pianista” No, questo no! Però sicuramente avere una cultura molto vasta, avere la mente molto aperta e nello stesso tempo conoscere la tradizione. È un po’ come quando vai a lezione di storia, non puoi capire la seconda guerra mondiale se non sai cos’è successo nell’ottocento, perché ogni avvenimento ha delle cause legate al passato e quindi solo capendo cos’è successo in passato si può capire meglio il presente. È chiaro che tu puoi studiare la seconda guerra mondiale a memoria come episodio a sé, ma non capirai mai  profondamente l’avvenimento. Allo stesso modo in musica classica puoi suonare Ravel, però se parti da Bach, (eh!)…poi passi per Mozart, Beethoven…i romantici…puoi capire meglio il percorso che ha portato Ravel a fare quello che ha fatto. Allo stesso modo è il Jazz, bisognerebbe conoscerlo dal Jazz tradizionale in poi. Non dico che uno debba saper suonare, per quanto riguarda il pianoforte, lo stride piano per poi passare allo swing per poi passare al Be Bop… Diciamo che il Jazz che si suona oggi è di matrice Bop, cioè la sintassi del linguaggio deriva per la maggior parte dal periodo Bop, quindi bisognerebbe almeno partire da lì. Ma questa è una mia idea! Penso sia condivisa da molti musicisti, ma non da tutti.

Per far ancor più luce sul tuo stile musicale, quali sono i tuoi riferimenti sugli ottantotto tasti?

Sicuramente tutta la musica che mi ha influenzato in tutta la mia carriera musicale, perciò a cominciare dalla musica classica, ma non tanto dai pianisti in particolare perché nella musica classica ciò che t’influenza sono le composizioni. Poi, chiaro, c’erano pianisti che prediligevo tipo Benedetti Michelangeli, ecc… Per quanto riguarda il Jazz sicuramente dal Jazz tradizionale in poi. Quindi Art Tatum, anche se io non suono in stile Art Tatum, però è un pianista che ho ascoltato e studiato tanto, Oscar Peterson, Wynton Kelly, Red Garland, Sonny Clark, Kenny Drew, per poi arrivare a Mc Coy Tyner, Herbie Hancock, Chick Corea, Kenny Kirkland, Joey Calderazzo, Brad Meldhau, e Keith Jarrett…e Bill Evans!

Quindi non ce n’è uno in particolare?

No, no. Anche perché ognuno di loro è un caposcuola di una determinata corrente. Quindi ascolti Hancock perché suona in quello stile, poi ascolti Mc Coy Tyner perché è un’altra cosa ancora. Anche Marcus Miller che non avevo citato, ma l’ho ascoltato tantissimo.

 

L’hai citato durante il concerto all’Alexander.

Appunto…(ride)

Facciamo un salto nel passato: tu hai scoperto il Jazz nel 1990. Ci racconti com’è avvenuto quest’incontro, perché è nato un amore?

Certo è chiaro, non è che le scoperte si fanno così improvvisamente! Intanto io vengo dalla musica classica, e quindi mi sono diplomato a 18 anni e avrei dovuto intraprendere la carriera classica. Poi per un’insieme di eventi legati al mondo della musica classica ho provato un rifiuto prima di tutto verso quell’ambiente, e poi conseguentemente – e purtroppo – verso quel tipo di musica; contemporaneamente suonavo già in gruppi musicali. Ho suonato tanto stili musicali, dal Rock al Rock progressive al Funk sino a quando poi, quasi seguendo un percorso già segnato, ho conosciuto i Weather Report che erano dei musicisti Jazz-Rock, quindi un primo legame verso il Jazz, che di lì a poco ho finalmente conosciuto. Ricordo che da piccolo andavamo con gli amici a sentire i concerti di Jazz senza sapere cosa fossero. Ci andavamo semplicemente perché sapevamo che il musicista di Jazz era il musicista bravo per antonomasia. Chi suonava Jazz era uno veramente forte!

C’è una tua composizione in Sound Advice che s’intitola “I Have a Dream”, ma…

…Si, “I have a Dream”, ma non è legato a Martin Luter King, però il concetto è lo stesso: il brano presenta delle complessità ritmiche non indifferenti e allora il mio sogno era riuscire ad eseguirlo.

S’è concretizzato, il sogno. Allora per concludere possiamo dire che il tuo “message in a Bottle” coincide con quanto hai detto a proposito di I have a Dream? Ovvero, in un tuo album hai risuonato la famosa canzone di Sting, e volevo chiederti se quello che hai appena detto rientra…

…(Ride)…Guarda quello che ho detto di I Have a Dream è la mia filosofia di vita, ma dovrebbe essere la filosofia di vita di ogni musicista di Jazz: avere dei sogni, inteso come avere dei traguardi musicali, e riuscire ad arrivare a quei traguardi musicali cioè cercare di realizzare tanti piccoli sogni.

E sogni futuri?

Poter continuare in questa ricerca di vita che è la musica, che nella pratica si trasforma e concretizza nel fatto di suonare sempre meglio lo strumento o conoscere sempre più la musica in generale. Cercare di poter fare sempre questo, poi tutto il resto è tutta una conseguenza perché se riesci a fare questo, riesci ad essere ispirato e quindi a scrivere dei brani. Di conseguenza ti viene la voglia di metterli su disco senza pensare al fatto di doverli per forza vendere, ma al fatto di pubblicarli come una tua testimonianza. La testimonianza! Ecco: questo sono io, per come suono e per quello che scrivo. Questo è il mio spirito di fare i dischi!

Progetti Futuri?

Discograficamente ci sarà un secondo Sound Six e un disco in Trio, mentre concertisticamente andrò in giro sia in trio che in piano solo, oltre a tutti gli altri progetti.

Discografia Selezionata

High Five – Jazz Desire – Via Veneto jazz

High Five – Five for Fun – Blue Note

High Five – Live for Fun – Live at the Blue Note

High Five – Split Kick – Blue Note (Nov 2010)

Roberto Gatto 4tt – Traps –Cam

Fabrizio Bosso 5tt – Black Spirit – Pony Canio

Fabrizio Bosso – Spirito Libero – Dischi per L’Espresso

Max Ionata 4tt – Little Hand – Aebeat

Max Ionata  4tt Guest F. Bosso – Inspiration – Albore jazz

Max Ionata Hammond 4tt – Coffee Time – Albore Jazz

Mannutza, Romano,  Menconi – Adventures Trio – Aebeat

Collaborazioni:

F. Bosso; F. Boltro; A. Gravish; J. Pelt; E. Rava; P. Fresu; G. Amato; G. Falzone;  R. Gatto; L. Tucci; M. Di Leonardo; N. Angelucci; A. Nunzi; F. Sotgiu; F. Sferra; A. Romano; V. Sicbaldi; M. Ionata; D. Scannapieco; M. Giammarco; H. Costita, E. Cisi; J, Frahm; B. Bonisolo; C. Atti; M. Polga; D. Tittarelli; P. Recchia; R. Giuliani; S. Di Battista; A. Deidda;  R. Bonaccorso; L. Bulgarelli; P. Ciancaglini; P. Dalla Porta; R. Gattone; T. Scannapieco; D. Rosciglione; A. Zunino; E. Pietropaoli; N. Muresu, F. Puglisi, G. Tommaso. G. Renzi, D. Deidda. P. Benedettini;

F. Zeppetella; B. Ferra; E. Bracco; A. Menconi;

 Viero Menapace

 

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