L’Anno Breve di Caterina Venturini, nuovo romanzo di formazione

 

Può sembrare un paradosso suggerire ai lettori come libro da portare in vacanza uno che, pur essendo suddiviso in stagioni, non contiene l’estate. Perché il secondo romanzo di Caterina Venturini, intitolato L’Anno Breve (ed. Rizzoli), contempla il tempo dell’impegno e del lavoro, dai primi di settembre fino all’inizio di giugno (autunno/inverno/primavera), ma non quello dello svago. Leggerlo d’estate, come ho fatto io, ha una funzione catartica; una sorta di esorcismo delle fatiche della vita quotidiana. L’assenza dell’estate delimita inoltre il campo del dolore e non potrebbe essere altrimenti visto che la protagonista insegna in ospedale. Gli studenti di Ida Ragone, ecco il suo nome, sono innanzitutto pazienti, ospiti, utenti dei reparti delle cliniche pediatriche di Roma. Sono adolescenti malati, talvolta nel corpo, talvolta nella mente, talvolta in entrambi. Varcare la soglia di quelle corsie, contenute all’interno di una sinistra Torre collocata nel quartiere di San Lorenzo, significa intraprendere un viaggio dentro se stessi. Lei, che ha sempre fatto la supplente nei licei pubblici della Capitale, pur di evitare un ‘confino’ in provincia, accetta di insegnare letteratura ai ragazzi ospedalizzati, senza immaginare quello che l’aspetta. Le sofferenze di Elisa, Salvatore, Giulia, Andrea, Rosy, Leila, Chiara, Mattia, Eta Beta, Franco, Sonia, scavano una sorta di solco attraversando in quale Ida si ritrova. Gli alunni-pazienti fungono da specchio all’interno del quale la professoressa incontra i fantasmi del passato. Le pazienti anoressiche la riportano indietro di vent’anni, quando a giocare al gioco del digiuno e del vomito c’era proprio lei e l’inseparabile amica dell’epoca. La Torre dei bambini ammalati non è tuttavia avulsa dal contesto, poiché Venturini riesce a creare connessioni sorprendenti tra il dentro e il fuori. Fuori di lì c’è intanto un’altra assenza – oltre a quella rappresentata dall’estate – che si chiama Mario, il suo compagno. Del ragazzo conosciuto durante il G8 di Genova non rimane nulla: pur di essere pagato (!), accetta di lavorare senza sosta come addetto stampa di un politico meridionale corrotto. Come tutti noi che apparteniamo a quella generazione che nel 2001 aveva vent’anni, Mario ha ben inteso il violento ALT del sistema: un altro mondo NON è possibile. Ida si dispera e si distanzia anche da lui e può farlo perché lei, sin da bambina, ha abitato mondi diversi e tra loro distanti. La sua forza risiede infatti nello sguardo multifocale che fa sì che lei possa farsi carico, senza sbavature, delle delusioni, del disamore, delle malattie e della morte. Del resto, è il romanzo stesso ad essere multiprospettico, nel senso che la voce narrante dell’autrice si confonde con quella della protagonista (e non solo con la sua). Quando esce dalla Torre per l’ultima volta, Ida esce finalmente dalla sua di adolescenza, col dono più grande che il dolore possa farle, avere acquisito consapevolezza di sè.

 

Pasquale Musellathumbnail_copertina L%27anno breve

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